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Lettres Italiennes

De pulchritudine

 Schönheit und Intelligenz sind zwei Eigenschaften, die sich wohl nicht eindeutig und endgültig messen lassen. In Hinblick auf die Schönheit sagt ein Sprichwort, dass man über Geschmack streiten kann und die bisher entwickelten Intelligenztests sind allesamt umstritten. In einer TV-Show urteilte Silvio Berlusconi auf seine ganz besondere Art und Weise über die Eigenschaften der Oppositionspolitikerin Rosy Bindi.

 Corrado Conforti

“Che ggran dono de Ddio ch’è la bbellezza!” dichiara all’inizio di un suo sonetto del 1834, il grande poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli; il quale corrobora poi l’affermazione con una gustosa serie di considerazioni sull’avvenenza fisica, avvenenza – va detto – solo femminile. Belli non era certo il primo a occuparsi dell’argomento. In tutta la letteratura italiana, la bellezza viene costantemente celebrata. Già a partire dal padre delle nostre lettere, Dante Alighieri, che si innamora della sua Beatrice quando questa ha appena nove anni. Di lei dirà nella “Vita nuova” (ma la bambina nel frattempo è cresciuta), che “de li occhi suoi (...) escon spirti d’amore infiammati”. Tanta grazia non è tuttavia per Dante un motivo di concupiscenza, bensì uno strumento per accedere alla virtù e dunque a Dio. Concezione condivisa più o meno anche da Petrarca, il quale ci presenta comunque una Laura assai più sensuale della giovanissima Beatrice. Il grande poeta ne canterà “le belle treccie sopra ‘l collo sciolte” e “le guancie ch’adorna un dolce foco”. Con Boccaccio l’attenzione alla bellezza femminile si faassai meno spirituale; mentre con l’“Orlando furioso” di Ludovico Ariosto la letteratura italiana acquisisce versi sensuali come i seguenti dedicati alla bellissima Alcina: “Bianca nieve è il bel collo, e ‘l petto latte; / il collo è tondo

, il petto colmo e largo: / due pome acerbe, e pur d’avorio fatte, vengono e van come onda al primo margo”. Facendo un salto di tre secoli arriviamo poi a Ugo Foscolo, il quale quando non si occupava della propria pretesa avvenenza (“Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, / crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto”) celebrava quella delle sue amanti, come Antonietta Fagnani Arese, della quale nell’ode “Alla amica risanata” canta sollevato il ritorno del bell’aspetto (“Fiorir sul caro viso / veggo la rosa, tornano/ i grandi occhi al sorriso”). Sessant’anni più tardi Gabriele D’Annunzio, prima di mascherarsi da poetasoldato, interpreterà il superomismo nietzschiano impegnandosi soprattutto nell’arte della seduzione.
Così descriverà, per interposta persona, una delle tante sue conquiste nel romanzo “Il piacere”: “ella aveva appunto le estremità un po’ correggesche, le mani e i piedi piccoli e pieghevoli, quasi direi arborei come nelle statue di Dafne”

 

. Con il ‘900 il culto della bellezza femminile si affievolisce un poco. Gli autori moderni si sforzano di descrivere la banale tragicità dell’esistenza e non possono perdersi in quisquilie come l’avvenenza fisica, che pure tanto aveva occupato i loro predecessori. Resta solo la canzone a celebrarla. E qui ognuno, sforzando la memoria, può tranquillamente fornirsi di esempi. La sera del 7 ottobre scorso il signor B., che tra un festino e l’altro sostiene di trovare anche il tempo di fare quello per cui è pagato dai contribuenti, è intervenuto telefonicamente in una trasmissione televisiva della Rai condotta da un suo adoratore. Schiumava di rabbia il signor B., perché la Consulta, affermando il principio, per lui blasfemo, che la legge è uguale per tutti, lo aveva equiparato al comune cittadino. Alla deputata Rosy Bindi, che s’era permessa di interloquire nel suo profluvio verbale nel quale egli sosteneva trovarsi appena un gradino sotto il Padreterno, il signor B., alludendo alla scarsa avvenenza della Bindi, ha pronunciato la seguente elegante battuta: “Lei, signora, è più bella che intelligente”. Risparmiandoci ogni considerazione su tali maniere da bifolco, note a tutti qui in Germania e in modo particolare al deputato europeo Martin Schulz, ci chiediamo se il signor B., che si dichiara cattolico fervente, sia a conoscenza del passo del vangelo di Luca in cui si sostiene sia assai più saggio occuparsi della trave piantata nel proprio occhio che non preoccuparsi del fuscello presente in quello del vicino. L’improbabile metro e settanta di altezza, la quasi totale assenza di collo, il giro vita che a occhio e croce corrisponde alla circonferenza verticale del tronco, l’alopecia mascherata con un trapianto mal riuscito, gli occhi sempre più chiusi a causa di probabili iniezioni di botulino finalizzate al camuffamento delle rughe, fanno del signor B., che recentemente è entrato nel settantaquattresimo anno di vita, tutto meno che un bell’uomo. Capiamo che le adulazioni dei suoi salmodianti cortigiani lo facciano credere un Adone, ma il signor B. nelle sue tante dimore dovrà pur avere almeno uno specchio, e tale oggetto, si sa, ha il maledetto vizio di raccontare la verità. A meno che il signor B. non abbia fatto come la contessa di Castiglione che, bellissima in gioventù, quando iniziò a sfiorire, velò tutti gli specchi delle sue stanze. Ecco sì, il signor B. deve aver fatto la stessa cosa. E allora noi, in armonia con tale scelta e commossi da tanto patire, ci fermiamo qui e stendiamo su tutta la faccenda il proverbiale velo pietoso.

 

 

(2010-1 pg 16)

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