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Finanza etica

o del profitto non a tutti costi

Bei der ethischen Geldanlage tritt das Streben nach hohen Gewinnen hinter anderen Zielen zurück. Wer sein Geld in ethische Finanzprodukte investiert, kann den Gewinn mit gutem Gewissen einstreichen. Auf diesem Wege unterstützt der Anleger Projekte, die sich beispielsweise mit Umweltschutz oder Sozialarbeit beschäftigen. Aufgrund der hohen Nachfrage nach dieser alternativen Möglichkeit der Geldanlage wurde in den letzten Jahren das Angebot von ethischen Finanzprodukten stark ausgeweitet.

Cosimo Carniani

Quando ha denaro da mettere in banca o investire, la maggioranza di noi si preoccupa di una sola cosa: il tasso di interesse. Si sceglie una banca piuttosto che un’altra soprattutto in base alla resa che promette. Poi ci sono fattori secondari come la qualità dei servizi offerti o la buona reputazione di un gruppo, fino alla comodità dell’ubicazione degli sportelli. Ciò che di solito non figura fra i fattori che determinano la scelta è la questione: dove finiscono i nostri soldi? Che impiego ne fa la nostra banca? Eppure si tratta di questione tutt’altro che secondaria, perché grazie ai nostri soldi le banche possono sostenere le più disparate attività e commerci, giocando così un ruolo determinante per la vita di molte persone.

O per la morte. Infatti, fra i vari traffici finanziati – del tutto legalmente – dalle banche, c’è anche quello di armi. Queste sono non di rado dirette verso i paesi del Sud del mondo, dove spesso finiscono in braccio ai locali „signori della guerra“ che ne insanguinano la terra. La cosa suscita scandalo, anche pensando alle decine di iniziative di solidarietà che le banche espongono in bella vista in ogni filiale, anche a favore dei bimbi vittime della guerra. Per questo da alcuni anni è in corso una vera e propria campagna contro le „banche armate“. L’iniziativa, promossa dalle organizzazioni Pax Christi, Nigrizia e Missione Oggi, si serve della relazione annuale che il Governo è tenuto a dare al Parlamento sulle esportazioni di armi, che esso stesso deve autorizzare, e sui gruppi finanziari che le sostengono. È così possibile disporre di una vera e propria lista delle banche armate, completa di dettagliate informazioni sulle operazioni incriminate. Ad esempio, dalla relazione relativa all’anno 2004 risulta che l’anno scorso il Ministero degli Esteri ha rilasciato ben 948 autorizzazioni all’esportazione di armi da guerra, per un valore di 1.489.777.678,49 euro, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente. Il gruppo Capitalia, con il 31,82% delle autorizzazioni, si aggiudica il primato, seguito da Banca Intesa e San Paolo Imi, Banca Nazionale del Lavoro, Unicredito ecc. La campagna contro le banche armate ha già ottenuto notevoli successi, tanto che il governo stesso minaccia di ostacolarla (il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha accennato ad una futura soluzione del problema degli istituti bancari di finire nella lista). A seguito della pressione esercitata sia direttamente dai singoli creditori, attraverso lettere di protesta alle banche, sia indirettamente dalla vergognosa menzione nella lista, diverse banche hanno dichiarato ufficialmente di aver sospeso o voler sospendere al più presto le operazioni nel settore armi. Fra esse ad esempio il Monte dei Paschi di Siena, la Cassa di risparmio di Firenze o il gruppo Intesa. Anche istituzioni politiche si sono mostrate sensibili, così che, ad esempio, l’amministrazione comunale fiorentina ha dichiarato di voler interrompere qualsiasi rapporto economico con gli istituti figuranti nella lista. La vicenda delle banche armate mostra al meglio la difficile situazione degli investitori, spesso ignari dell’effettivo impiego dei loro risparmi ed esposti al rischio di appoggiare inconsapevolmente attività o commerci che disapprovano o condannano. Può succedere che, senza che ce ne rendiamo conto, i nostri soldi finanzino progetti con devastante impatto ambientale o gravi conseguenze per la gente (si pensi ad esempio alla privatizzazione di risorse fondamentali quali l’acqua), commerci con catastrofiche ripercussioni sulle economie più deboli. Magari sosteniamo gruppi responsabili di malefatte varie quali lo sfruttamento dei lavoratori, il mancato rispetto dei diritti sindacali o chissà quant’altro. Cosa deve fare allora chi vuole la coscienza pulita? Ricorrere al vecchio buco nel pavimento? Per fortuna c’è una valida alternativa: la finanza etica. Sotto questo nome si compren- dono tutte quelle attività – finanziarie, commerciali, produttive – che al profitto accompagnano il rispetto e l’incoraggiamento di principi etici. Ne fanno parte anche istituti di credito, ognuno con una sua specificità ma tutti ispirati dalla medesima idea: finanziare esclusivamente quei progetti e quelle imprese che rispettano certi standard etici. Ad esempio, in Germania la Umweltbank di Norimberga si concentra sulla protezione dell’ambiente, mentre la Oikocredit sull’aiuto ai paesi poveri. Alcune hanno ispirazione religiosa, come la Steyler Bank, che non solo esercita “credito etico“, ma destina parte dei profitti così ottenuti alla sua stessa attività missionaria; altre sono del tutto laiche. Alcune sono relativamente recenti, come la Umweltbank (fondata nel 1997, ha già raggiunto un bilancio di 625 milioni di Euro, registrando nello scorso anno una crescita percentuale del 17,7 nel bilancio, del 21,8 nei depositi e del 27,3 nel “Kreditzusagevolumen“), ma la banca etica non è una novità dell’ultima ora: la più vecchia, la GLSGemeinschaftsbank, risale al 1961 ed attualmente è una delle più grandi di Germania, con un bilancio di oltre 500 milioni. Nell’insieme gli istituti di credito etici tedeschi raccolgono circa 4,6 miliardi di Euro. Questa somma è certo una parte piuttosto piccola dei circa 3920 miliardi che costituiscono il patrimonio privato dei tedeschi, ma, se si pensa ai progetti che rende possibili, ha un valore enorme. Dalla costruzione di infrastrutture nei paesi poveri alla tutela dell’ambiente, dalla ricerca di fonti energetiche alternative all’aiuto di soggetti svantaggiati,  questi soldi hanno fatto molto di  buono.  Ma, chiederà qualcuno, a quale  prezzo? A cosa rinuncia il “risparmiatore  etico“ in cambio della coscienza  pulita? Proprio a niente! La finanza  etica, infatti, non ha niente a che fare  con la beneficenza: essa coniuga eticità  e profitto. Un conto presso una  banca etica rende almeno quanto uno  comune, e chi investe nella finanza etica vede fruttare i propri risparmi nella stessa misura di chi investe “senza scrupoli“. Anzi, talvolta gli investimenti etici risultano più redditizi. Tutto questo è ampiamente dimostrato da numerosi studi, condotti sia da istituti di analisi finanziaria che da università. I progetti che rispettano i criteri di eticità non solo hanno le stesse probabilità di successo di quelli comuni, ma spesso sono immuni dai rischi della finanza “cattiva“, quali conflitti con i dipendenti, cause di risarcimento, danni ambientali, cattiva reputazione. Siamo abituati a pensare profitto ed eticità come incompatibili, ma è l’idea opposta che si afferma sempre di più, come si apprende dalla crescente serie di convegni e studi dedicati alla finanza etica. Questo successo si manifesta pienamente nei bilanci degli istituti di credito etici (un esempio italiano: la Banca Popolare Etica, costituitasi fra il 1994 e il 1999, ha registrato fra il 2001 e il 2002 una crescita del 63,7%, passando da 75,3 a 129, 3 milioni di Euro; oggi ha raggiunto quota 342,19), ma ancor di più nell’aumento dei fondi etici che sempre più istituti di credito – da BNL a Unicredito, da Banca Popolare di Milano a Capitalia, per citarne solo alcuni limitatamente all’Italia – mettono a disposizione dei risparmiatori. Nel biennio 2000-2001, ad esempio, il numero di fondi etici europei è cresciuto del 78%, raggiungendo quota 280. Negli Stati Uniti erano 4 nel 1980, 180 nel 2003, con un capitale complessivo che è passato dai 40 ai 1000 miliardi di dollari. Il loro successo è stato tale che dal giugno 1999 la società Dow Jones che rileva l’indice azionario di Wall Street ha realizzato il sottoindice Dow Jones Sustainability Group Index (DJSGI), che monitora e raggruppa i risultati borsistici di aziende “sostenibili“. Ma come funzionano tali investimenti? Come si valuta un’impresa o un progetto da un punto di vista etico? Di questo si occupano diversi istituti internazionali che svolgono attività di analisi, verifica, certificazione etica. Le banche etiche poi hanno spesso veri e propri comitati etici ed affiancano alla tradizionale istruttoria economica un’istruttoria etica. Attraverso elaborati sistemi di indagine e valutazione si stabilisce in che misura i beneficiari del finanziamento o dell’acquisto eventuali soddisfino i criteri etici stabiliti. Pur variando tra i vari istituti, questi sono sostanzialmente uniformi e si basano sui principi del rispetto dell’ambiente, della giustizia sociale, della cooperazione internazionale. Vengono così privilegiati progetti di valorizzazione del patrimonio ecologico, di aiuto ai paesi in via di sviluppo, di sostegno a soggetti svantaggiati quali anziani, disabili, immigrati. Anche le condizioni del personale impiegato, la democraticità interna alle imprese, l’attenzione alla qualità dei prodotti, sono indicatori importanti. Naturalmente escluse per principio sono le imprese che operano in settori sporchi come commercio di armamenti, tabacco, pesticidi ecc., come pure quelle che investono in Paesi dove non vengono rispettati i diritti civili o quelle particolarmente “nocive“ per l’ambiente. Qualche esempio: lo scorso anno Banca Popolare Etica ha concesso un finanziamento di due milioni al Consorzio impianto eolico Pian dei Corsi, volto alla costruzione di un Parco eolico a Calice Ligure (SV) in grado di produrre 1700 Kw di energia elettrica. Ancora ad un finanziamento della BPE (4,4 milioni) si deve la costruzione di un complesso produttivo ad opera del consorzio di cooperative Immobiliare sociale bresciana, che darà lavoro a 250 persone di cui almeno 100 svantaggiate (soprattutto ex-detenuti). Tornando qui a Monaco, la Bürgersolaranlage da 3200 Kw realizzata dall’associazione ecologista Green City si è avvalsa del sostegno economico della Umweltbank, che finanzia ben 3600 progetti “ecologici“. Altra caratteristica degli istituti di credito etici è un maggiore coinvolgimento del risparmiatore, che spesso può partecipare in modo relativamente attivo all’attività della banca, scegliendo ad esempio il settore in cui vuol far confluire i suoi risparmi. In alcuni casi anche il tasso di interesse, entro un massimo stabilito dalla banca, viene fissato dal creditore, che quando lo desidera può così esprimere particolare solidarietà. Il principio fondamentale della finanza etica poi, la trasparenza del credito, fa sì che tutti i dati dei finanziamenti concessi dalle banche siano pubblici. Nell’economia mondiale la finanza etica costituisce un fenomeno ancora relativamente marginale, ma i suoi successi lasciano ben sperare per il futuro. Per la vivibilità di questo futuro è fondamentale acquistare coscienza non solo della necessità di relazionarsi eticamente con il denaro – cosa si deve fare – ma anche del potere che i nostri risparmi ci conferiscono – cosa si può fare.

 

 

 

 

(2005-4 pg 27)



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