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Le lacrime di Gianna

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 29 aprile 2021.
Gianna, (la chiamerò così) aveva uno o due anni meno di me. Entrò al mio liceo quando io frequentavo il secondo anno. Era piccola, bruna, un po' fatua; termine questo inappropriato per una ragazzina di tredici o quattordici anni: era solo un'adolescente insicura. Una cosa ricordo bene di lei: i denti. Gli incisivi erano leggeremente irregolari e quando, al secondo anno, iniziò a truccarsi in modo piuttosto pesante, questi le si sporcavano spesso di rossetto, cosa questa che metteva in risalto quel lieve difetto. Abitava nel mio stesso quartiere, ma di lei non sapevo niente. Ricordo che la vedevo salire sul pullman alla fermata successiva a quella in cui salivo io. Il pullman sì, perché il liceo era piuttosto lontano e allora molti (io tra questi) lo raggiungevano grazie a un servizio privato. Con l'autobus di linea (anzi, gli autobus) occorreva molto più tempo.

Bene, immaginate cosa avveniva in quella vettura carica di liceali soprattutto durante il ritorno (all'andata quasi tutti ripassavano la lezione): scherzi stupidi e liti. E la colonna sonora erano grida, risate sguaiate e soprattutto turpiloquio. Violenza no, per fortuna. Quella venne, insieme alla politica qualche anno dopo, ma si svolse (le poche volte che si svolse) in strada.

Ma dicevo di Gianna. Al secondo anno di liceo "si scafò" come si dice. Cominciò a truccarsi, esibì minigonne sempre più corte e assunse un atteggiamento per così dire "provocatorio", ma soprattutto, sempre durante il viaggio di ritorno, si esibì spesso in effusioni un po' spinte con il partner di turno. Si costruì perciò una pessima reputazione e, essendo così libera, vale a dire non negandosi, divenne oggetto di attenzione da parte di quelli che volevano dar sfogo alle loro tempeste ormonali così tipiche di quell'età. Io non so cosa ci fosse dietro quella disponibilità da parte di Gianna: se vero desiderio sessuale o soltanto un tentativo di vincere la propria timidezza o quello di superare un qualche complesso psicologico (non era bella, ma forse tale si sentiva non negandosi), oppure ancora una difficile situazione familiare. Cominciarono presto a girare voci sul suo comportamento così disinvolto, fino a quando mi giunse all'orecchio la chiacchiera più velenosa: era stata con due ragazzi contemporaneamente. Era vero? Era falso? Chi lo sa? La cosa ha poca importanza, fatto sta che, da quel momento, la si vide starsene sempre da sola, avvilita (una volta la vidi addirittura piangere), e l'anno successivo cambiò istituto.

Gianna non è stata spesso nei miei pensieri; ci è tornata da poco, da quando, a mezzo secolo di distanza, rivedo, ogni volta che ritorno a Roma, alcuni dei miei compagni di liceo; esperienza questa molto piacevole, a dispetto di quel cliché letterario e cinematografico secondo il quale le cosiddette "rimpatriate" sono esperienze tristissime. Ma Gianna mi è soprattutto tornata in mente un paio di settimane fa quando, dagli schermi di televisori e pc, si è affacciato in tutte le case un anziano forsennato che, battendo i pugni sul tavolo, ha urlato (unico modo questo con il quale da anni comunica) l'innocenza del figlio, accusato, insieme ad altri tre suoi coetanei, di stupro.

Se i quattro sono colpevoli, lo deciderà la magistraura e non certamente lui con le sue urla belluine, lui che, per la vergogna di questo Paese senza pudore, è il capo di un movimento politico. Quello che io devo constatare con rammarico, a mezzo secolo di distanza dalle lacrime di Gianna, è che per molti in Italia la considerazione della donna non è cambiata, e neanche quella dell'uomo, la cui sessualità rapace (quando lo è) viene ritenuta addirittura inevitabile se non addirittura sana.

Io non so se la ragazza, che comunque, essendo ubriaca, è stata abusata dai quattro, fosse in parte consenziente (ma io non lo credo). Quello che mi irrita e mi disgusta è la mentalità indecente che c'è dietro il fatto. Suppongo che ognuno di questi "quattro coglioni", come li ha definiti il forsennato di cui sopra, abbia una sua ragazza, ma dubito che la condividerebbe nello stesso modo con i suoi amici. Per costoro esistono dunque due categorie di donne: quelle da corteggiare e quelle di cui abusare. Alle prime è dovuto il rispetto, alle seconde no. E non mi sorprende che il figlio del forsennato condivida questa oscena visione. Non era suo padre quello che anni fa lanciò l'hashtag "Cosa fareste in auto con la Boldrini?" [allora presidente della Camera, n.d.r]? Non era lui, quello che definì "una vecchia puttana" il premio Nobel Rita Levi Montancini? Non era ancora lui quello che quando una militante del suo movimento andò a parlare in televisione, la espulse dicendo che le apparizioni televisive sarebbero una sorta di punto G, vale a dire quello che nell'anatomia femminile provocherebbe l'orgasmo. Sarebbe eccessivo e anche ingiusto a questo punto nominare quella sentenza latina che dice talis pater, talis filius. Una cosa però è certa: se quel ragazzo non sa cos'è il rispetto per le donne, è anche perché il padre certamente non glielo ha mai insegnato.

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