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Proprietà di linguaggio

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 15 aprile 2011.
In un bel film di qualche anno fa Silvio Orlando, nel ruolo di un giornalista progressista, rimproverava la sua compagna, interpretata da Laura Morante per i suoi accostamenti fra sostantivi e aggettivi. Cecilia (così si chiamava la Morante nel film) chiamava “simpatica” un'insalata di pomodori, “geniale” un succo di frutta, “scomodo” un film  e “pazzesco” un negozio di alimentari. Sandro (questo era  il nome di Orlando) cercava di spiegarle che geniale poteva essere un film e scomodo semmai un negozio di alimentari; quanto all'insalata di pomodori, questa poteva essere buona, cattiva, fresca, marcia, ma pazzesca mai e nemmeno simpatica.
Sandro / Silvio, insomma, cercava di illustrare a Cecilia / Laura l'importanza di quella che si chiama proprietà di linguaggio, vale a dire  la capacità di esprimersi usando sempre i termini appropriati.

Ogni lingua dispone di un numero altissimo di parole, ma ancora più numerosi sono i significati che queste possiedono e che assumono a seconda del contesto nel quale appaiono. Faccio il primo esempio che mi viene in mente, ma sono sicuro che ognuno di voi ne troverebbe di più calzanti. Prendiamo il verbo “avvertire”. Il suo significato è quello di percepire (“Ho avvertito dei rumori in casa”), ma anche quello di “avvisare” (“Ho avvertito la polizia”).

E così può accadere, riprendendo i due esempi che ho messo fra parentesi, che io, inquietato da qualche scricchiolio che ho “avvertito” in casa, ho immediatamente “avvertito” il pronto intervento chiamando il 113.

Si trattava qui di due verbi che possiedono forma identica ma significato differente. In questo caso a volte la nostra lingua presenta differenze di coniugazione. Così il verbo “riflettere” ha due participi diversi a seconda che il significato sia quello di riverberare la luce (“riflesso”) o quello di meditare (“riflettuto”). Nello stesso modo il verbo “inferire” ha la forma “inferito” quando significa “dedurre” e “inferto” quando ha il significato di “portare un colpo”. Ma se l'omonimia è un fatto puramente casuale, la metafora è invece un fatto voluto e che, come pochi altri, arricchisce la comunicazione rendendola viva e spesso pittoresca. Pensiamo a due contesti assai diversi ma, in qualche modo, avvicinabili: la guerra e l'amore. Quello che nella prima è un fatto cruento, la “conquista”, nel secondo è invece un fatto gioioso; e quello che in un contesto bellico è un episodio militare secondario (ma pur sempre violento), la “schermaglia”, nell'amore è spesso un affrontarsi, magari un po' spigoloso, ma comunque carico di sensualità. Ritornando a situazioni più prosaiche, possiamo invece prendere in considerazione il verbo “nutrire”, l'atto cioè di “somministrare alimenti” come spiega il dizionario, che possiamo però usare anche in contesti emotivi, “nutrendo” un risentimento o una speranza, un'avversione o un'inclinazione. Petrarca del resto presenta il suo Canzoniere come una raccolta di sospiri dei quali lui, scrive nel primo sonetto, “nudriva il core”.

Insomma, la proprietà di linguaggio è quella capacità - acquisita grazie a buone letture e buona conversazione - che ci consente di comunicare in modo chiaro e esauriente. Avrete notato infatti che chi dispone di questo talento è sempre sintetico, mentre chi ne è privo è prolisso e verboso.

Il signor B. che ha sempre bisogno di un'ora per dire quello che altri, più colti di lui, saprebbero esporre in cinque minuti, ha voluto ancora una volta spacciarsi per un grande oratore affrontando un tema con il quale (come con moltissimi altri) ha poca dimestichezza: quello dell'educazione. Davanti a una platea di suoi cloni ha stavolta attaccato la scuola pubblica dicendo (anzi urlando, perché il signor B. è convinto che la bontà di un argomento dipenda dal volume con il quale questo viene esposto) che  "Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori".

Risparmiandomi ogni considerazione sul tristissimo destino della parola “libertà” sempre in bocca ai suoi spregiatori, devo rilevare che, ancora una volta il signor B. ricorre, riferendosi al contesto  della trasmissione del sapere, a un termine inappropriato. Un principio non si inculca, ma, appunto, si trasmette; perché scopo dell'educazione è quello di convincere e non di imporre una verità confezionata. Ma è chiaro che il signor B. non sa di cosa parla e, nel suo delirio egolatrico, sovrappone le proprie pulsioni addirittura ai programmi scolastici. Del resto sappiamo tutti che è solito trascorrere il suo tempo libero in tutt'altra compagnia da quella dei libri, e in attività che pur definite con un termine africano, hanno comunque un eloquente corrispettivo italiano.  Anzi, viene il sospetto che la scelta del verbo “inculcare” sia parecchio freudiana. Ma equivocata da un inconscio anche lui, al pari del suo possessore, decisamente illetterato.

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