MITO

a cura di Laura Benatti

Nata a Milano nel 1962 è coniugata, con una figlia e abita a Como.
Si è laureata presso l'Università Cattolica di Milano in Lettere e Filosofia (indirizzo classico), con il punteggio di 110 e lode/110
ed è stata poi Cultrice della Materia presso il medesimo Ateneo per alcuni anni, svolgendo ricerche nel Dipartimento di Glottologia.
Ha superato il Concorso Ordinario a Cattedre per l'insegnamento di Latino, e Greco nel Liceo Classico e il Concorso di Abilitazione
all'insegnamento per le medesime discipline nel Liceo Classico. Insegna da 26 anni presso il Ginnasio Liceo Classico e
Scientifico Statale "A. Volta" di Como. Conosce bene la lingua inglese e nell'ottobre 2014 ha conseguito la certificazione "Goethe" di lingua tedesca a Lugano, livello B1.
Segue con interesse e assiduità lo studio delle lingue inglese e tedesca.
Da alcuni anni pubblica anche su riviste italiane e  periodici americani e collabora con il Comitato Scientifico di un importante
Gruppo Storico. Pubblica contributi anche su una Rivista di Studi archeologici online.

Collabora dal 2015 con INTERVenti.net.

 

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Malana, sulle tracce di Alessandro Magno

Ma è davvero così lontano da noi quel mondo di eroi e di miti, che tanto adoriamo?

Laura Benatti

Como, 30 aprile 2019.
Esiste ancora oggi una sperduta località indiana ai piedi dell’Himalaya, completamente avulsa dal contesto sotto il profilo sociale, politico, linguistico, religioso: si tratta di Malana. Secondo un’accreditata interpretazione si tratterebbe di una comunità composta da individui discendenti dai soldati di Alessandro Magno! La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati ci è nota grazie agli Indikà,"Resoconti dell'India", dello storiografo greco Arriano (92-175 d.C.).
Quasi tutta l’India nord-occidentale era già stata messa in ginocchio e conquistata da Dario I, il Gran Re dei Persiani, che regnò dal 522 al 486 a.C., quindi molto tempo prima dell’avvento di Alessandro. All’arrivo del re macedone, la regione era suddivisa in tanti piccoli domini, violenti e in continua lotta reciproca. Egli sottomise il Regno di Gandhara quindi proseguì fino al Punjab con un nuovo esercito formato quasi completamente da popolazioni asiatiche, mentre solo gli alti comandanti erano di etnia macedone. Qui, come ci racconta il biografo Plutarco nelle sue “Vite parallele”, affrontò il pericolosissimo Re Purushotthama, noto sui libri di storia come Re Poro, vincendolo sulle rive del fiume Idaspe, oggi Jhelum. Siamo nel 326 a.C. Alessandro, per la dolorosissima e inconsolabile perdita del compagno fedele e inseparabile, il cavallo Bucefalo, fondò l’attuale città di Jhelum, allora Alessandria Bucefala (nel Punjab, Pakistan). Per l’enorme difficoltà incontrata nel corso di questa sanguinosa battaglia, nonostante la vittoria fosse stata dei Macedoni, l’esercito si rifiutò di seguire Alessandro nella sua inarrestabile marcia verso est. I suoi uomini si fermarono al fiume Beas, allora Ifasi, e il condottiero fu costretto a pensare seriamente al ritorno. Come percorso seguì la valle dell’Indo, fino alla città di Pattala.

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La vera storia del Minotauro

Logos e Mythos

Laura Benatti

Como, 30 settembre 2018.
La notissima giornalista Oriana Fallaci (1929-2006) era solita dire che i miti dovrebbero essere osservati da lontano come i dipinti poiché mantengono il loro carisma inalterato nonostante il trascorrere del tempo. È tuttavia parimenti utile, a mio giudizio, comprendere bene perché certi miti sono nati e sono stati tramandati e quale rapporto essi hanno con fatti storici o fenomeni sociali, economici, religiosi realmente accaduti.

Asterione, nome di fantasia del Minotauro, era nella realtà nato dalla relazione extraconiugale di Pasifae e di un avvenente generale, di nome Tauros (secondo una versione meno accreditata un cortigiano di Minosse). Egli era agli ordini del marito di Pasifae, il re Minosse, ed era un atleta di grido nella lotta contro i tori (tauromachia). L’eroe Teseo quindi non combatté contro il terribile mostro, il Minotauro, ma contro il padre di questi, ovvero Tauros, e lo scontro fu probabilmente in una battaglia navale. Ma questa versione dei fatti, più “normale” di quella narrata dal mito, non avrebbe potuto attrarre l’attenzione del pubblico quanto la favola che sto per raccontare. Un giorno Minosse (Minos significa “re”), che dominava sull’isola di Creta,desiderando rendere legittima la sua carica, volle sacrificare una vittima eccezionale che chiese al dio delle acque, Poseidone. La creatura, di colore bianco, era così bella e rara che il re non volle sciuparla per un sacrificio e la tenne per sé, collocando al suo posto un toro, di valore assai inferiore. Il dio del mare si offese terribilmente e si vendicò facendo sgorgare in Pasifae, moglie di Minosse, una passione innaturale e orribile nei confronti del bel toro bianco, che portava il nome di Tauros. A Pasifae nacque un figlio con la testa di toro, il Minotauro appunto, a cui venne imposto il nome di Asterione. Minosse si sdegnò fino a tal punto che rinchiuse nel Labirinto, fatto costruire dall’architetto Dedalo, il Minotauro e Pasifae. 

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Alessandro Magno rivive nelle moderne strategie politiche
(II parte)

Logos e Mythos

Laura Benatti

Como, 14 agosto 2018.
Essere eccessivamente repentini nel prendere una decisione e nell’agire di conseguenza non è sempre sinonimo di saggezza, lo sappiamo, soprattutto nei momenti in cui il nostro animo vibra di risentimento… ma per Alessandro non è mai stato così. La sua tattica consisteva nel non concedere mai una tregua al nemico, bisognava invece sbalordirlo, colpirlo all’improvviso, prima che questi potesse rendersene conto. 

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Alessandro Magno rivive nelle moderne strategie politiche
(I parte)

Logos e Mythos

Laura Benatti

Como, 23 marzo 2018.
Alessandro Magno, un mito. Nel corso della sua brevissima, ma intensissima vita (356 a.C. /323 a.C.), dovette affrontare difficoltà e ostacoli di ogni natura che superò quasi sempre in modo superlativo attraverso strategie che solo il suo genio strategico avrebbe potuto escogitare…

E allora perché non lasciarsi consigliare da lui ancora oggi? La nostra animosità, il nostro orgoglio, la nostra “dignità” spesso ci inducono a rifiutare radicalmente amicizie o alleanze, ci impediscono di venire a patti con chi non condividiamo in parte o completamente, con chi ci mostra antipatia, o peggio ostilità, oppure con chi abbiamo superato e consideriamo ormai un “perdente”, ma ciò, ci direbbe il Macedone, è profondamente sbagliato.

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Phobos

Il satellite più vicino a suo padre, il pianeta Marte

Laura Benatti

Como, 12 gennaio 2018.
Non ci chiediamo mai perché la paura che attanaglia tutti noi in alcuni momenti della nostra vita in modo irrazionale e persistente con la repulsione verso uno o più elementi, animati o inanimati, di per sé non realmente pericolosi, è chiamata “fobia”?

Certamente come moltissimi termini dell’ambito medico e psicologico essa deriva dall’omonimo sostantivo del greco antico, ma… aveva un volto questa emozione?

Phobos era un giovane, figlio di Afrodite e di Ares (rispettivamente Venere e Marte per gli antichi Romani), ci racconta Esiodo (Teogonia, vv.933/937), che aveva a Sparta il tempio maggiore a lui dedicato e gli Spartiati (la classe più privilegiata di Sparta) lo invocavano prima di scendere in battaglia. Sappiamo da Plutarco (Vita di Alessandro) che persino il grande comandante macedone, la notte precedente la battaglia di Gaugamela (331 a.C.) contro il re persiano Dario III, fece sacrifici in onore di questo dio. Esisteva una bellissima pianta a lui consacrata, l’acero rosso, nella mitologia greca considerato l’albero della paura perché si riteneva che il colore rosso acceso delle sue foglie nella stagione autunnale (che ricorda vagamente il colore del sangue) fosse in grado di risvegliare la divinità dal suo torpore.

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La scansione del tempo nelle lingue antiche e moderne

Logos e Mithos

Laura Benatti

Como, 28 ottobre 2017.
Alle origini i Greci intendevano il tempo come misurazione della permanenza di ciò che muta e come successione di fasi in cui si svolge il divenire della natura. Il pensiero era ancora evidentemente influenzato dal mito, dalle filosofie cosmogoniche e dall'Orfismo che identificava in Crono il padre di tutto e che predicava i 'cicli' del tempo in cui tutti gli esseri rinascono eternamente. Per combattere contro l'azione corrosiva del tempo, i primi Pitagorici introdussero la teoria della “metempsicosi” o “trasmigrazione dell’anima”.

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Il Greco antico e il lessico scientifico italiano
(II parte)

Logos e Mythos

Laura Benatti

Como, 1 ottobre 2017.
Il Greco ”Ypér”, italiano ”iper” è un altro prefisso dei termini medici che indica “eccesso, esagerazione, giusta misura oltrepassata” e, per questo, allarme, necessità di intervento terapeutico, in quanto il benessere fisico della persona si trova a rischio.
Esempi:
“Iperglicemia”, greco “Yperglykàima”: indica un eccessivo contenuto di glucosio nel sangue rispetto ai normali valori. Tale anomalia deve essere ricondotta ai parametri normali in quanto può condurre al diabete. Inglese “hyperglycemia”.
“Ipertensione”, greco “yperteíno”,indica un aumento eccessivo della pressione arteriosa o polmonare. Inglese “hypertension”.
“Ipercromia”: rappresenta un’eccessiva pigmentazione della cute che può assumere colorazione bruna. In inglese “ipercromia”.

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Il Greco antico e il lessico scientifico italiano
(I parte)

Logos e Mythos

Laura Benatti

Como, 12 settembre 2017.
Proprio grazie all’enorme influenza che il Corpus Hippocraticum ha avuto sulla medicina antica e questa su quella medievale e moderna, la terminologia medica anche attuale è essenzialmente di origine greca. Dal Greco derivano i nomi delle fasi dell’indagine e dell’agire del medico. Dal Greco derivano i nomi delle categorie di farmaci. Dal Greco derivano i nomi delle branche della medicina. Dal Greco derivano i nomi delle malattie. Dal Greco derivano i termini entrati nel linguaggio comune, ma che in origine avevano un significato diverso dall’attuale. Dal Greco, infine, derivano i nomi delle parti del corpo, conservati in termini perlopiù composti.

Il Greco antico è certamente un idioma che oggi non si parla né si scrive più ma, rispetto alle nostre lingue contemporanee, possiede un bagaglio lessicale particolarmente ricco (oltre 85.000 lemmi). Gli antichi prosatori e poeti greci esprimevano la propria genialità non solo attraverso nuovi contenuti, ma anche tramite l’arricchimento del linguaggio con neologismi risultanti dall'accostamento di due o più radici o dall'aggiunta di prefissi o di suffissi ad una radice preesistente. Queste parole nuove erano comunque comprensibili anche ad un pubblico non particolarmente colto, poiché poggiavano sempre su radici il cui significato era noto a tutti.

Partendo dalla premessa di un bagaglio lessicale così ricco e così preciso e dalla unanime constatazione che grandissima parte dei termini scientifici in italiano, ma anche in inglese e in altre lingue, derivano dal greco antico, ecco evidente agli occhi di tutti la necessità di conoscere ed eventualmente apprendere tali lemmi, facendo riferimento, appena possibile, alla loro matrice ellenica. L’abitudine sistematica a identificare nel lessico scientifico italiano le radici greche dovrebbe essere incoraggiato in quanto rende possibile la comprensione di molte parole, ne facilita la memorizzazione e, vantaggio non irrilevante, fa apparire in qualche modo più attuale e utile anche dal punto di vista pratico il riferimento ad una lingua così lontana nel tempo.

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Dal gioco degli astragali alla “teoria dei giochi” di John Nash

Logos e Mythos

Laura Benatti

Como, 3 agosto 2017.
Con il termine “astràgalo” (lat. astragălus, gr. ἀστράγαλος) si intende in anatomia un ossicino di forma vagamente cuboide che fa parte dell’articolazione del piede; chiamato anche "talo" è un osso breve situato nel tarso che trasmette tutto il peso del corpo. Nel bue e nel montone ha proporzioni particolarmente regolari e si presta per ciò ad essere utilizzato per ottenere risultati casuali, esattamente come un dado a quattro facce. La maggior parte degli archeologi suppone che sia nato probabilmente in Asia Minore e che poi si sia diffuso in Grecia, in Magna Grecia e poi a Roma.

Gli scrittori antichi non mancano di citarlo. In una versione alternativa del mito che noi conosciamo, presente nel libro IV de “Le Argonautiche” di Apollonio Rodio (295 -215 a.C.), Teti, per rendere immortale il figlio Achille, lo ungeva di giorno con l'ambrosia, mentre di notte, di nascosto dal marito Peleo, ne bruciava le parti mortali del corpo nel fuoco per renderlo invulnerabile. Una notte, però, Peleo si svegliò improvvisamente e, vedendo il figlioletto agitarsi tra le fiamme, lanciò un urlo: Teti, adirata, gettò il bambino a terra e se ne andò, immergendosi nel mare, senza fare più ritorno. Peleo, con l'aiuto del centauro Chirone, sostituì il tallone di Achille, rimasto ustionato, con l'astragalo del gigante Damiso, celebre per la sua velocità nella corsa. Plutarco (46 d.C./48 d.C. –125 d.C./127 d.C.) narra che lo stratega ateniese Alcibiade, ancora fanciullo, giocava nel bel mezzo della strada quando pregò un carrettiere di fermarsi perché stava schiacciando i suoi astragali. Dinnanzi al rifiuto dell'uomo, il bimbo si sdraiò sul selciato e gli disse che sarebbe dovuto passare sul suo corpo. Il conducente del carro, quindi, spaventato, fermò i cavalli.

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Il silenzio che parla

Laura Benatti

Como, 27 giugno 2017.
…E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei
(G. Leopardi “l’infinito”)

“Infinito” ed ”Eterno”: queste due parole richiamano rispettivamente la dimensione dello spazio e del tempo, della perpetuità sia in riferimento al passato sia in riferimento al futuro, ma non al presente perché questo è solo un attimo, un impercettibile movimento d’ali di una farfalla, un battito di ciglia… lo spazio e il tempo uniti creano l’immensità  che il pensiero umano non riesce a sostenere, poiché non è in grado di racchiudere in sé questa grandezza incommensurabile, ma tuttavia perdersi in questa dimensione, in queste riflessioni è bellissimo.

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L'arte medica nella Roma arcaica, classica ed imperiale

Come si curavano gli antichi Romani? La tradizione, i metodi e le malattie più frequenti 

Laura Benatti

Monaco, 21 settembre 2015
279 a.C.: avvengono i primi contatti di Roma, impegnata nelle guerre puniche con la medicina greca, in questo frangente è importato il culto di Asclepio/Esculapio. Probabilmente solo nel 219 a.C. arrivò a Roma  il primo medico greco, un certo Arcagato, di scuola ippocratica, dapprima  amato alla follia dai Romani, poi cacciato impietosamente perché ritenuto un ‘macellaio’, a causa della sua insensibilità nel recidere la carne dei pazienti. D’altro canto, questo è sempre stato l'atteggiamento dei Romani: ad un amore sviscerato seguiva l’odio atroce. Ne abbiamo testimonianza proprio nelle parole rivolte da Catone il Censore al figlio Marco: i medici greci sono una progenie da cui bisogna assolutamente guardarsi!

Ma esisteva una medicina indigena, completamente romana prima dell’avvento di quella greca? La risposta è positiva: in primis tale arte era praticata dai non liberi, da schiavi che, curando i loro stessi domini, i padroni, si guadagnavano da parte loro una tale fiducia da ottenere la libertà o, comunque, una riconoscenza ed un legame affettivo molto forti. Si ricorda in una lettera di Marco Tullio Cicerone ad Attico la morte del suo fedelissimo Alexion, che provocò nel grande politico romano un dolore incolmabile. In seguito, l’arte medica passò nelle indiscusse mani dei patres familias, i quali ancora comunque si basavano su conoscenze estremamente pratiche e su ricette a base di erbe. In età imperiale, il filosofo stoico Seneca, precettore dell’imperatore Nerone, nel De clementia e nel De beneficiis, sostiene che un bravo medico non deve discriminare i suoi pazienti e deve avere con questi un rapporto di amicizia e di dialogo, proprio al fine di poterli aiutare. Seneca manifesta grande rispetto per la professione medica tracciando anche un ritratto ideale del medico:

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Il tendine calcaneare o tallone di Achille

Laura Benatti

Como, 30 maggio 2017.
Un "mito" vero e proprio del nostro corpo, esattamente come colui che gli ha regalato il suo nome eterno: Achille. Il tendine calcaneare infatti si chiama anche "tendine di Achille". È il tendine più robusto e vigoroso del nostro corpo, ha una lunghezza di circa cm.15 (iniziando da metà gamba) e può accogliere uno stress di carico circa 3,9 superiore al peso del corpo in lento movimento, 7,7 in corsa. Nell'opera del 1693 "Humani corporis anatomia", l'anatomista olandese-fiammingo Philip Verheyen studiò con grandissima cura questa parte del corpo e disse che era comunemente chiamata "Chorda Achillis".

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La giustizia e… la sua giusta misura

Laura Benatti

Como, 13 maggio 2017.
Nel mondo romano il termine "ius" indicava la "giustizia tra gli uomini", la "giustizia dei tribunali", in italiano “giuridico, giurisprudenza, giurisperito”, mentre per "giustizia divina" esisteva un’altra parola, "fas", da cui in italiano "fasto, nefasto".

Ancora una volta il mondo greco, però, riesce ad unire la precisione dei concetti con la fantasia travolgente del mito e così nasce "Dike" (Giustizia). Chi era Dike? Nel mondo greco era la dea della giustizia umana: il filosofo Platone la immaginava come una fanciulla illibata, in quanto la giustizia dovrebbe, per sua natura, essere pura, incorrotta, volare alto, al di sopra di tutto e di tutti. Figlia di Zeus, padre di tutti gli dei, e di Themis, divinità della giustizia divina, vegliava sulle azioni umane e, quando gli uomini la offendevano, lei in lacrime li inseguiva e, avvolta in una nebbia, sempre sotto la protezione del padre, causava loro sofferenze. Il poeta Pindaro le attribuì una figlia, Esuchia, (Tranquillità), perché riteneva che una comunità possa vivere in una condizione di pace solo se sono osservate le leggi. Che il rispetto di queste costituisca una caratteristica imprescindibile di una società civile è una verità che difficilmente si può mettere in discussione.

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Heine, un poeta romantico tedesco che amò la Toscana  

Laura Benatti 

Como, 15 gennaio 2016.
Heinrich Heine (1797/1856), il poeta che la bellissima Sissi, principessa d'Austria, ammirò fino al punto da comporre, cercando di imitare lo stile dell'artista, una raccolta di versi, poco benevoli, ispirati alla Corte di Vienna.

Heinrich Heine, il genio che, già dalle prime opere, uscite tra il 1822 e il 1831, manifesta l'enorme carisma esercitato sulla sua personalità dai poeti inglesi George Byron (1788/1824) e Laurence Sterne (1713/1768). Entrambi amarono appassionatamente il nostro Paese.
Lord Byron si stabilì in Italia dopo aver viaggiato a lungo, e qui incontrò, come lui stesso ebbe ad affermare, quell'atmosfera di tranquillità e, insieme, di libertà, adatte alla sua natura e favorevoli alla sua ispirazione poetica. Egli si sentì fino a tal punto legato al Paese che divenne un importante sostenitore del nostro Risorgimento e appoggiò i Carbonari. Di Roma ci sono giunti alcuni splendidi versi di una sua celebre lirica "O Roma! Mia patria! Città della mia anima!" e di Venezia, ricordando tristi avvenimenti passati, "Quei tempi difficili sono andati, ma la Bellezza è sempre qui!" Il celebre "Viaggio sentimentale attraverso la Francia e l'Italia" di Laurence Sterne, attraverso una fortunata combinazione di umorismo e profondo sentimento, influì fortemente sugli scrittori romantici italiani, lasciando un solco profondo nella nostra storia letteraria.

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Logos e Mythos

II parte – Morfeo e i sogni

Laura Benatti

Como, 26 aprile 2017
Sono note in farmacologia le proprietà analgesiche e soporifere della morfina, ottenuta dalPapaver somniferum”, originario dell’Asia e introdotto nel Mediterraneo già da tempi antichissimi.
L’oppio, la droga ottenuta dal medesimo fiore, entrò come componente principale nella “Theriaca” (greco therios), cioè una medicina inventata da Mitridate re del Ponto (132 - 63 a.C.), una panacea utile come rimedio per ogni male. Paracelso (1493/1541) medico, alchimista svizzero, adottò il termine “laudano” (da “laudare”, ndr) per indicare il medicamento analgesico oggi non più in uso a base di oppio.

Ma da dove deriva la parola italiana “morfina”? Le sue radici affondano nella mitologia greca e arrivano lontanissimo, fino al figlio di “Sonno” (greco “Ypno”) cioè Morfeo che ha come madre “Notte” (greco “Nyx”). Morfeo (greco “morfé” ovvero “forma, sembianza”) indica l’aspetto con cui egli si presenta agli uomini che sono stati addormentati accarezzando le loro palpebre con un mazzo di papaveri. I suoi fratelli, secondo il poeta latino Ovidio (I d.C.), sono Fobetore-Icelo e Fantaso. Morfeo è il più importante e a lui vengono affidati i messaggi per i re e i comandanti, Fobetore-Icelo è portatore di sogni rappresentanti animali e incubi (greco “Fobos”, paura), mentre Fantaso popola i sogni degli uomini di paesaggi irreali ed esseri inanimati.

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Logos e Mythos

(Prima parte)

Laura Benatti

Como, 2 aprile 2017.
Logos è una delle parole greche più presenti nei testi greci classici e tra quelle che creano maggiori perplessità agli studenti del liceo classico per le sue molteplici interpretazioni.
Fondamentalmente logos è legata alla razionalità, al pensiero e la gamma dei suoi significati si estende da “parola, discorso” a “ragionamento filosofico e scientifico”, ma non abbiamo minimamente esaurito tutte le sue sfumature.
Da questo termine derivano in italiano tutti quei lemmi scientifici che terminano con “logia”: ad es. allergologia, patologia, psicologia, archeologia, filologia, sociologia, etc…

Mythos parte con significati analoghi ”conversazione, dialogo, disegno, proposito, pensiero” per poi evolversi in “racconto, narrazione, favola, leggenda, mito”.

Perché, quindi, il connubio logos-mythos?

Ci siamo mai domandati perché In anatomia la prima vertebra cervicale della colonna vertebrale si chiama “atlante”? Oppure per quale ragione la sostanza “morfina” è così chiamata per le sue proprietà analgesiche e narcotiche? Perché parliamo di “tendine d’Achille” o ancora di “osso sacro”?

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L’eroe romantico nella mitologia e nell’uomo moderno

Was wird nie der Mann, dieser Halbgott, die viel gelobt?" (Goethe,Gedanken), "Che cosa sarà mai l'uomo, codesto semidio cosi tanto lodato?" (Goethe,Pensieri)

Laura Benatti

Como, 26 dicembre 2016.
L'eroe romantico è travolto dalla brama irrefrenabile di oltrepassare i propri limiti umani, di trovare nelle proprie emozioni, nelle proprie passioni un mezzo per raggiungere la dimensione dell'infinito, di sentirsi divinità, di abbandonare la propria veste umana; la ragione, tanto esaltata dai pensatori di tutti i tempi, fin dalle epoche più antiche, diventa un ostacolo per il raggiungimento della dimensione metafisica, sovrannaturale. L'uomo aspira per sua natura ad un piacere che non abbia limiti, né per durata né per estensione, ma nella realtà purtroppo i piaceri sono tutti "chiusi entro confini"; invece quando l'anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di una sua aspirazione infinita, anela al piacere in sé e non ad un determinato piacere.

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L’amicizia nelle fiabe e nella tradizione degli antichi

Laura Benatti

Como, 23 novembre 2016.

Da “I musicanti di Brema“ dei fratelli Grimm:
Ein Esel, ein Hund, eine Katze und ein Hahn möchten nicht sterben. Sie laufen zusammen weg und wollen in der Stadt Bremen Musik machen. Aus einem Haus verjagen sie mit ihrer Musik eine Bande von Räubern: Der Esel schreit, der Hund bellt, die Katze miaut und der Hahn kräht. Das Haus gefällt ihnen und sie bleiben da. Nach Bremen kommen sie nie.

(Trad: Un asino, un cane, un gatto, e un gallo non vorrebbero morire.
Corrono insieme per strada  desiderando andare a  suonare nella città di Brema. Con la loro musica riescono a scacciare da una casa una banda di predoni: l'asino raglia, il cane abbaia, il gatto miagola, il gallo fa chichirichì. A loro piace quella casa e così si stabiliscono là. Non si recheranno mai più a Brema).

Questa bellissima e particolare favola ha la peculiarità di contenere riflessioni morali "senza tempo" e, per questo, è paragonabile alla produzione del favolista greco Esopo e quello latino Fedro.

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Cicuta

La terribile erba che condusse alla morte il filosofo Socrate

Laura Benatti

Como, 2 settembre 2016.
399 a.C.: il filosofo ateniese Socrate venne condannato a bere la velenosissima cicuta da parte dei cittadini ateniesi i quali si servirono fondamentalmente di tre pretesti: non adorare gli stessi dei in cui credeva la città di Atene, introdurre nuove divinità, ma soprattutto... corrompere i giovani.

Come leggiamo nel dialogo "Critone" del filosofo Platone (428-348 a.C.), Socrate, consapevole dell'ingiusta condanna nei suoi confronti, si rifiutò categoricamente di sfuggire alla morte, pur essendogli stata offerta tale scelta dai suoi discepoli, perché "...è meglio subire un'ingiustizia piuttosto che commetterla..." e "la morte non è un male perché o è un sonno senza sogni, oppure dà la possibilità di visitare un mondo migliore..."

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La quercia, l'albero di Goethe

Laura Benatti

Como 25 agosto 2016.
Intorno alla quercia dove J.W. Goethe (1749/1832) amava recarsi per comporre le sue opere è stato edificato il campo di sterminio di Buchenwald.
Tale luogo di orrore venne costruito nel 1937 dalle SS in seguito alla distruzione di più di cento ettari di fitto e verdeggiante bosco, che il grande poeta amava moltissimo ma, in particolare, di cui adorava un'antichissima quercia presso la quale aveva trovato in più occasioni non solo ispirazione, ma anche, per un'anima così vibrante, sollievo dalle numerose sofferenze d'amore.

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L’elleboro bianco (Veratrum album)

La pianta che tradì Alessandro Magno

Laura Benatti

Como, 13 agosto 2016.
A soli 33 anni a Babilonia nel 323 a.C. moriva il più grande eroe di tutti i tempi, Alessandro Magno. Per secoli e secoli si è cercata la causa (accanto alla pancreatite acuta di cui si è già parlato) di una morte considerata prematura e ingiusta nei confronti dell'evoluzione dell'umanità: se Alessandro fosse vissuto più a lungo la storia sarebbe stata diversa, avremmo forse parlato greco e non latino, le vicende dell'Italia e dell'Europa sarebbero state differenti...

Ma una sera qualcuno gli somministrò una piccola quantità di elleboro bianco all'interno di un cratere ricolmo di vino che lui bevve in onore di Eracle, come racconta lo storiografo greco Diodoro Siculo: i suoi effetti furono lenti, ma devastanti come quelli di ogni veleno, reale o metaforico.

Sì perché anche l'odio di chi lo circondava ogni giorno, adulandolo falsamente, era veleno, di chi diceva di amarlo e di volerlo seguire fino ai confini del mondo, mentre in cuor suo si augurava che morisse il prima possibile.

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L'alloro (Laurus nobilis)

Anche le piante possono essere un mito

Laura Benatti

Como, 26 luglio 2016.
Ogni istante della nostra vita, anche se non ce ne accorgiamo, è accompagnato dalla tacita presenza di erbe, fiori, frutti, che ci donano una gioia per gli occhi, ma che  possono anche affondare le loro radici in miti antichissimi...
Questa pianta era talmente onorata nel mondo antico che neppure i fulmini osavano sfiorarla.

Nell'antica Roma le foglie di questo vegetale, consacrato a Giove, ornavano il capo degli imperatori e spesso veniva fatto crescere nei giardini imperiali.

Abbiamo notizia  che una delle mogli di Augusto, Livia, avesse fatto coltivare nella sua villa un intero boschetto di alloro con le cui fronde sarebbero state create le corone che avrebbero adornato il capo degli eroi. Tuttavia colui che avesse ricevuto tale onore era tenuto a tornare nella residenza imperiale per trapiantare nuovamente il ramoscello ed augurarsi per il futuro una nuova e più grande  gloria. 

Ma come era riuscito questo sempreverde a guadagnarsi una tale notorietà?
Racconta il poeta latino Ovidio (43 a.C./18 d.C.) che Apollo, dio greco, si era innamorato perdutamente di Dafne, una ninfa figlia del fiume Peneo e di Gea, senza che lei lo desiderasse, e che aveva condotto la sua insana passione alle estreme conseguenze.

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Gli occhi di Alessandro Magno

E cosi, piange, poi che giunse anelo: e
piange dall'occhio nero come morte;
piange dall'occhio azzurro come cielo.
Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell'occhio nero lo sperar, più vano;
nell'occhio azzurro il desiar, più forte.
G. Pascoli "Alexandros"

Laura Benatti 

Como 7 luglio 2016.
Alessandro Magno (356 a.C./323 a.C.), l'uomo più importante dell’antichità, il mito dei miti, l'eroe per eccellenza, sappiamo dalle fonti letterarie e dalle sculture del suo artista preferito e personale, Lisippo, che era di statura non troppo alta, di corporatura robusta, con una cascata di riccioli biondi che gli incorniciavano il volto e l’inclinazione costante del collo verso sinistra. Testimonia questo Il ritratto di Alessandro Magno di Lisippo, noto a noi grazie a numerose copie, come quella della Gliptoteca di Monaco di Baviera, uno dei capolavori del ritratto ellenistico

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Dolore e malattia nella mitologia greca

"La felicità è benefica al corpo, ma è il dolore quello che sviluppa le facoltà dello spirito." (Marcel Proust)

Laura Benatti

Como, 16 aprile 2016.
In molti termini medici italiani compare nella seconda parte della parola "-algia ", oppure "-patia" come, ad esempio, "sciatalgia, nevralgia, artralgia, cardialgia ecc...", o "apatia, epatopatia, discopatia, gastropatia, ecc..."
Ci siamo mai chiesti nelle originarie parole greche, da cui esse derivano, quale fosse il loro vero significato?

Iniziamo dai principali termini che in greco antico indicano l'idea di "dolore, patimento, sofferenza".
"Algos" era nella mitologia greca il dio del dolore, nato, come racconta Esiodo (VIII-VII a.C.), nella sua "Teogonia", da Eris (divinità della discordia) figlia di Zeus ed Era (secondo Omero) oppure, secondo altre fonti tra cui Ovidio, figlia di Era e di un fiore da lei toccato, o ancora figlia, secondo Esiodo stesso, della Notte.

Esiodo, Teogonia, vv. 211-232": ...Notte partorì l'odioso Fato, la tenebrosa Kera e Thanatos (Morte), procreò Upnos (Sonno) e con lui la famiglia dei Sogni.

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La concezione del tempo nell’antichità

"...allora che cosa è il tempo? Se nessuno me lo domanda lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più" (Sant'Agostino, Le Confessioni, libro XI)

Laura Benatti

Como, 24 marzo 2016.
Il Tempo, sin dall'antichità, è stato uno dei temi più dibattuti dal mondo scientifico e filosofico.

Il filosofo greco Eraclito (VI-V sec. a.C.) affermava con la massima convinzione la durata transeunte, effimera di qualsiasi situazione e, in particolare, la precarietà della condizione umana in continuo mutamento proprio a causa dello scorrere del tempo.

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"Lorelei" di Heinrich Heine e la tradizione greca

"...alla fine l'onda inghiotte barcaiolo e barca... ed ahi! Questo ha fatto con il suo canto la fanciulla Lorelei (H. Heine, Libro dei canti)

Laura Benatti

Como, 15 dicembre 2015.
La morte e la passione amorosa rappresentano un topos letterario proprio dell'età romantica e della sua predilezione per i contrasti.
Per gli artisti di questo movimento, l'amore è sottratto alla banalità della routine quotidiana, sfugge all'usura del tempo, addirittura alla sessualità.
Hanno la preferenza manifestazioni drammatiche, trasgressive che vengono rappresentate sia in letteratura sia in musica sia in pittura.

Tale connubio amore-morte viene esplicitamente dichiarato dal grande Giacomo Leopardi che nei vv.99/100del" Consalvo", afferma: "...due cose belle ha il mondo//amore e morte".
Siffatto dualismo venne studiato anche da Sigmund Freud che lesse nel termine greco "eros" "amore" la pulsione verso la vita, mentre nella parola greca "thanatos", "morte", la spinta verso la fine, il nulla: due elementi che congiunti costituiscono l'essenza della psiche umana. 

In Heinrich Heine, poeta tedesco di età romantica, tale motivo si affaccia prepotentemente allo sguardo del lettore nei bellissimi versi della poesia intitolata" Lorelei", facente parte della raccolta "Libro dei canti".

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L'educazione dei giovani nell'antica Atene

Laura Benatti

Como, 28 novembre 2015.
L'educazione (da latino "educo" cioè "traggo fuori - sottinteso - dall'ignoranza") nel mondo greco antico era avvertita come fondamentale per la formazione di un'elite culturale e politica all'interno della comunità. Bisogna, tuttavia, distinguere tra il metodo formativo ateniese e quello spartano. Certamente nel particolarismo delle città greche, dovuto principalmente a ragioni morfologiche del territorio, alla sua montuosità, che creò barriere naturali e che non giocò di certo a favore di un'omogeneità culturale. Atene predilesse un'educazione principalmente umanistica, basata fondamentalmente sull'apprendimento della scrittura, della lettura, del canto, della musica, per il livello elementare e sulla conoscenza dei primordi della letteratura e della retorica per il livello superiore.

Sappiamo, comunque, che non esisteva ad Atene nessuna disposizione di legge che imponesse l'obbligo scolastico. Si ricorreva, quindi, facilmente, ad un maestro privato, naturalmente per i figli delle famiglie più illustri. La presenza di un "tutor" sarebbe rimasta una costante anche nei secoli successivi, appannaggio delle famiglie nobili e abbienti. Pensiamo, ad esempio, al grande Giacomo Leopardi: egli si avvalse per i suoi studi della ricca biblioteca paterna e della presenza di un gesuita che lo iniziò fin da tenera età allo studio del latino, del greco e dell'ebraico.

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L'esercito romano

(parte seconda)

Laura Benatti

Como, 14 novembre 2015.
La severità dei generali (in lat. duces/imperatores) nei confronti dei loro eserciti non provocò, come potremmo aspettarci e a parte alcune eccezioni, malcontento tra i soldati, bensì un legame di stima e di fiducia incondizionate tra le truppe stesse ed il comandante. Questo in effetti, oltre ad esigere disciplina, ordine e obbedienza, sapeva essere anche molto generoso. I bottini di guerra (in lat. spolia) che avesse ottenuto nel corso delle campagne militari nelle varie province dell'Impero (oro, pietre preziose, oggetti di lusso, schiavi ecc...), sarebbero stati condivisi con i suoi uomini, i quali, a tal punto, sempre più soddisfatti, gli avrebbero assicurato, una volta tornati in patria, tutta la propaganda e l'appoggio per ottenere i voti necessari per la sua carriera politica.

Si trattava, infatti, di personaggi per lo più appartenenti ad una gens (stirpe) aristocratica: pensiamo ad es. a Giulio Cesare che vantava una discendenza dalla dea Venere. Secondo il mito, Venere era stata madre di Enea, padre di Iulo/Ascanio, progenitrice della gens Iulia alla quale Giulio Cesare apparteneva.

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L’esercito romano

(Prima parte)

Laura Benatti.

Como, 31 ottobre 2015.
Roma 'caput mundi': come arrivò questo piccolo borgo di pastori e di agricoltori a dominare su così numerosi e così eterogenei popoli? La risposta non è semplice, ma sicuramente per le strategie che spesso adottò contro nemici ben più forti. Ricordiamo a questo proposito il 'divide et impera' di Giulio Cesare, 'separa i tuoi avversari e trionferai', o ancora, l'oro con il quale i Romani nel 390 a.C. corruppero i Celti che avevano invaso l'Urbe, spaventando terribilmente i suoi abitanti con il fragore di oggetti metallici, con il suono di corni e... con la loro statura!.

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