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- Pubblicato Domenica, 05 Febbraio 2017 17:31
L'Europa della paura
Romano Prodi ospite all'Istituto Italiano di cultura di Monaco
Monaco, 30 gennaio 2017.
Dopo il benvenuto del direttore Francesco Ziosi, Romano Prodi, intervistato da Carmen Romano, Projekt Manager della Georg-von-Vollmar-Akademie, ha risposto a domande afferenti ai temi dell’economia, dei rapporti internazionali e delle prospettive per l’Europa.
Ma ha subito gelato il numeroso pubblico: “Non sono venuto a parlarvi di rose e fiori”. Queste le parole, inquietanti, con cui l'ex-presidente della Commissione Europea ha voluto sottolineare la gravità dello stato di salute in cui versa l'Europa a sessant’anni dalla firma dei trattati istitutivi della Comunità Europea.
“Negli ultimi anni abbiamo avuto una serie di tensioni mai viste prima, tensioni che sono il frutto della paura. La nuova Europa da dieci anni è l’Europa della paura”. Paura degli emigranti, paura della crisi economica, paura della rottura di regole e vincoli finanziari. “Brexit non è stato l’inizio di una rottura, ma il punto culminante di una serie di tensioni che si sono verificate in passato”. L’esempio più illustre, secondo Prodi, è stato il caso greco. Ma anche le tensioni tra Italia e Germania, o quelle tra sud e nord dell’Europa hanno drammaticamente contribuito arrivando a livelli che mai prima si erano avuti.
Prodi ha voluto comunque parlare, inizialmente, della storia: l'Europa a sei, a nove, a dodici e poi i successivi allargamenti. Ha ricordato, non senza una punta di orgoglio ma anche con tristezza, della grande capacità di attrazione che l’Unione Europea ha esercitato fino a quindici anni fa. L’idea fondamentale era che l’Europa portava contenuti e valori nuovi nella scena politica mondiale. “Lo stato moderno, nato a Westfalia e fondato su esercito e moneta nazionali, veniva superato dalla moneta comune e si pensava anche a una unione militare”. Poi il grande salto indietro: la Costituzione, così faticosamente preparata, veniva bocciata da Francia e Olanda. “Da allora sono stati fatti solo passi indietro”. Il grande disegno dell’Unione è stato sempre più faticoso e l’aggravarsi della crisi economica ne ha messo in rilievo gli aspetti più problematici e pericolosi.
“Da presidente della Commissione mi è stato rimproverato e ancora mi si rimprovera l’allargamento da 15 a 25 paesi, allargamento che io ho ritenuto indispensabile. Pensate cosa succederebbe oggi se la Polonia fosse nella stessa situazione dell’Ucraina. Per me la gestione della Commissione a 15 Paesi e a 25 Paesi non faceva differenza, la vera differenza era sempre la Gran Bretagna perché aveva obiettivi diversi. Perché aveva una alternativa cosa che gli altri Paesi non avevano”.
L'alternativa a cui ha fatto riferimento il Professore è poi stata chiarita subito dopo: quella di poter facilmente uscire dall’Unione privilegiando il legame con l’America. La situazione infatti è diventata ancor più problematica quando Brexit “si è connessa all’arrivo di Donald Trump. L’arrivo di Trump ha trasformato la diversità britannica in una rottura con l’Europa. Ho trovato di enorme gravità l’attacco diretto che Trump ha fatto alla Germania. Non ha fatto un attacco all’Europa in genere, ha fatto un attacco all'Europa come schiava della Germania, in modo da dividere la struttura politica europea”.
Con Trump, secondo Prodi, non ci saranno più rapporti privilegiati, ma solo rapporti strumentali e questo caratterizzerà particolarmente le relazioni con Russia e Cina. Quanto all’Europa Trump farà in modo che il gap tra Euro tedesco e Euro degli altri Paesi possa aumentare fino alla rottura. “Trump ha intuito, da uomo d'affari, qual è il punto debole della nostra situazione. La mossa di dividere l'Europa soprattutto dividendo la Germania dagli altri Paesi è una mossa strumentalmente forte dal punto di vista politico”.
Si è poi parlato dei confini europei. “La mia idea dei confini dell'Europa comprendeva inizialmente i Balcani e anche la Turchia. Oggi la Turchia è diventata una potenza regionale la cui politica ambivalente è incompatibile con quella dell’Unione. Il disegno di venti anni fa è oggi impensabile e tuttavia in linea teorica rimane importante per il raggiungimento della pace in un’area cruciale per l’Europa”. Romano Prodi ha rivelato che a questo proposito l’amico Helmut Kohl un giorno gli disse: “I tedeschi non vogliono l’Euro perché sono legati al marco, io l’Euro lo voglio perché mio fratello è morto in guerra”.
“Helmuth Kohl ha voluto sottolineare il senso politico dell’Euro prima di quello economico”. Ma tutte le decisioni economiche possono essere prese solo se c’è un profondo senso di solidarietà politica. “Questo significato di solidarietà politica oggi purtroppo non c’è più. La conseguenza è stata il passaggio di potere totale dalla Commissione, organo supernazionale, agli stati nazionali. Lo abbiamo visto in particolare durante la crisi greca. La trattativa è stata fatta non tra Bruxelles e Atene, ma tra Berlino e Atene”.
Durante l'incontro, e non poteva essere altrimenti considerata la sede, si è anche parlato del ruolo che la cultura ha nel vecchio continente. “Le radici culturali sono più profonde di quanto non pensiamo. Ho insegnato parecchi anni all'università di Bologna. Chi visita la vecchia sede dell’università trova gli stemmi degli studenti che da tutta l’Europa sono giunti in quella città fin dal ’400. Il vincolo culturale in Europa esiste e anche nel secolo scorso, segnato da grandi tragedie, c’è stato un elemento comune tra i paesi europei, quello di voler estendere la sicurezza sociale”.
“Va detto che l’Unione Europea ha lavorato per promuovere lo sviluppo sociale e culturale. Esempio ne sono i tre o quattro milioni di studenti del programma Erasmus. Certo si potrà dire che l’Erasmus ha avuto come frutto più bambini che premi Nobel... ma tutto sommato il programma ha contribuito a creare in una intera generazione la consapevolezza che i valori comuni sono più forti delle differenze”.
Ma il vero problema - e qui finiamo con una nota di commento - è che la società europea non riesce a tradurre i valori comuni in propositi lungimiranti. Soprattutto, non riesce a produrre una nuova generazione di giovani politici in grado di contrastare il consenso che riscuotono i partiti nazionalisti, populisti e xenofobi. Cosa deve succedere perché questo avvenga? A questa domanda, che è stata rivolta al Professore alla fine dell’incontro, Romano Prodi ha risposto con parole di allarme e di monito al tempo stesso: è vero, mancano politici di qualità; anche per questo “nessun Paese europeo potrà affrontare da solo le sfide attuali, comprese quelle della globalizzazione. Se non ci mettiamo insieme firmiamo la nostra fine e rischiamo una decadenza secolare".