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- Categoria: Mito
- Pubblicato Domenica, 25 Marzo 2018 07:02
Alessandro Magno rivive nelle moderne strategie politiche
(I parte)
Logos e Mythos
Laura Benatti
Como, 23 marzo 2018.
Alessandro Magno, un mito. Nel corso della sua brevissima, ma intensissima vita (356 a.C. /323 a.C.), dovette affrontare difficoltà e ostacoli di ogni natura che superò quasi sempre in modo superlativo attraverso strategie che solo il suo genio strategico avrebbe potuto escogitare…
E allora perché non lasciarsi consigliare da lui ancora oggi? La nostra animosità, il nostro orgoglio, la nostra “dignità” spesso ci inducono a rifiutare radicalmente amicizie o alleanze, ci impediscono di venire a patti con chi non condividiamo in parte o completamente, con chi ci mostra antipatia, o peggio ostilità, oppure con chi abbiamo superato e consideriamo ormai un “perdente”, ma ciò, ci direbbe il Macedone, è profondamente sbagliato.
Alessandro dopo avere sbaragliato l’esercito persiano nella battaglia di Isso (333 a.C.), rese prigionieri la moglie, la madre, gli schiavi di Dario III, il Gran Re dei Persiani, e s’impadronì di numerosissimi oggetti di inestimabile e straordinario valore. E, fin qui, nulla di strano, quanti leader gloriosi antichi e moderni hanno compiuto ciò? Innumerevoli, ma quello che caratterizzò particolarmente e unicamente il comportamento del Macedone fu di trattenere presso di sé queste figure reali e di considerarle e trattarle con il massimo rispetto, non con la superbia e la prepotenza proprie di un vincitore, ma alla pari. Sappiamo da alcuni suoi biografi (ricordiamo ad es. Plutarco, Curzio Rufo) che egli venne considerato dalla madre di Dario III come un figlio naturale e che Alessandro sposò la figlia maggiore di Dario III, Statira.
A cosa condussero questi suoi gesti? Certamente, oltre a permettergli di guadagnare l’affetto dei congiunti del Gran Re (ma evidentemente non era questo il suo principale scopo), ebbero conseguenze formidabili sul piano politico: guadagnandosi la stima e anche la gratitudine dei nobili Persiani, avviò quel “processo di integrazione” che avrebbe trasformato radicalmente il mondo greco.
Quando Alessandro conquistò le regioni della Sogdiana e della Battriana, fece prigioniero il nobile Oxyartes, il quale aveva una figlia, Roxane, conosciuta per la sua rara bellezza. Alessandro non la rese schiava, ma la sposò e fu l’unica donna che amò intensamente per tutto il corso della sua breve vita, oltre naturalmente alla madre Olimpia. Alla morte di Alessandro nel 323 a.C., Roxane, in attesa di un figlio, il futuro Alessandro IV di Macedonia, si trovò coinvolta nelle lotte fra i diadochi o successori. Protetta dal leale Perdicca, al quale Alessandro agonizzante aveva affidato la reggenza per il futuro figlio, Roxane organizzò l'assassinio di Statira, probabilmente incinta di Alessandro. Rimase a Babilonia forse fino al 319 a.C., protetta da Perdicca, ma questi, ultimo fedelissimo di Alessandro, venne assassinato a tradimento sul Nilo.
Roxane passò così in Macedonia, protetta da Antipatro, un altro fidato generale di Alessandro, e da lì si trasferì in Epiro presso Olimpia, madre di Alessandro. Olimpia si preoccupò di Roxane e della reggenza di suo nipote, ma venne eliminata da Cassandro nel 315 a.C., insieme ad altri nobili macedoni. Roxane ed il figlio, dopo essere stati tenuti prigionieri, vennero fatti avvelenare dal crudele Cassandro, nel 309 a.C.
Ma le truppe di Alessandro, quando lui aveva scelto come consorte Roxane, avevano approvato questa scelta? Assolutamente no! I soldati del Macedone consideravano Roxane solo una barbara; vi furono anche alcuni tentativi di ammutinamento contro la “politica di integrazione” avviata da Alessandro. Egli, già da tempo, aveva cercato di integrare Greci e Orientali: adottandone l’abbigliamento, le usanze e, in generale, la cultura orientale (come ad esempio, la divinizzazione del sovrano, con il rituale della “proskynesis” o “genuflessione”, tipica dei Paesi orientali che contrastava in modo stridente con la tradizione greca; l’uso del diadema come insegna di dignità regale proprio dei principi asiatici, soprattutto del Gran Re di Persia, il quale portava avvolta intorno al capo una benda purpurea intessuta di bianco che cingeva il turbante o tiara.
Quando Alessandro abbatté l’Impero persiano e si proclamò erede del Gran Re adottò anch’egli il diadema. Promosse l’unione tra circa dieci mila macedoni e donne asiatiche e persiane. Favorì i Persiani tra i suoi collaboratori, ministri, governatori, generali e soldati.
Alessandro oltrepassò in questo modo la barriera dell’ostilità che da lunghissimo tempo aveva contrassegnato i rapporti tra Greci e Persiani in nome di quell’integrazione che avrebbe capovolto per sempre il mondo delle poleis greche. Per primo poggiò il piede sul suolo troiano e gettò, simbolicamente, dei semi sul terreno “sacro”, pianse gli antichi eroi greci e troiani, in particolare il grande Achille che da sempre adorava, si recò al tempio di Atena ove raccolse delle armi, che si raccontava risalissero al tempo della guerra di Troia, probabilmente appartenute ad Achille stesso, e le tenne sempre con sé.
Con questi gesti Alessandro volle mettere in luce la sua identità di “eroe”, degno di essere posto sullo stesso piano degli immortali personaggi omerici, e la sua identità di mezzo dell’integrazione tra Occidente e Oriente. Quando Alessandro si recò a Pasargade, che era stata la capitale della dinastia degli Achemenidi per moltissimi anni e, visitando la città, scoprì che la tomba di Ciro il Grande era stata dissacrata e depredata empiamente da vandali, ordinò prontamente che venisse riportata alla sua dignità originaria. Tale decisione avrebbe rafforzato ulteriormente l’integrazione tra Greci e Persiani e confermato l’identità reale di Alessandro. Infatti egli non solo avrebbe sostituito gli Achemenidi nel Regno persiano ma, nello stesso tempo, sarebbe stato il continuatore della tradizione e della cultura orientali.
Con la battaglia sul fiume Hydaspes Alessandro sconfisse il re indiano Poros, aprendo l’Impero persiano agli orizzonti più orientali. Ne seguì un accordo di alleanza che Alessandro e Poros sottoscrissero e che obbligò moralmente Poros e i suoi eredi a restare fedeli ad Alessandro e ai suoi successori.
Possiamo oggi sperare di ritrovare ancora in alcune popolazioni attuali i lontanissimi discendenti dei soldati del mitico Alessandro Magno? Un'ipotesi interessante li individuerebbe nel luogo di Malana. Si tratta di un villaggio di circa duecento case in legno o pietra, a due o tre piani, situato nell'estremo nord dell'India, alle pendici dell'Himalaya, in quella che è denominata "la valle degli dei", ad oltre tremila metri di quota. Essendo completamente separato dal resto del mondo dall'altitudine e dalle strade non facilmente percorribili, è rimasto congelato nella notte dei tempi.
Malana è chiamato anche "piccola Grecia" perché possiede la più antica forma di democrazia; qui le decisioni più importanti vengono prese nella piazza principale che ricorda l'agorà delle poleis greche, alcune parole della lingua parlata dagli abitanti (il Kanashi, un misto tra sanscrito e lingue tibetane) sono quasi certamente di derivazione greca. Lo stesso si può affermare di diverse decorazioni architettoniche che ornano i loro edifici, il medesimo sistema giudiziario applica invariato da secoli uguali regole, il loro culto religioso risulta completamente diverso da quello degli altri riti tradizionali della regione. Dominano, inoltre, su Malana quattro clan, di cui uno è il più importante e questo ricorda molto da vicino il "ghenos" greco.
Nel 2008 un terribile incendio ha distrutto completamente metà del villaggio e durante le operazioni di rimozione delle macerie e di ricostruzione sono state rinvenute monete d'oro e argento in grande quantità, rimaste sepolte sotto i templi per secoli e secoli. Gli abitanti di questo villaggio, sperduto e irraggiungibile, affermano con convinzione di essere i discendenti di quei soldati di Alessandro Magno che, secondo alcuni studiosi, nel 326 a.C., come narra il biografo greco Plutarco, sconfissero nella battaglia del fiume Idaspe il re Poro e l'aspetto che sorprende maggiormente e che corrobora tale ipotesi sono i tratti somatici dei suoi abitanti: pelle ed occhi chiari, capelli biondi.
Questa fu l'ultima impresa del Macedone, quella in cui il condottiero perse il suo amato ed inseparabile cavallo Bucefalo, compagno e amico di tante azioni gloriose, quella in cui, a causa di una ribellione, dovette rinunciare al suo progetto di raggiungere il limite del mondo conosciuto e tornò sui suoi passi per morire, tre anni dopo, a Babilonia. Ora gli abitanti di Malana affermano di discendere proprio da quei soldati di Alessandro Magno che nel loro ripiegamento verso la Grecia avrebbero preferito fermarsi in questa valle e sposarsi con indigene piuttosto che seguire nuovamente il loro condottiero.
Alessandro attribuì estrema importanza nel corso di tutte le sue spedizione a gesti di forte significato simbolico e alla divulgazione di leggende sulla propria discendenza da eroi mitici (Eracle e Achille) o da divinità. Famoso l’episodio, raccontato da Plutarco, in cui Alessandro, recatosi nell’Oasi di Siwa per interrogare l’oracolo di Zeus Ammone riguardo alle sue campagne militari, avrebbe ricevuto la rivelazione di essere figlio di Zeus Ammone e la conferma di essere destinato a fondare un impero universale. Egli si impegnò fino allo stremo ad amalgamare le culture delle diverse etnie che abitavano le terre che si trovò a unificare sotto il suo comando, dimostrando una disposizione al sincretismo estremamente insolita per un occidentale del suo tempo.