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- Pubblicato Martedì, 16 Febbraio 2016 10:21
Crisi di leadership
Amaro bilancio della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco
Monaco, 15 febbraio 2016.
La 52esima Conferenza sulla Sicurezza di Monaco ha avuto luogo dal 12 al 14 febbraio scorsi in un clima di grande incertezza dovuta alle numerose crisi internazionali. La conferenza è il più importante appuntamento, a livello mondiale, in cui si discute di sicurezza globale. Molti i capi di stato convenuti, moltissimi i ministri, soprattutto degli esteri e della difesa, svariate le delegazioni istituzionali, i rappresentanti ONU, militari e della Nato. Intorno a loro e intorno all’albergo sede della conferenza un miniesercito di poliziotti ha assicurato la sicurezza della manifestazione. Quest’anno ne sono stati allertati 3700. Per non parlare del personale addetto all’organizzazione, alla logistica, ai servizi. I giornalisti accreditati sono stati circa un migliaio.
Ogni anno nei tre giorni in cui si tiene la conferenza si ha la sensazione che la città sia in assetto di guerra. Contestualmente hanno luogo manifestazioni contro la guerra e cortei di protesta. Paradossalmente le dimostrazioni per la pace mettono a dura prova la pace cittadina e con essa la reputazione della città notoriamente assai sicura. Quest’anno i manifestanti sono stati circa tremila e le dimostrazioni, nonostante la presenza di circa 250 black bloc, si sono svolte pacificamente.
La lista delle personalità partecipanti è lunghissima, in totale quelle riportate nel “conference booklet” distribuito alla stampa sono 584. Come e più degli anni scorsi gli argomenti all’ordine del giorno sono stati le guerre in corso, in particolare in Siria e in Ucraina, la lotta al terrorismo e l’emergenza migratoria.
La 52esima edizione della conferenza per la sicurezza si farà ricordare per le dichiarazioni forti e gli scambi di accuse. Moltissime quelle rivolte alla Russia per i suoi interventi nei due paesi suddetti. Un intervento che forse più di altri merita menzione è stato quello del ministro degli esteri dell’Arabia Saudita Adel Al-Jubeir. Egli ha affermato che non ci sarà pace in Siria fintanto che il presidente Bashar al-Assad resterà al suo posto: “un uomo che ha causato la morte di trecentomila persone, la fuga di dodici milioni di siriani e che ha distrutto il proprio paese non può avere un futuro in Siria”.
Quanto alla lotta ai militanti dell’ISIS il ministro li ha definiti “psicopatici, guidati da uno psicopatico, individui che nulla a che fare hanno con la religione islamica”. Ma la dichiarazione più forte del ministro saudita è stata l’ammonimento lanciato al presidente russo Vladimir Putin relativamente alle conseguenze del suo sostegno al regime di Bashar al-Assad: "abbiamo detto ai russi che, intervenendo a fianco di Assad e dell'Iran, essi rischiano di diventare i combattenti di una guerra di religione. Questo è molto pericoloso". Nell’estesissimo territorio della federazione russa vivrebbero ben venti milioni di musulmani sunniti e il paese, secondo il ministro, non può combattere a fianco degli sciiti contro sunniti.
Le molteplici e svariate critiche agli interventi della Russia hanno suscitato la reazione del primo ministro russo Dimitrij Medvedev, che ha dichiarato che siamo di nuovo in una guerra fredda. Se questo è vero, una cosa va rilevata con allarme: durante la guerra fredda la situazione era ben diversa da oggi perché, nonostante la minaccia di una guerra nucleare globale, non c’era la crisi di leadership che c’è oggi. Questa crisi riguarda certamente gli Stati Uniti d'America, sempre meno interessati alle questioni d’oltre atlantico. Riguarda istituzioni come l'ONU e la Nato. Ma la crisi riguarda in modo particolare l’Unione Europea, dove il processo di integrazione invece di accelerare rischia una battuta di arresto e dove Angela Merkel, l’unica leader con uno spessore di grande statista e con una visione strategica, rischia di essere messa in minoranza all’interno del suo stesso paese.