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Dagli all’untore!

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 29 agosto 2018.
Nel XXXIV capitolo dei Promessi Sposi Renzo, alla ricerca di Lucia, rintraccia finalmente la casa in cui questa ha soggiornato. Rischia però di fare una bruttissima esperienza quando, volendo farsi sentire dalla donna che dalla finestra gli ha fornito alcune superficiali informazioni, picchia ripetutamente il battente della porta. Un'altra donna, insospettita da quel suo maneggiare quello che Manzoni chiama “il martello”, esplode allora in un grido che a Milano in quei giorni poteva costare la vita: Dagli, dagli, dagli all'untore!Il popolino riteneva infatti che il morbo pestifero fosse diffuso ad arte per mezzo di un unguento malefico che gli “untori”, agenti pagati dai nemici della Spagna cui il ducato di Milano in quegli anni apparteneva, spalmavano sui portoni degli edifici e sui banchi delle chiese.

Tale diceria causò non poche vittime, la più famosa delle quali fu il barbiere milanese Gian Giacomo Mora, reo confesso sotto tortura, il quale, una volta condannato, fu giustiziato nel modo atroce che la cosiddetta “ruota” prevedeva, vale a dire spezzandogli con una mazza le braccia e le gambe e dandogli poi il colpo di grazia dopo ore di esposizione alla folla che, come sappiamo, apprezzava non poco in quei tempi tali spettacoli.

La casa del Mora fu abbattuta e al suo posto fu elevata una colonna, la famosa Colonna Infame (abbattuta a sua volta nel 1778), alle spalle della quale una lapide ricordava il delitto e il processo.

Ovviamente l'atroce supplizio non quietò il morbo, ma placò la folla che credette di aver finalmente trovato uno dei responsabili della diffusione di una malattia che, trasmessa in realtà dalle pulci dei ratti, l'avrebbe in buona parte risparmiata, se essa fosse vissuta in migliori condizioni igieniche.

Ma la massa ha sempre bisogno di individuare un colpevole che viene rintracciato di solito non nei potenti, ma negli ultimi della società. E tutto ciò per un meccanismo psicologico che certo non parla a favore della innata bontà dell'essere umano.

Una parte di noi dispone per fortuna delle difese culturali contro tale meccanismo. Una parte soltanto però. L'altra, se non fosse trattenuta dalle leggi, farebbe del linciaggio la risoluzione di ogni controversia. Esiste poi una terza categoria di individui: quelli che sfruttano tale meccanismo per accrescere il loro potere, quelli che additano all'odio di tanti coloro che in realtà colpe non ne hanno, ma attraverso il cui sacrificio, i tanti carnefici si sentono assolti dalle loro. È la figura del mestatore, una delle più squallide e al tempo stesso pericolose che esistano.

Se ne sono viste parecchie nel passato di figure simili. L'ultima in Europa è arrivata al potere nel 1933 e nel giro di soli sei anni ha portato un intero pianeta a una guerra che ha causato 50 milioni di morti. Non era forse un mestatore quel pittore fallito, ometto sgraziato e ridicolo, che imputò agli ebrei e ai socialisti la sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale? Si ispirava l'imbianchino – come lo chiamava Brecht – a un altro mestatore, nostrano questo, il quale sfruttando lo slogan dannunziano della vittoria mutilata, ottenneun ventennio di potere assoluto, nel corso del quale si accodò al razzismo del primo, illudendosi in questo modo di acquisirne la forza. Sappiamo come si compirono entrambi i destini: il primo ometto si suicidò nel suo bunker di Berlino; il secondo, fucilato, subì poi a piazzale Loreto, nella città di Gian Giacomo Mora, gli insulti di quella stessa folla che solo fino a poche settimane prima lo aveva celebrato. Perché spesso così si conclude l'esistenza di tali individui: li uccide il medesimo odio sul quale hanno costruito il loro successo.

Un ometto di tale fatta si è affacciato da qualche anno sulla scena sempre assai poco onorevole della politica italiana. Per lui si possono usare le stesse parole che Benedetto Croce impiegò per Mussolini quando lo definì uomo “di corta intelligenza, correlativa alla sua radicale deficienza di sensibilità morale, ignorante, di quella ignoranza sostanziale che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile“. Grazie alla sua attività di seminatore di odio costui è asceso a una carica, quella di ministro dell'interno, che è tra le più delicate di ogni governo che voglia dirsi democratico. In questi giorni costui, incapace di mantenere le promesse mirabolanti urlate in una campagna elettorale condotta tutta all'insegna dell'odio, cerca di distrarre i suoi elettori indirizzandone il rancore verso gli ultimi della terra, cui vengono imputate le colpe del fallimento di un Paese che ha in realtà nei suoi abitanti i veri responsabili, in un popolo cioè che ha dato sul Piave esattamente cento anni fa la sua ultima piena prova di dignità e che, 8 settembre dopo 8 settembre, è ormai in caduta libera in una catastrofe morale nella quale ha deciso oggi di essere rappresentato da governanti di infimo livello, capaci solo di fomentare l'odio e di gridare dalla mattina alla sera, proprio come la canaglia raccontata dal Manzoni, Dagli, dagli, dagli all'untore!

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