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- Categoria: Sport
- Pubblicato Giovedì, 22 Ottobre 2015 08:57
Gli sport nell'antichità
(prima parte)
Laura Benatti
Como, 20 ottobre 2015.
Fra le antiche civiltà lo sport assunse molta importanza fra gli Assiri: i loro re si servivano del medesimo carro da guerra per partecipare alle battute di caccia, volendo così rendere manifesta a tutti l'alta considerazione tributata alle attività sportive.
In Egitto, la caccia, che rappresentava un elemento fondamentale di sopravvivenza, venne assunta al ruolo di gara sportiva importantissima al punto che un'eventuale vittoria veniva paragonata ad un successo bellico. Ma è sicuramente presso i Greci che l'attività fisica rivestì somma importanza. Essi basavano fondamentalmente la loro educazione sul potenziamento del vigore fisico, ritenuto di primaria importanza per lo sviluppo mentale. L'allenamento del corpo era inoltre inteso come “bellezza“ e nella società spartana tale insegnamento era impartito anche alle donne. Alcune divinità erano venerate in misura maggiore rispetto ad altre proprio in base alla loro avvenenza o al loro vigore. La religione, infatti, adorava massimamente Apollo e Artemide, simboli di bellezza pura ed Eracle, simbolo di forza.
I Giochi Olimpici si tennero per la prima volta nel 776 a.C. presso il santuario di Zeus ad Olimpia, ritenuto il più famoso fra tutti. Le Olimpiadi si svolgevano regolarmente ogni quattro anni e, secondo il mito, sarebbero state istituite da Eracle in onore del padre o da Ifito, re dell'Elide, su consiglio di un oracolo. Sappiamo dalle fonti che nella prima edizione era contemplata solo la “corsa breve“, ovvero, la velocità, ossia lo “stadio“, pari oggi a 192,97 metri. In quella occasione il vincitore fu un certo Coroibo. La sola corsa venne mantenuta fino al 728 a.C., da quest'anno in poi si aggiunsero anche altre discipline: nel 708 a.C venne aggiunto il “pentathlon“. Le gare si disputavano verso la fine dell'estate nel corso di sette giorni, in un'area sacra. Il primo e l'ultimo giorno erano destinati alle cerimonie sacre e pubbliche, mentre i cinque giorni centrali alle gare vere e proprie: stadio, diaulo o mezzofondo, dolico o fondo, pentathlon o lancio del disco, lancio del giavellotto, salto, corsa e lotta, pugilato, oplitodromia o corsa con le armi, corsa dei cocchi e corsa a cavallo.
A questi giochi potevano assistere tutti (anche schiavi e barbari, ma non le donne sposate). Ai Giochi Olimpici erano ammessi solo uomini liberi di stirpe greca i quali durante il primo giorno dovevano giurare davanti ai giudici sportivi di essersi allenati per dieci mesi consecutivi e che non avrebbero commesso scorrettezze durante le competizioni. Gli atleti avrebbero dovuto gareggiare nudi (perciò era vietata alle donne sposate la vista di tali giochi). Ai giudici spettava il compito di iscrivere gli atleti nelle varie categorie a seconda dell’età e di decidere in merito all'esito delle gare. Queste si svolgevano nello stadio che poteva contenere persino sessantamila spettatori, aveva una lunghezza di 210 metri. Il rettilineo delle corse era di 192 metri mentre l'ippodromo aveva una lunghezza di 750 metri.
I nomi dei vincitori erano proclamati dall'araldo, accompagnati dal nome del padre e della città. Atene ricompensava i cittadini che avevano trionfato ad Olimpia con il mantenimento nel Pritaneo (l'edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato ndr) e si raccontava che una città, per accogliere straordinariamente un vincitore olimpionico, non avesse esitato ad abbattere, in occasione del suo ritorno, una parte delle mura per farlo entrare da una porta dalla quale, fino ad allora, non era passato nessuno.
La partecipazione dei fanciulli alle gare venne vietata sino al 632 a.C: furono comunque sempre esclusi da quelle discipline che richiedevano grande perizia (ad es. quelle equestri e la oplitodromia). Con il tempo, vista l'importanza di queste gare, sorsero in ogni città palestre con istruttori, pagati dallo Stato.