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- Pubblicato Mercoledì, 24 Novembre 2010 17:13
SHUTTLE BOX
Il gruppo primàopoi mette in scena il mistero della mente
„Für dieses Stück wird die Bühne zu einer riesigen SHUTTLE BOX, der Zwei-Fächer-Schachtel, die bei der Tierverhaltensforschung im Labor eingesetzt wird. In SHUTTLE BOX wird die Krankheit nicht verleugnet, sondern - dank der Zauberei des Theaters - eine erweiterte Sicht der Dinge ermöglicht“.Miranda Alberti
A Monaco, all’Amerika Haus, il 13 e il 14 ottobre scorso gli attori del gruppo sperimentale primàopoi, sotto la regia di Marco Pejrolo, hanno dato il meglio di sé in un’emozionante performance musicoteatrale dal titolo SHUTTLE BOX che merita di rivivere in altre repliche. Difficile avanzare critiche a questo ottimo lavoro a meno che non si voglia rilevare l’eccessiva abbondanza e ricchezza degli spunti sufficienti ad occupare lo spazio di due rappresentazioni
distinte. La complessità e l’universalità del tema scelto, infatti, non si lascia facilmente concentrare nel tempo determinato di due tempi scenici. D’altra parte è proprio la difficoltà del tema a rendere grande merito a coloro che coraggiosamente lo hanno affrontato. La domanda inquietante sul funzionamento del nostro cervello ha trovato il luogo ideale del suo porsi e del suo rappresentarsi nello spazio/teatro. Ambedue i momenti hanno tratto reciproco vantaggio da questo connubio. La mente, e in particolare la malattia mentale, ha potuto mostrare il suo straordinario fascino scenico, il teatro, da parte sua, ha saputo riappropriarsi di quella sua primaria funzione di strumento di conoscenza e di indagine che troppo spesso gli viene negata a favore di un più o meno intellettuale intrattenimento. L’azione si avvolge intorno alla dialettica di un dentro e un fuori ipotetico dai mobili confini. Uno schermo trasparente su cui viaggiano le apparenze e le proiezioni dell’immaginazione, un palcoscenico/scatola dentro cui agiscono gli attori/pazienti avvolti nel mistero della loro malattia.
Le diverse lingue che agiscono nel musical vanno a costituire altri limiti, altre scatole di incomunicabilità. Mentre la musica coinvolgente di Andrea Pejrolo è il tessuto connettivo in cui si immergono le individualità con i loro destini. Il punto di vista è quello dello scienziato, di colui, cioè, che vuole penetrare il mistero della mente osservando, in modo al tempo stesso partecipe e distaccato, il fenomeno della follia. In questo punto di vista, suggerito da una voce fuori campo, sono tutti immersi, anche gli ignari spettatori a cui è affidato il ruolo di rappresentare i cosiddetti “normali”, quelli che si trovano fuori dall’istituzione manicomiale e dalle recitate deformazioni mentali. Eppure dentro. Il chirurgo estetico che si è perso nella moderna follia di massa della creazione a comando racconta qualcosa della follia estetica dei normali. Il vecchio/baby alla ricerca ansiosa della morbida culla materna narra di migliaia di rapporti irrisolti con la madre vera o simbolica. La ragazza invecchiata fra i veli di un’impossibile armonia accusa l’assurda disarmonia del mondo normale. La donna che, per rispetto delle buone maniere, si è persa in una presunta stupidità denuncia, in modo pressoché diretto, lo scandalo di un’educazione che continua a negare alla donna il diritto alla propria intelligenza. E infine la giovane danzante che crea nuove e meravigliose costellazioni porge al pubblico, con indicibile grazia, l’erasmiana verità che follia e ragione non sono opposti, ma soltanto aspetti dell’umano pensiero, le cui intime connessioni sono ancora tutte da scoprire. Anche se pensiero e realtà in qualche luogo dell’essere dovessero incontrarsi, nessuno può ancora dire quale pensiero e quale realtà siano destinati ad identificarsi e a riposare insieme nel cuore del mondo. È forse questo il mistero che si nasconde nella follia?
(2006-1 pag 20)