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- Categoria: lettres italiennes
- Pubblicato Lunedì, 01 Ottobre 2012 18:44
Cuori e lucchetti
Lettres Italiennes
Monaco, 1 ottobre 2012.
Nella piazza che da bambino attraversavo ogni giorno per andare a scuola c‘era, e per fortuna c’è ancora, un platano sul tronco del quale tanti anni fa qualcuno, con un temperino, aveva inciso un cuore. L’incisione era stata abbastanza profonda, perché ci volle del tempo prima che la corteccia, rinnovandosi, lo cancellasse.
In quel cuore, eseguito anche con una certa destrezza, c’erano, mi pare di ricordare (ed è abbastanza probabile che ci fossero), anche due lettere: le iniziali dei due innamorati, delle quali però ho perso il ricordo. Cosa ne sia stato del loro amore mi è ovviamente ignoto, ma è probabile che, esattamente come il cuore che voleva eternarlo, sia progressivamente impallidito fino a svanire del tutto. È raro infatti che gli amori giovanili durino più di qualche stagione.
Di cuori incisi sui tronchi ne ho visti poi degli altri; ma non a lungo.
Presto, con la diffusione dei pennarelli, ai tronchi si sostituirono le pareti dei palazzi, le saracinesche dei negozi e gli interni in formica degli autobus. Il nuovo mezzo consentiva di scrivere frasi intere. Alcune erano la semplice registrazione quasi burocratica del sentimento (Mario ama Antonella); altre esibivano promesse di perpetua fedeltà (Ti amerò per sempre); altre ancora, forse per fare più effetto, si azzardavano in un inglese elementare e spesso improbabile.
La cosa poteva finire lì; ma, si sa, il mezzo produce nuovi comportamenti. Così la vendita delle vernici spray, oltre a insulti e a minacce fra tifoserie calcistiche e politiche, ci regalò la lettura, su muri e marciapiedi, di frasi sciocche (Ti amo cucciolotta) o grondanti di retorica (Sei il mio ieri, il mio oggi, il mio domani). Il risultato però era sempre il medesimo: l’imbrattamento di un pezzo di arredo stradale.
Ma al peggio non c’è mai limite, e noi tutti sappiamo che, prima o poi, in qualche testa bacata nasce un’idea bislacca la quale, come tutte le pensate balorde, ottiene sempre un immenso successo. Così qualche anno fa un mediocre scrittore, in un romanzo nel quale rimestava i languori adolescenziali (lui che viaggiava verso il quarto decennio di vita) ebbe un’idea gravida, ahimè, di conseguenze.
Avendo immaginato che i protagonisti della sua storia romana eternassero il loro amore in un lucchetto che chiudeva una catena stretta intorno a un lampione di ponte Milvio, alla vigilia dell’uscita del suo romanzo si recò nottetempo sullo storico monumento per compiere l’atto descritto. Il romanzetto ebbe successo. Maggiore successo ebbe purtroppo l’atto, il quale da banale qual era, si trasformò in fatale.
Da allora migliaia di lucchetti hanno invaso, non solo ponte Milvio (provocando anche la caduta del suddetto lampione), ma altri ponti in tutta Europa (Europa, sì!) e qualsiasi sporgenza o appiglio di metallo in luoghi panoramici e memorabili.
Ora, il 14 settembre scorso, i lucchetti di ponte Milvio sono stati rimossi. E questa è una buona notizia. Purtroppo però ce n’è anche una cattiva: alcuni di essi saranno collocati nel Museo delle tradizioni popolari (tanto per non incoraggiare questa consuetudine!). Da oggi in poi, insomma, chi insozza un luogo monumentale si riterrà autorizzato a farlo, non solo dalla sua maleducazione, ma dalla decisione di un qualche carneade, sistemato su una poltrona pubblica, in virtù (si vedano le ultime cronache laziali) del suo galoppinaggio politico.
Il cuore inciso su un albero scompariva progressivamente, così come progressivamente si affievoliva la passione giovanile. La ferita si rimarginava lentamente sul tronco che, giorno dopo giorno, si rigenerava proprio come si rigenera quel tanto celebrato sentimento, il quale, nel corso di una vita, tante volte muore e tante volte rinasce. L’affievolirsi del segno mostrava in modo gentile lo scorrere del tempo. Ma un lucchetto esposto alle intemperie, se pure racconta il medesimo succedersi dei giorni, lo fa attraverso l’accumularsi della sporcizia e della ruggine. Nessuna patina delicata, dunque, ma solo il deteriorarsi della materia.
Quando nel XXIII canto dell’Orlando furioso il paladino scopre i nomi di Angelica e Medoro incisi sugli alberi di un boschetto e nella grotta che li ha ospitati, impazzisce. Forse la visione di un lucchetto con i nomi dei due amanti scritti con un pennarello avrebbe provocato una reazione meno drammatica e ci avrebbe negato di conseguenza i versi immortali che abbiamo letto a scuola. Ma quelli erano altri tempi. La Roma di oggi non è la Ferrara degli Estensi. Questa risuonava delle ottave dell’Ariosto. L’altra, ahinoi, della prosa di Federico Moccia.