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Alla ricerca della lingua madre...

Intervista al professor Gino Chiellino

Die Teilnehmer an einem Pilotprojekt der Universität Augsburg erhalten am Ende das Zertifikat "Italiano come lingua madre". Interventi hat den Projektleiter, Prof. Carmine Chiellino, getroffen und ihn über die „Entwicklung einer experimentellen Didaktik des Italienischen als Muttersprache im Kontext der deutsch-italienischen Zweisprachigkeit" interviewt.

Miranda Alberti

Dove pensate che viva la lingua madre italiana? A Firenze in casa di Dante? A Siena, forse, dove fluisce il più elegante degli italiani? All’Accademia della Crusca (o del semolino come dice Benigni)? Vi sbagliate. L’italiano lingua madre vive e fiorisce ad Augsburg, nel caldo ma modesto ufficio del professor Chiellino. Pochi metri quadrati, diversi libri, molti fogli sparsi un po’ ovunque. Fuori, nella bacheca accanto alla porta, trovate sintetiche e fondamentali informazioni. Chi finanzia il progetto? Il Fondo sociale europeo, il Ministero bavarese dell’università della ricerca e dell’arte e il Ministero degli esteri italiano. A chi si rivolge? A studenti di origine italiana, ai bilingue, ai non italiani che abbiano frequentato le scuole in Italia. Cosa deve fare lo studente? Partecipare a quattro corsi, due a semestre, per un anno: ne riceverà, superando l’esame, un regolare certificato universitario. Tutto chiaro, si direbbe... e invece, scusate se obietto, non è chiaro affatto perché sembra che ci si sia dimenticati che qui siamo in Germania e che qui di tutto si può parlare, meno che di lingua madre italiana... È necessario, dunque, bussare alla porta del professore e chiedere spiegazioni.
Così ho fatto e mi è stato risposto „avanti!“.
Ho aperto la porta e il professore mi è venuto incontro presentandomi una prossima studentessa dei suoi corsi: un viso d’angelo con padre spagnolo e madre italiana, di fatto tedesca, però, per essere vissuta e per aver frequentato le scuola in Germania. Un perfetto caso di quella interculturalità di cui parleremo, in seguito, per più di un’ora. „Un minuto e sono da lei“ mi promette il professore mantenendo gentilmente la promessa.


Interventi (IV):Parliamo un poco di lei, professore. Lei è laureato in lettere o in sociologia?

Professor Gino Chiellino (GC): Mi sono laureato in lettere a Roma nel 1970 con una tesi in sociologia. Una cosa a cui tengo molto, perché per realizzarla sono andato a Düsseldorf alla Mannesmann dove lavoravano operai italiani. Mi interessavano le loro condizioni socioeconomiche. In quella fabbrica ho lavorato io stesso per quattro mesi. Ha insegnato anche in Italia? No, in Italia mai. La prima volta che ho insegnato era a Mannheim. Insegnavo a dei bambini italiani di una Übergangsklasse.


(IV): Che esperienze ha fatto lì?
(GC) Esperienze interessanti, perché dovendo insegnare a questi bambini anche il tedesco, che non sapevo, ricorsi allo stratagemma di utilizzare i bambini stessi (quelli che avevano fatto l’asilo in Germania) perché insegnassero agli altri la lingua, mentre io mi limitavo a chiarire gli aspetti
grammaticali del tedesco. (Sorride il professore ricordando quell’esperienza da giovane maestro ... ed io non posso non riconoscere le doti creative dell’insegnante italiano!)


(IV): Lei vive in Germania da molti anni, si sente „integrato“? Le piace questa parola?

(GC): Vivo in Germania dal 1969. La parola mi piace solo se con essa si intende partecipazione attiva ad un possibile futuro comune. Credo alla partecipazione tanto è vero che presto farò richiesta ufficiale per la doppia nazionalità. È un’occasione da non perdere.


(IV): Ma che esperienze di „partecipazione“ ha fatto lei?

(GC): Io ho fatto l’esperienza di scrivere in tedesco dal 1973, come lei sa. Fu una scelta che suscitò qualche resistenza da parte degli editori e dei mass media tedeschi che si sentirono come espropriati dalla propria egemonia linguistica. Resistenze che comunque sono comprensibili perché ci sono ovunque.


(IV): A proposito di „egemonia“, qual è la sua opinione sul tema Leitkultur?
(GC): È una discussione insensata perché, in realtà, nessuno mette in discussione il fatto che si viva in ambiente culturale tedesco. È anche la ragione, dopotutto, per cui si viene a vivere in Germania! Si tratta, invece, di riflettere sulle modalità della convivenza e dello scambio. D’altra parte credo che questo sia un discorso maggiormente rivolto alla componente islamica della popolazione di cui si teme l’estraneità culturale e religiosa.


(IV): È una questione molto interessante che meriterebbe di essere approfondita, ma veniamo ora al tema della nostra intervista. Quando è stato istituito il corso di studi da lei diretto?
(GC): Siamo partiti nell’aprile del 2003, dopo cinque anni di lavoro per mettere insieme i fondi necessari. È un progetto di tre anni che dura quindi fino al 2006 e che dopo dovrà essere rifinanziato in base alla valutazione dei risultati, che comunque ci sono e sono buoni. Abbiamo tredici studenti
di cui tre di famiglia italiana, nove di famiglia interculturale e un ragazzo tirolese.


(IV): Esistono corsi simili in altre università della Germania o per altre lingue straniere?

(GC): Che io sappia, no. Ma una delle ragioni per cui sono stato sostenuto in questa iniziativa è stata proprio quella di avviare un progetto pilota la cui metodologia possa essere applicata ad altri bilinguismi. Comunque il corso è aperto anche a studenti iscritti in altre università bavaresi. L’orario delle lezioni è così strutturato da consentire anche a studenti pendolari di parteciparvi.


(IV): Ma da parte bavarese c’è veramente interesse a portare avanti un tale progetto? Penso alla volontà di tagliare i fondi per i corsi di italiano madrelingua nella scuola ...

(GC): Il Ministero dell’università per la ricerca lo sostiene. Per quanto riguarda il Kultusministerium, è mia ferma intenzione andare da loro a spiegare il nostro progetto dell’italiano madrelingua nel quadro del bilinguismo italiano/tedesco...


(IV): Siamo giunti alla domanda successiva: per quale motivo parlare di „lingua madre“ quando in realtà la questione è quella del bi-plurilinguismo, non le sembra che il concetto sia superato?
(GC): È vero, la definizione è ambigua, ma serve per distinguere questo corso dall’italiano come lingua straniera. Inoltre si trattava di individuare nella avevano nella loro biografia un rapporto personale con la lingua italiana. L’obiezione è comunque giusta perché si dovrebbe chiamare “l’italiano come lingua madre nel contesto del bilinguismo tedesco“, un progetto che, fra l’altro, viene condotto in collaborazione con l’Università per stranieri di Siena in cui si sta contemporaneamente studiando un modello d’insegnamento dell’arabo nel contesto del bilinguismo italiano.


(IV): Leggendo quanto Lei ha scritto sugli intenti del corso mi ha colpito il suo pensiero di sostituire alla cultura della storia (delle nazioni) la cultura della memoria (degli individui). Qual è il suo intento? Vuole avvicinare la storia ai giovani o vuole fondare un nuovo concetto di storia inter-culturale?

(GC): È un’operazione educativa molto individualizzata quella che sto portando avanti. La lingua italiana di cui gli studenti sono portatori si è costruita su un quotidiano tedesco, ma attraverso la biografia dei genitori e dei nonni, i ragazzi sono in grado di ricostruire una memoria storico-culturale nella lingua italiana ancorandola alla loro storia personale.
Ho pensato che questo potesse essere l’avvio ad una storia/memoria comune europea che superi le prospettive nazionalistiche parziali ...  Sì, proprio questo, ma nel senso che questi giovani, liberati da un falso sentimento di lealtà ad una sola memoria, diventeranno portatori e soggetti reali di una visione sovranazionale della storia.


(IV): Quali prospettive apre questo corso agli studenti che lo frequentano?

(GC): Gli studenti hanno corsi di studi differenti. Diventeranno avvocati, economisti, giornalisti ecc., oltre che veri insegnanti bilingue e questa loro professione diventerà spendibile in ambedue le lingue, non soltanto nel senso della traduzione, ma anche in quello della lealtà ad ambedue le culture che loro stessi impersonano. Interessante il fatto che Lei concepisca un concetto di „lealtà“ interculturale, laddove, fino ad oggi, la lealtà è stata rigidamente interpretata come monoculturale ... Ancora oggi nelle scuole è pesante l’invito ad abbandonare una delle identità. Una delle ragioni, infatti, per cui i ragazzi frequentano volentieri questi corsi, è proprio quella che durante queste ore non sono esposti a nessun sospetto di appartenenza ... e non sono mai costretti a privilegiare una parte di loro rispetto all’altra... cosa che li farebbe soffrire notevolmente.


(IV): Questo significa che sia da parte italiana che tedesca c’è una grande pressione a rinunciare all’interculturalità ...

(GC): Sì, c’è una continua pressione alla monoculturalità su ambedue i fronti.


(IV): E perché secondo Lei, in un mondo sempre più globalizzato e globalizzante è ancora così difficile vivere nell’interculturalità?
(GC): Perché l’interculturalità vera la vivono ancora in pochi. La vivono in primis le famiglie di diversa nazionalità che hanno figli perché si tratta di un’interculturalità irrinunciabile e concretizzata nella vita del figlio. Coppie interculturali senza figli partecipano a questo scambio, ma possono all’occasione ritirarsi nella monoculturalità. Per altri, ancora, si tratta di un’interculturalità provvisoria, pendolare. D’altra parte si deve dire che la tendenza è quella di un aumento progressivo
di queste situazioni familiari, soprattutto nel quadro europeo.


(IV): Lei sa che come responsabile della Commissione Scuola del Comites mi interesso del destino dei nostri ragazzi nel sistema scolastico tedesco. Lei cosa ne pensa?
(GC): Noi siamo all’interno del sistema. Abbiamo tre figli, l’ultima farà la maturità quest’anno. Sono ragazzi che partono da una posizione privilegiata: la mamma tedesca è psicologa, io accademico. I miei sono bambini che hanno dato il massimo, ma il cui successo scolastico è in gran parte frutto dell’impegno di mia moglie che li ha seguiti dall’asilo fino all’ultimo giorno di scuola, consapevole del fatto che si tratta di un sistema estremamente selettivo.


(IV): Lei conosce casi di ragazzi che abbiano subito le conseguenze negative di questo sistema?

(GC): È un sistema fatto da bavaresi per i bavaresi e non per gli stranieri, di questo occorre tenere conto. Ma per rispondere alla sua domanda devo raccontarle del dolore che ho provato io con i miei figli vedendo scomparire anno per anno gli amichetti dell’infanzia e dell’adolescenza...


(IV): Scomparivano? E dove andavano?
(GC): Si avviavano verso un lavoro o una scuola professionale e si interrompevano anche i rapporti di amicizia.


(IV): Un sistema selettivo anche per i bavaresi, dunque? E Lei non pensa che questo sistema rigido sia in gran parte responsabile della crisi economica e sociale che la Germania sta vivendo?

(GC): Certo per noi che partiamo da una scuola non-selettiva, è difficile comprenderlo ... Comunque le mie critiche al sistema scolastico tedesco sono note e non sto a ripetergliele... a me impressiona anche il solo fatto che dall’asilo al ginnasio le classi siano tutte in uno stesso edificio! Ragazzi
che per anni varcano la stessa soglia ... mi sembra una cosa alienante!


(IV): Sinceramente vorrei potermi preoccupare solo di questo! Ma mi permetta un’ultima domanda: lei cosa pensa del dialetto? Io consiglio ai genitori di parlare in italiano con i bambini. Condivide il mio pensiero?

(GC): Sono in grado questi genitori di parlare italiano? Purtroppo spesso no. Ma dalla mia esperienza non esagererei le difficoltà del dialetto, anzi spesso questo costituisce un’introduzione
preziosa alla lingua madre e d’altra parte è necessario preservare la comunicazione spontanea all’interno della famiglia.

(2005-2 pag 14)

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