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Il pilastro del cielo

Il significato degli alberi nella mitologia e nelle favole

Patrizia  Gelli

Como, 20 settembre 2015.
Gli alberi nella notte dei tempi dovettero apparire come espressioni miracolose della madre terra, simbolo del rinnovarsi delle stagioni e quindi della vita.
Successivamente tutte le civiltà rivendicarono il loro albero sacro. Così gli alberi entrarono nelle filosofie delle più complesse religioni rappresentando, con la loro verticalità, il desiderio di ascesa spirituale proprio di ogni uomo.
Inoltre si identificarono con il legame tra tre mondi: il sotterraneo, o degli inferi con le radici, quello della superficie terrestre con il fusto e quello dell'aria con la chioma, fino a diventare universalmente  ‘l'asse del mondo’  o  ‘il pilastro del cielo’.

Quali ragioni possono avermi indotto a trattare un argomento considerato così insolito, a parlare di creature che non hanno movimento, che non emettono parole né suoni? Cercherò di spiegarmi...

La natura, il bosco in particolare, ha la capacità di rasserenare l’anima, di trasmettere una quiete quasi metafisica, divina; un tronco comunica sicuramente l’idea di forza: alzando, infatti,  lo sguardo verso la cima di un albero si ha l’impressione di avere davanti un vero e proprio ‘pilastro del cielo’, pronto a fare da scudo per proteggerti contro le avversità. L’albero deve fronteggiare le difficoltà naturali e i “maltrattamenti” da parte dell’uomo; eppure, nonostante ciò, continua ad offrire agli abitanti della terra fiori, frutti ed ossigeno, instancabilmente…

Per tali motivi e, probabilmente, per molti altri questo tema ha ispirato l’ingenua mentalità popolare e ha soffiato come vento tra le fronde dolci parole nell’animo di artisti che lo hanno considerato come un ponte immaginario lanciato verso una realtà metafisica, una meravigliosa creatura vivente e sempre protettiva nei nostri confronti tanto da spingere poeti e narratori di tutti i tempi ad immaginare una fusione dell’uomo con la natura stessa.

I fratelli  Grimm sono i primi che hanno raccolto favole popolari e favole d'autore. La raccolta si chiama "Kinder- und Hausmaerchen" (favole domestiche e per bambini ndr). Emerge tra queste Cappuccetto Rosso: la permanenza nel bosco mostra che Cappuccetto Rosso ha vissuto una fase di passaggio dall'ingenuità della fanciullezza all'accortezza della fase più adulta. Prima di entrare nel bosco, infatti, la bambina era caratterizzata da una mentalità infantile. Questa la introduce agli occhi dei lettori  come un essere assolutamente  ingenuo e indifeso.
Tuttavia,dopo i pericoli affrontati nel bosco(ad es. l'incontro con il lupo), Cappuccetto capirà che lei stessa dovrà affrontare ogni situazione difficile con coraggio e determinazione e che dovrà riuscire a superare tutti i suoi limiti. Per questo motivo, la permanenza nel bosco rappresenta  per la protagonista una fase di passaggio.

Nella letteratura latina all’interno de Le Metamorfosi del poeta latino Ovidio (I d.C.) si ritrova la commovente vicenda di Filemone e Bauci.
Zeus ed Ermes vagando per la Frigia con sembianze umane chiedono ospitalità ovunque, ma solo la coppia di casti sposi Filemone e Bauci risponde positivamente al loro appello. L’ira scatenata da Zeus contro i Frigi, a causa del loro diniego, risparmia i due sposi e la divinità trasforma la loro modesta abitazione in un tempio e promette loro di farli morire insieme mutandoli in un tiglio e in una quercia, uniti da un tronco comune.
Ma qual è il significato di queste due piante?
Il tiglio, pianta longeva, rappresenta la fecondità e quindi l’amore coniugale. Per il profumo dolce e intenso venne consacrato dai Germani alla dea Freya o Frigg, moglie di Odino, di cui lei condivideva la potenza e la sapienza. Madre di Balder, era la dea dell’amore, della casa e della felicità coniugale. Da lei prende il nome il quinto giorno della settimana nelle lingue nordiche: ted. Freitag, ingl. Friday.

La quercia ha in molte civiltà un valore simbolico: nella Grecia antica era sacra a Zeus, che manifestava la sua volontà facendone stormire le fronde nel santuario di Dodona, in Epiro.
Anche i druidi, sacerdoti celtici, erano soliti mangiare ghiande di quercia prima di profetizzare.
Nel Romanticismo la quercia rappresentava la personificazione della forza imperturbabile.
Un ramo di quercia infine chiude a destra l’emblema della Repubblica Italiana e simboleggia la forza e la dignità del popolo italiano.

Anche nella letteratura italiana non è stato dimenticato il ruolo fondamentale degli alberi.
Nella Divina Commedia (Inferno, tredicesimo canto) Dante entra nella selva dei suicidi, dove scontano la loro colpa coloro che furono violenti contro se stessi.  Il luogo è una strana selva, di alberi contorti da cui escono gemiti. Il sommo Poeta tronca il ramoscello di una pianta, in cui è prigioniera l’anima di Pier della Vigna. Essa prima si lamenta e poi narra come, vittima dell’invidia regnante alla corte di Federico II, da giusta nei confronti degli uomini sia divenuta ingiusta verso sé e Dio, suicidandosi.

Procedendo nel tempo, ne La pioggia nel pineto, durante una passeggiata in una pineta vicino al mare, il poeta Gabriele D’Annunzio  e la donna amata, Ermione, vengono sorpresi da un temporale estivo. La pioggia coinvolge i due amanti in una sinfonia di profumi, suoni e sensazioni che li rendono parte viva della natura fino a immedesimarsi con essa e a trasformarsi in creature vegetali. La “favola bella” della trasformazione in elementi del bosco è illusoria ma fonte di serenità e gioia.

Ne Il barone rampante di Italo Calvino il protagonista, Cosimo di Rondò, per sfuggire ad una punizione del padre, decide di abbandonare la terra e salire su un albero, dove vive, legge e si prende cura di piante e animali. Molti personaggi vanno a trovarlo ammirando la sua scelta di vita, giustificata dal desiderio di vedere meglio dall’alto quanto accade sulla terra. Egli morirà senza essere mai disceso dall’albero, anzi si aggrapperà alla fune di una mongolfiera che lo porterà lontano. Ne Il barone rampante l’albero con la sua altezza diventa luogo privilegiato da cui osservare la terra secondo “la prospettiva dell’intellettuale”. La distanza diviene insieme privilegio e segno di esclusione. Cosimo rappresenta in tal modo  la figura dell’intellettuale moderno, capace di vedere dall’alto la realtà rimanendo però escluso da essa.

Era il mondo ormai a essergli diverso, fatto di stretti e ricurvi ponti nel vuoto, di nodi o scaglie o rughe che irruvidiscono le scorze, di luci che variano il loro verde a seconda del velario di foglie più fitte o più rade, tremanti al primo scuotersi d’aria sui peduncoli o mosse come vele insieme all’incurvarsi dell’albero. Mentre il nostro, di mondo, s’appiattiva là in fondo, e noi avevamo figure sproporzionate e certo nulla capivamo di quel che lui lassù sapeva… (da''Il barone rampante'' di Italo Calvino)

 

 

 

 

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