- Dettagli
- Categoria: lettres italiennes
- Pubblicato Mercoledì, 14 Ottobre 2015 21:14
Vendemmia amara
Lettres italliennes
Monaco, 14 ottobre 2015.
E pensare che avrei potuto correrlo anch'io quel rischio. L'avrei potuto correre, se fossi stato nel paese sbagliato. Per fortuna però ero in quello giusto.
Mi rendo conto che questo incipit può farvi venir voglia di abbandonare la pagina. Vi chiedo invece di rimanerci. Verrete a conoscenza di una storia assai istruttiva sul paese nel quale sono nato e in cui forse siete nati anche a voi. Prima però voglio parlarvi della mia esperienza.
Alcuni anni fa, costretto qui a Monaco, al secondo trasloco in un anno, invece di rivolgermi a un'impresa specializzata, mi rivolsi, per risparmiare, ad alcuni amici. Affittai ovviamente un camion con tanto di autista (che era anche lui un conoscente), ma i “facchini“, per così dire, furono soltanto il sottoscritto e i suoi generosi sodali. Mi sdebitai poi, quando l'appartamento fu finalmente presentabile, invitando a cena tutti coloro che si erano spesi per darmi una mano.
Un'idea simile, quella cioè di farsi aiutare da quelli che, come dice il proverbio, si vedono nel momento del bisogno, è venuta anche al signor Battaglino di Cuneo e alla sua compagna, i quali, possedendo un ettaro di vigna, giunto il momento di vendemmiare, si sono rivolti a quattro loro amici. La vendemmia, lo sanno tutti, non è una semplice operazione di asportazione di grappoli, ma una vera e propria festa. Lo è nelle grandi proprietà, nelle quali si ricorrere a manodopera salariata, figuriamoci in un piccolo appezzamento in cui ci si dà una mano fra gente che si conosce da decenni. E una festa voleva appunto essere e sarebbe stata la vendemmia del signor Battaglino, se non fosse intervenuto l'immancabile guastafeste, il quale questa volta vestiva i panni dello Stato ed era rappresentato da due carabinieri e da alcuni ispettori del lavoro.
Evidentemente l'istruzione che la pubblica amministrazione trasmette ai suoi funzionari non contempla l'esistenza del favore amicale; e c'è da credere dunque (tanto per fare un esempio ) che se un conoscente accompagna uno di questi signori alla stazione, loro si affrettino, una volta scaricati i bagagli, a pagare la corsa, richiedendo magari anche una ricevuta.
Chissà? In ogni modo il risultato del suddetto intervento, al quale pare abbia partecipato addirittura un elicottero, è stato una multa di 3.900 euro a persona, vale a dire in totale di 19.500 euro, per, devo supporre, sfruttamento del lavoro nero o per qualche altro efferato reato che una delle nostre tante leggi (50.000 secondo Sabino Cassese) certamente prevede.
La storia ha poi avuto un lieto fine, ma solo grazie al fatto che la stampa e la rete, vale a dire i social network, che una volta tanto si sono spesi per qualcosa di utile, hanno fornito la massima risonanza all'avvenimento. Alla fine la multa è stata ritirata, con grande disappunto, immagino, di chi l'aveva emessa, destinandone i proventi a quel pozzo senza fondo che è la spesa pubblica.
E sì, perché la nostra burocrazia, nella quale, beninteso, sono certamente persone degnissime ma che nell'andazzo generale risultano dei volenterosi donchisciotte lanciati contro i mulini a vento; la nostra burocrazia, dicevo, dopo averci presentato la sua inefficienza, il suo parassitismo e il suo linguaggio incomprensibile (tutti mali dei quali si parla da decenni, ma contro i quali non si è mai riuscito a fare nulla) come mali fisiologici e dunque inguaribili, è scesa ormai sul terreno del puro taglieggiamento e dell'agguato brigantesco. Perché mai infatti una multa per divieto di sosta costa in Germania una ventina di euro e in Italia tre volte tanto? E perché il ritardo di un solo giorno nel pagamento di una delle tantissime tasse arriva a costare centinaia di euro? E soprattutto: che fine fanno quei soldi? Le imposte, in un paese che voglia dirsi civile, servono per finanziare i servizi. Già, ma quali, visto che quelli forniti sono più che scadenti e che altri prevedono un ulteriore contributo da parte del cittadino, come se questo non avesse già pagato tasse a dir poco esose?
Il fatto è che la pubblica amministrazione si è trasformata negli anni, grazie a una politica che è stata solo malaffare, in un corpo separato al servizio di se stesso. Ed è cresciuta, o per meglio dire si è gonfiata, grazie anche al ricorso alle società cosiddette partecipate, luoghi per lo più di sperpero e di malaffare. Che contro questo andazzo si debba intervenire lo si ripete da decenni, ma nessuna forza politica ha davvero interesse a intraprendere una sia pur timida iniziativa contro una casta che, oltre a controllare non pochi santuari del potere, dispone di milioni di voti. Che ciò non convenga alla nostra destra clientelare, non stupisce.
Sorprende invece e anche duole che un intreccio di interessi e convenienze coinvolga anche la sinistra o almeno una parte consistente di essa: quella che difende a tutti costi lo status quo, solo perché in esso ha scavato, nel corso degli anni, la propria nicchia di potere; una sinistra arcaica e nostalgica che continua, come cinquant'anni fa, a chiamare padroni gli imprenditori, e non ha ancora capito chi sono i veri padroni d'Italia.