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La quercia, l'albero di Goethe

Laura Benatti

Como 25 agosto 2016.
Intorno alla quercia dove J.W. Goethe (1749/1832) amava recarsi per comporre le sue opere è stato edificato il campo di sterminio di Buchenwald.
Tale luogo di orrore venne costruito nel 1937 dalle SS in seguito alla distruzione di più di cento ettari di fitto e verdeggiante bosco, che il grande poeta amava moltissimo ma, in particolare, di cui adorava un'antichissima quercia presso la quale aveva trovato in più occasioni non solo ispirazione, ma anche, per un'anima così vibrante, sollievo dalle numerose sofferenze d'amore.

Ora, in tale scempio, la crudeltà umana per un attimo brevissimo piegò il capo in segno di rispetto  difronte alla genialità dell'artista e risparmiò questo albero, costruendovi intorno il noto luogo di terrore.

Morto nella città di Weimar, Goethe ottenne dalla comunità del posto il privilegio che tale albero fosse per sempre legato al suo nome e, per questo, ricordato nei secoli come "la quercia di Goethe".

Weimar da lungo tempo fino ad oggi si è mostrata sensibile all'arte, sappiamo che essa fu nel XVIII e nel XIX secolo uno dei maggiori centri della cultura tedesca: vi soggiornarono, infatti, grandi personalità come Bach, Liszt, Wagner, Schiller, Nietzsche. Ancora oggi è nota come illustre sede in tutto il mondo della "Hochschule für Musik Franz Liszt".

Ma la quercia rappresentò un luogo di rifugio e di riflessione anche per un altro grande della letteratura: il poeta e drammaturgo italiano Torquato Tasso (1544/1595).
Si tratta della famosa quercia del Gianicolo a Roma che il poeta Giacomo. Leopardi visitò e sotto la quale pianse ricordando il Tasso che nell'ultimo mese di vita si recava proprio sotto quella pianta per, come diceva lui, "cominciare la sua conversazione in cielo...".

Ma per quale motivo la quercia ispirò poeti, rappresentò sentimenti religiosi in epoche così distanti fra loro?
Probabilmente per il senso di sicurezza che scaturisce da questa creatura  che sembra accogliere sotto la sua grande ombra chi le si affida, come una madre che protegge tra le braccia i figli che a lei si rivolgono. Anche sotto il profilo linguistico abbiamo conferma di ciò: in latino "quercia“ è  "robur". Il termine è legato a "roboris" il genitivo singolare delsostantivo "vis", che in latino significa appunto "forza".

La quercia rappresentò anche nel mondo classico l'icona della forza e del vigore fisico e morale per l'imponenza del suo tronco e per la bellezza delle sue fronde.

Sappiamo che a Roma con le foglie di quercia si intrecciavano le corone "civiche" da porre sul capo di cittadini particolarmente valorosi che avevano profuso tutte le loro energie e il loro coraggio in difesa della patria. Nella mitologia romana le querce rappresentano l'abitazione di Ninfe, le Driadi e le Amadriadi (in greco antico "quercia" è "drys"). Le Driadi avevano il privilegio di potere scappare dall'albero prima che cadesse a terra abbattuto, le Amadriadi morivano insieme a lui senza mai abbandonarlo (in greco antico "ama" . introduce il complemento di compagnia/unione)

Anche per i Galli Cisalpini la quercia era da considerarsi una pianta sacra perché ritenevano che fosse abitata al suo interno da divinità e per questo costruirono navi e scudi con legno di quercia. Inoltre il vischio che germoglia sulle querce produce delle bacche che secondo i sacerdoti dei Galli, i Druidi, sono  segno di fertilità.

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