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- Categoria: lettres italiennes
- Pubblicato Martedì, 30 Settembre 2014 09:35
Dai diamanti non nasce niente?
Lettres italiennes
Monaco, 29 settembre 2014
Amédée ou Comment s'en débarrasser, così si intitola una commedia di Eugène Ionesco scritta giusto sessant’anni fa e andata in scena lo stesso anno al Théâtre de Babylone di Parigi.
La pièce, surreale come tutte quelle del drammaturgo franco-rumeno, racconta gli sforzi di una coppia per liberarsi di un cadavere il quale, aumentando continuamente di volume, invade gradualmente il loro appartamento. Comment s’en débarasser? Come sbarazzarsene?
I significati reconditi della commedia li lasciamo volentieri ai critici e ai lettori del celebre autore; quello che qui ci interessa è invece la trovata teatrale, l’immagine allegorica, vale a dire il cadavere ingombrante di cui occorre liberarsi.
Quello di sbarazzarsi dei defunti è un problema che ha cominciato presto ad assillare l’uomo. Già i nostri antenati indoeuropei erano usi incenerire le salme dei loro parenti; e tuttavia, una volta stanziatisi in Europa occidentale, si diedero alla inumazione, non dimenticando però del tutto la pratica primitiva. Anche gli Etruschi, che indoeuropei non erano, in una prima fase della loro civiltà erano soliti cremare il loro morti, raccogliendone poi le ceneri in urne a forma di capanna; in una seconda fase invece presero a inumarli in tombe che, al pari delle urne, riproducevano le loro case. Le variopinte tombe di Tarquinia ci raccontano molto di un'altissima civiltà la quale, se dovessimo dar retta a quelle malelingue dei Romani, giudicheremmo invece soltanto crudele e perversa.
Visto che abbiamo parlato dei Romani, ricordiamo i loro sepolcri lungo le strade consolari e i toccanti epitaffi che li accompagnavano. Come i loro maestri greci, anche i Romani credevano che la mancanza di sepoltura avrebbe impedito all’anima del defunto di accedere all’Ade e, sempre al pari dei Greci, riservavano la cremazione agli eroi: il cadavere di Giulio Cesare fu bruciato (in deroga alle disposizioni allora vigenti) di fronte ai rostri del foro, là dove oggi trovate una targa marmorea ai piedi della quale, nonostante i duemila anni trascorsi, potete scorgere qua e là dei fiori che qualche turista commosso getta sul luogo dove arse il rogo.
La cremazione divenne una moda a Roma, ma non durò molto: la mancanza di legna intervenuta con la decadenza e soprattutto l’avvento del cristianesimo riportarono i costumi all'inumazione. I cristiani infatti guardavano con sospetto l’incinerazione, sia perché pratica pagana, sia perché questa avrebbe impedito la resurrezione della carne, dogma quest’ultimo affermato nelle sacre scritture. È per questa ragione che si bruciavano gli eretici: perché il loro corpo non si riformasse nel giorno del giudizio, giorno comunque a partire dal quale i reprobi avrebbero sofferto carnalmente e in eterno le pene dell’inferno. Ma cosa sarebbe successo qualora il corpo di un sant’uomo fosse stato, per esempio, sbranato da un animale (cosa che effettivamente avvenne a sant’Ignazio di Antiochia)? Niente paura: nel duomo di Torcello ho visto un antico mosaico raffigurante il Giudizio finale, in cui alcuni corpi risorgono dagli animali che li hanno divorati. Insomma se si può risorgere dalle carni (e dalle feci) di un predatore, non sarà certo la cremazione a impedire il prodigio. Ecco allora che Santa Romana Chiesa ha recentemente accettato la cremazione, non vedendo più in essa un ostacolo alla resurrezione della carne, la quale, va detto, è un obbligo di fede, nominato addirittura nella prima preghiera di un buon cattolico: il Credo.
Ai primi di agosto sono apparsi a Roma alcuni curiosi manifesti nei quali una donna, del cui viso si intravede sfocata solo la bocca sorridente, mostra orgogliosa all’anulare destro un anello con diamante. Lo slogan che accompagna l’immagine recita “Stavolta tuo marito non potrà dirti di no”. E non potrà dire di no per forza, aggiungo io, visto che il diamante ostentato è il marito stesso, o meglio la trasformazione delle ceneri del medesimo attraverso un processo di cui ignoro le fasi, ma comunque abbastanza costoso: dai tremila ai quindicimila euro, un prezzo questo che, suppongo, permetterebbe l'acquisto di un diamante vero.
Ecco, se né la combustione né lo sbranamento e la successiva digestione da parte del predatore possono impedire la resurrezione della carne, non sarà certo un processo chimico e/o fisico a porre degli ostacoli su una delle famose e infinite vie del Signore.
Nel giorno fatale dunque oltre alle tombe, si scopriranno anche gli scrigni e le cassette di sicurezza, e da alcuni diamanti prenderanno forma i defunti che in essi sono stati trasformati. Magnifico, no? Con un solo rimpianto: quello di dover contraddire la famosa canzone di Fabrizio De André, quella secondo la quale “dai diamanti non nasce niente” mentre “dal letame nascono i fior”.