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La Cascata delle Marmore

La forza della natura e l’ingegno umano uniti per dare vita ad una spettacolo di impressionante bellezza

Der Wasserfall von Marmore bei Terni gehört mit 165 Metern Gefälle zu den höchsten Europas. Er ist künstlich, und das Ergebnis einer „Entsumpfung“, die bereits in der Zeit der Alten Römer stattgefunden hatte. Mehrmals wurden sie im Laufe der Jahrhunderte umgebaut. Im Herzen des grünen Umbriens gelegen, sind die Wasserfälle einen Besuch wert. Man sollte nur auf die Öffnungszeiten achten, da das Terrain nur wenige Stunden täglich für Besucher zugänglich ist.

Franco Casadidio

“Impareggiabil cataratta, orribilmente bella”; così, nel IV canto de “Il pellegrinaggio del giovane Aroldo”, George Byron descrive la Cascata delle Marmore, vicino Terni, uno spettacolo e uno scenario sublimi, capaci di suscitare nel visitatore sentimenti contrastanti che spaziano dall’ammirazione allo sgomento per la dimostrazione di potenza che la natura è in grado di offrire in questo angolo dell’Umbria meridionale.

LA STORIA

Se per molte altre cascate vale la distinzione tra origine naturale o artificiale del salto, per quella delle Marmore le cose stanno in maniera un po’ diversa. In epoca preistorica, infatti, le acque del grande lago reatino formato dal fiume Velino, si riversavano nella sottostante valle del fiume Nera con uno stillicidio che interessava un fronte di diversi chilometri. Con il passare dei secoli però, il calcare di cui risultavano ricche le acque del lago, sedimentandosi, finì per sbarrare di fatto la strada alle acque stesse con il conseguente impaludamento della valle reatina.

Nel 271 a.C. il console romano Manlio Curio Dentato pensò di bonificare i terreni scavando un canale che, partendo dal punto più profondo della palude, portasse le acque fino al ciglione di Marmore, e da qui, dopo un salto di 165 metri, nel sottostante letto del fiume Nera.

Il canale ottenne in parte l’obiettivo che Curio Dentato si era posto ma risultò insufficiente per contenere le acque del Velino nei periodi di piena, con il risultato che, a seguito di abbondanti precipitazioni o nei periodi di disgelo, la valle di Rieti tornava a trasformarsi in una grande palude.

Per ovviare ciò, i reatini proposero un ampliamento del canale con lo scopo di migliorare il deflusso delle acque ma questa proposta trovò la ferma opposizione dei ternani preoccupati dalla possibile ondata di piena che dalla Cascata si sarebbe scaricata nel fiume Nera e quindi sulla stessa città di Terni attraversata da quel fiume. Nei secoli seguenti le lotte tra reatini e ternani si trasformarono in vere e proprie guerre per il controllo del canale di scarico delle acque con i primi intenti ad ampliarne portata e pendenza e i secondi che provarono più volte ad ostruirlo completamente.

Tra il XIV e XV secolo l’innalzamento del fondo del canale provocato dai depositi di calcare diminuì a tal punto lo scolo delle acque da riacutizzare il problema dell’impaludamento della piana di Rieti, inasprendo ancor più le lotte tra quest’ultima e Terni.

Nel dicembre 1545 Papa Paolo III incaricò l’architetto Antonio da Sangallo il Giovane di costruire un nuovo canale, ultimato nel 1546 e denominato Cavo Paolino, ma neanche questo riuscì ad evitare l’impaludamento della piana di Rieti. Nel 1596 Papa Clemente VIII affidò a Giovanni Fontana la riattivazione del canale Curiano. Questi aumentò la profondità e la pendenza del canale, munendolo di un Ponte Regolatore che avrebbe dovuto consentire il passaggio solo d’una determinata quantità d’acqua. Tutti questi lavori vennero ultimati nel 1601 e il nuovo canale venne denominato Cavo Clementino. Nonostante il non perfetto funzionamento del Ponte Regolatore, il canale risolse il problema dell’impaludamento della valle, aprendone, altresì, uno di uguale gravità: l’allagamento della Valnerina a monte della confluenza tra Velino e Nera. I calcoli fatti dagli ingegneri pontifici, infatti, non considerarono che l’enorme massa d’acqua che confluiva ad angolo retto nel Nera creava una sorta di muro che impediva il deflusso delle acque del fiume che, di conseguenza, rigurgitavano allagando la Valnerina per circa sette chilometri a monte della Cascata.

Nel 1787, dopo molteplici studi, l’architetto ternano Andrea Vici, risolse il problema creando un taglio diagonale sul secondo balzo noto come “Taglio diagonale di Pio VI” o “cateratta di valle” che deviando diagonalmente parte dell’acqua in caduta, consentiva un migliore deflusso del Nera. Questo intervento diede alla Cascata il suo aspetto definitivo, quello che ammiriamo ancora oggi e che ogni anno affascina centinaia di migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo.

L’IMMAGINE

 

 

È agli inizi del Seicento che la Cascata delle Marmore assume un ruolo fondamentale nella cultura europea, colpendo l’immaginario di viaggiatori, pittori, disegnatori e poeti. Nel tempo si struttura così quel canone di “orrida bellezza” destinato a durare per oltre due secoli. La Cascata conquista il suo definitivo ruolo nella cultura figurativa e poetica del Settecento e dell’Ottocento grazie alla localizzazione di Terni lungo il percorso del Grand Tour, il viaggio che nobili e intellettuali compivano attraverso l’Europa, partendo da Parigi, attraversando il centro della Francia e la Svizzera, per giungere in Italia a completare la propria formazione culturale e approfondire gli studi. Terni si localizzava sulla strada per Roma, la Cascata diveniva una delle bellezze che era d’obbligo vedere. La definitiva fortuna nella cultura europea venne consacrata dai versi ad essa dedicati da George Byron nel IV canto de “Il pellegrinaggio del giovane Aroldo”, dove il poeta definisce la caduta dell’acqua “impareggiabil cataratta orribilmente bella”. Anche Corot, esponente dell’impressionismo, immortala il balzo delle Marmore in numerosi quadri, oltre a molti altri artisti quali Philipp Peter Ross ed Orneore Metelli.

Nel 1945, per opera del pittore ternano Giuseppe Preziosi, la Cascata diventa il marchio della Società Terni, la più importante azienda della città e una delle maggiori imprese italiane.

L’INDUSTRIA

Le acque del Nera e del Velino non furono solo un vincolo per l’uso del territorio o un fenomeno naturale da ammirare, ma anche una risorsa. In età romana le acque del Nera vennero canalizzate per irrigare la pianura ternana, nel medioevo e nell’età moderna per alimentare le ruote idrauliche degli opifici cittadini. In un censimento effettuato nel 1640 risultano attivi in città ben 62 molini, 8 cartiere e 5 concerie; duecento anni dopo i mulini sono diventati 77, le concerie 12, e poi 15 filande, 6 fornaci, 4 mole per scorza tannica, 4 macine di colori e una miriade di piccole e piccolissime altre attività.

Alla metà del XIX secolo con l’avvento dell’industria pesante, l’abbondanza d’acqua diventa fondamentale per lo sviluppo del territorio. Se, infatti, la scelta di costruire a Terni la Fabbrica d’Armi del neonato Regno d’Italia è una scelta strategica, quella di impiantarvi l’acciaieria è, quasi esclusivamente, dettata dalla necessità di utilizzare l’acqua quale forza motrice in luogo dei combustibili fossili, utilizzati in altri Paesi, di cui l’Italia era, ed è, cronicamente carente.

L’industrializzazione impetuosa di cui fu oggetto il territorio ternano tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo fece preconizzare per Terni un futuro come “città dell’industria”, una potenziale “Manchester italiana”, ed in quest’ottica l’uso delle acque dei fiumi Nera e Velino assunse un ruolo di fondamentale importanza.

L’utilizzo del fiume Nera ebbe inizio già in occasione dell’edificazione della Fabbrica d’Armi con la costruzione del canale denominato “Nerino” che, oltre allo stabilimento militare, nel corso degli anni seguenti arriva a fornire forza motrice anche allo jutificio e al lanificio.

Al contrario di quanto accaduto per il Nera, invece, l’uso delle acque del Velino, a causa del grande salto delle Marmore, risultava ancora problematico: bisognerà attendere fino al 1886 per veder sfruttato l’immenso potenziale offerto dalla Cascata, grazie ad una piccola derivazione da 5m3/sec sfruttata dalle acciaierie: una piccola derivazione per un’opera, però, veramente colossale, in grado di azionare tutti i macchinari della grande acciaieria con la sola forza dell’acqua. Un miracolo per l’industria italiana dell’epoca, ammirato ed invidiato anche dagli altri Paesi europei.

Il vero salto di qualità, però, si realizza nel 1896 quando il Comune di Spoleto, sfruttando una derivazione da 0,5 m3/sec, costruisce la prima centrale idroelettrica della zona, e la Società Carburo inaugura a Collestatte il primo stabilimento italiano per la produzione del carburo di Calcio.

In breve tempo la zona diventa teatro di una delle più imponenti opere di industrializzazione d’Italia, con il moltiplicarsi di impianti idroelettrici più o meno grandi azionati dalle acque del Velino e la nascita del grande stabilimento elettrochimico di Papigno, in grado di produrre 40 tonnellate al giorno di carburo di calcio. Ma il vero business è la produzione di energia idroelettrica e la prima a capirlo è la neonata “Terni-Società per l’industria e l’elettricità” un colosso che ha accorpato sotto un unico tetto l’acciaieria, la società per la produzione del carburo, industrie estrattive e minerarie, imprese di costruzioni e laterizi ed altro ancora. Il core business della società diventa ben presto quello idroelettrico con la costruzione della centrale di Galleto a pochi chilometri dal salto delle Marmore, la centrale idroelettrica più grande d’Europa, disegnata dall’architetto Bazzani ed inaugurata nel 1929, capace di utilizzare anche le acque del lago di Piediluco come bacino di invaso, oltre a quelle della Cascata. Ed è proprio per questo utilizzo che, fino agli anni Cinquanta del Novecento, la Cascata delle Marmore resta patrimonio di pochi. La necessità di captare tutta l’acqua disponibile per alimentare le turbine della centrale, infatti, fa sì che la Cascata, di fatto, venga prosciugata e riattivata solo in occasioni particolari, come le visite di qualche esponente governativo o ricorrenze particolari. Fortunatamente, con la costituzione dell’ENEL e la nazionalizzazione delle industrie elettriche, vengono firmati protocolli d’intesa che obbligano la società elettrica a far defluire l’acqua nella Cascata per un numero di ore prestabilito nel corso della giornata, permettendo così a tutti di godere di uno spettacolo tra i più belli al mondo.

LA NATURA

L’ambiente naturale che circonda la Cascata, pur restando di indiscutibile bellezza, porta evidenti i segni di uno sfruttamento selvaggio e, in alcuni casi, al limite del criminoso. A monte e a valle del salto, a distanza di poche centinaia di metri in linea d’aria, fanno “brutta mostra” di sé le cave di roccia sfruttate fino alla metà degli anni Cinquanta per la produzione del carburo di calcio prima e della calciocianamide poi. Il problema ambientale, del resto, era già emerso nei prima anni del secolo scorso quando la società Carburo, per mettere a tacere alcune voci di dissenso sullo scempio che si stava perpetrando, aveva pensato bene di acquistare tutte le montagne del circondario, così da poter agire indisturbata senza nessun tipo di vincolo ambientale.

Nonostante tutto, però, l’ecosistema delle Marmore continua ad offrire uno scenario unico nel suo genere. Tutta l’area è formata da rocce di travertino, assai friabili, che nel corso dei secoli hanno dato origine a cavità carsiche di notevole interesse speleologico oltre che di grande bellezza.

La vegetazione, estremamente lussureggiante e rigogliosa grazie al microclima della zona, annovera grandi esemplari di salici, ontani, lecci, querce che offrono riparo ad una ricca fauna tra i quali si segnalano esemplari di rondine montana, codirosso, il rarissimo biancone ma anche il gheppio e la poiana, istrici, caprioli e gatti selvatici.

Insomma, lo spettacolo dei 300 m3/sec d’acqua che, dopo un salto di 165 metri, si infrangono con un fragoroso rumore sulle rocce del sottostante letto del fiume Nera sono un’esperienza che il mezzo milione di turisti che ogni anno giunge a Terni da ogni parte del mondo difficilmente dimentica per il resto della propria vita.

 

(2009-2 pg 4)

 


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