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- Categoria: Ecologia
- Pubblicato Mercoledì, 01 Dicembre 2010 11:03
La colata infinita
Cemento e sviluppo nell’Italia di oggi
Häuser über Häuser: In Italien wird ohne Unterlass gebaut, selbst in Gemeinden, deren Bevölkerung schrumpft. Im Artikel wird das Ausmaβ der Spekulation im Bauwesen, die unser Land in Bedrängnis bringt, untersucht.Franco Casadidio
Da un po’ di tempo una domanda mi perseguita, tanto da meritare di essere inserita in alcuni dei miei post su facebook, post rivolti principalmente a tutti gli abitanti della mia città ma che, come ho scoperto in seguito, sono validi anche per milioni e milioni di altri italiani.
La domanda, semplice in verità, vuole essere anche uno spunto per una riflessione approfondita sulle complesse scelte
urbanistico-ambientali in atto nel nostro Paese: perché in una città (Terni in questo caso) che dal 1971 al 2001 ha visto diminuire la sua popolazione di circa mille unità, passando da 106.000 a 105.000 abitanti si continua imperterriti a costruire palazzi, grattacieli, villette a schiera come se si fosse in pieno boom demografico?Cosa c’è dietro questa cementificazione esasperata che ha portato la città a raddoppiare la sua grandezza facendo sorgere dal nulla interi quartieri e fagocitando in questo modo gli ultimi spazi verdi rimasti?
Ho ottenuto molte spiegazioni alle mie domande e ai miei dubbi leggendo un ottimo libro uscito a fine primavera intitolato “La Colata: il partito del cemento che sta cancellando l’Italia e il suo futuro”, scritto a più mani da alcuni giornalisti di varie testate nazionali. Il libro è un viaggio attraverso l’Italia del cemento, quella di politici e imprenditori che vogliono costruire e cementificare ad ogni costo; quella dei comuni in perenne crisi economica che, per elemosinare qualche centinaio di migliaia di euro di oneri di urbanizzazione, non esitano a svendere il proprio territorio. Quell’Italia che ad ogni alluvione, frana o smottamento, subito dopo aver pianto le vittime di turno, si dimentica di tutto e tutti e ricomincia a disboscare, costruire centri commerciali, superstrade, quartieri dormitorio, nastri d’asfalto dove, ad ogni temporale, l’acqua scorre via impazzita come in un immenso toboga, trascinando tutto quello che le si trova davanti, esseri umani compresi. Nel libro si evidenzia come in Italia dal 1990 al 2005 il cemento abbia divorato due regioni grandi come il Lazio e l’Abruzzo messe insieme, ad un ritmo di 244.000 ettari l’anno contro gli 11.000 della Germania.Ogni scusa è buona per costruire nel Bel Paese; che sia un centro commerciale o un aeroporto (magari dove ce ne sono già altri a pochi chilometri), uno stadio o un autodromo, non fa differenza, l’importante è costruire. Spesso, poi, queste strutture non sono altro che uno specchietto per le allodole, un passe-partout per scardinare la reticenza della pubblica opinione, spesso blandita con promesse mirabolanti di migliaia di posti di lavoro, impegni mai mantenuti ma poco importa: avviato il progetto, basta una serie di varianti in corso d’opera e diventa un gioco da ragazzi affiancare al nuovo centro commerciale qualche centinaio di appartamenti, il tutto condito da una buona dose di asfalto per realizzare nuove strade, svincoli, rotonde. Ecco così che una città (Terni ad esempio) si ritrova nel giro di pochi anni ad occupare una superficie doppia di quella utilizzata pochi anni addietro e allora viene spontaneo credere che la popolazione sia aumentata e che ci sia fame di case. Poi fai un giro su internet e scopri che la popolazione non solo non è aumentata ma è diminuita e magari, dopo questa “scoperta” fai una passeggiata in città e cominci a “vedere” quello che fino al giorno prima “guardavi” e basta. Ci si accorge così che i cartelli “affittasi” o “vendesi” sui portoni delle case sono sempre di più e che le agenzie immobiliari, spuntate come funghi negli ultimi anni, sono piene zeppe di offerte. Questa necessità di case in realtà non c’è e forse siamo in piena speculazione edilizia, proprio come in Florida qualche anno fa quando si costruiva senza sosta fino allo scoppio della bolla immobiliare che ha lasciato molti di quelli che avevano comprato, convinti di fare un buon investimento, con un pugno di mosche in mano: appartamenti che non valgono più quasi nulla! Ma in Italia si “deve” costruire, siamo obbligati e non possiamo farne a meno. Perché? Semplice, perché negli ultimi anni il PIL italiano è cresciuto solamente grazie alla crescita del comparto edilizio. Un dato fra i tanti: nel periodo 2001-2005, a fronte di un calo della produzione industriale pari al 4,5%, la produzione edilizia cresceva del 17,4%! Eh sì, questo stramaledetto PIL che “gode” se sono malato di cancro e devo ricorrere a costose cure mediche, ma che va in crisi se sto bene in salute perché non acquisto farmaci e quindi non creo ricchezza; questo PIL che è diventato il convitato di pietra di tutte le amministrazioni pubbliche, l’acronimo che più turba i sonni di milioni di persone, da noi si regge, per una larga parte, grazie alle imprese e alle multinazionali del cemento. Pazienza se ci siamo mangiati buona parte del nostro territorio che è, -o sarebbe meglio dire- dovrebbe essere, la nostra principale fonte di ricchezza insieme all’immenso tesoro artistico di cui disponiamo. Pazienza se la cementificazione selvaggia di boschi, montagne, colline ha causato negli ultimi anni sciagure disastrose: dagli 84 morti del Polesine del 1951 ai 36 di Giampilieri dell’ottobre 2009, passando per Stava 1985 con 268 vittime; Sarno 1998, 159 morti; Soverato 2000, dodici morti e tante altre ancora. Del resto, se si disbosca una collina per costruire delle villette a schiera, il PIL cresce. Poi viene un temporale un po’ più forte del solito e tutto frana portando via case e vite umane. A questo punto entra in funzione la macchina dei soccorsi e delle emergenze e anche per questo il PIL cresce. Poi, passata l’emergenza, c’è la ricostruzione ed il cerchio si chiude con il PIL che ringrazia ancora. Se non si fosse disboscata quella collina, magari l’aria sarebbe stata più pulita, tante famiglie avrebbero potuto godersi splendide passeggiate fra i boschi, la qualità della vita di tutti ne avrebbe guadagnato: già, ma poi il PIL?!
Fonti:
“La colata: il partito del cemento che sta cancellando l’Italia e il suo futuro” - Ed. Chiarelettere
www.wikipedia.it
Cambiare si può
Chiaccherata con Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta
Domenico Finiguerra, 39 anni, da otto sindaco di Cassinetta di Lugagnano, 1800 abitanti alla periferia di Milano, è conosciuto come il Sindaco dell’opzione “cemento zero” ma anche come “il Sindaco del primo Comune in Italia a crescita zero”.
«La cosiddetta “opzione zero cemento” nasce alla vigilia delle elezioni amministrative del 2002, come racconta Finiguerra, quando il sottoscritto si è candidato a Sindaco di Cassinetta con una lista civica appoggiata dal centrosinistra. Il programma presentato ai cittadini era incentrato sulla salvaguardia del territorio comunale non ancora compromesso, considerando anche che il nostro comune si trova all’interno del Parco del Ticino, una delle pochissime zone verdi rimaste nell’hinterland milanese. La nostra proposta era quella di utilizzare volumetrie esistenti e al momento abbandonate evitando di espandere il territorio comunale realizzando nuove colate di cemento a discapito del territorio e, conseguentemente, della qualità della vita di tutti gli abitanti.
Nel 2002 il 51% dei nostri concittadini ci diede fiducia, nonostante gli attacchi che ci piovvero addosso da più parti, ad opera di chi, da una simile scelta politica, non aveva altro che da perdere.La prima cosa che abbiamo fatto è stata censire tutti gli edifici di Cassinetta, soprattutto quelli del centro, prevedendo per ognuno di essi un possibile percorso di recupero urbanistico.Poi, in vista dell’elaborazione del nuovo piano regolatore comunale, abbiamo coinvolto tutta la cittadinanza attraverso pubbliche assemblee e indagini effettuate tramite questionari distribuiti a tutte le famiglie del paese. In sostanza abbiamo chiesto ai diretti interessati come volevano che fosse la Cassinetta del futuro; abbiamo chiesto a chi ci abita e ci abiterà di aiutarci a dar forma ad una città diversa, migliore se possibile di quella esistente e in grado di essere anche un punto di riferimento per altre realtà intenzionate ad invertire la rotta che ha portato comuni grandi e piccoli a devastare intere aree dei propri territori.Abbiamo voluto coinvolgere anche i più piccoli, i bambini, quei soggetti che, purtroppo, la classe politica locale e nazionale non ascolta mai ma che si troveranno a dover convivere e spesso a fare i conti, con le scelte operate oggi dai loro genitori; è per questo che a me piace definire il nuovo piano regolatore di Cassinetta, come un “piano regolatore ad altezza 1,20 metri”!.
Questo ampio confronto è servito a far comprendere ed accettare alla gente di Cassinetta un’idea nuova di sviluppo urbanistico, basata sul recupero e riutilizzo degli edifici esistenti, scelta che ci ha permesso di limitare al massimo la costruzione di nuovi edifici e proteggere l’ambiente naturale che ci circonda. Naturalmente, visto che ogni medaglia ha il suo rovescio, rinunciare quasi completamente alla costruzione di nuovi insediamenti ha significato per il Comune dover rinunciare agli oneri di urbanizzazione, vale a dire ai contributi incassati da ogni amministrazione comunale in cambio del permesso di costruire. Per un Comune piccolo come il nostro, alle prese con i tagli selvaggi ai trasferimenti statali in atto da anni e con l’eliminazione dell’ICI, tutto questo ha causato una profonda revisione del bilancio interno. Per coprire i 90.000 euro circa di minori entrate dovute ai mancati oneri di urbanizzazione, abbiamo operato su più fronti; da un lato abbiamo agito sulla leva fiscale e tariffaria, aumentando fino al massimo previsto dalla legge le imposte di competenza comunale e chiedendo maggiori contributi per i servizi comunali (mense scolastiche, rette per asili, ecc.) alle classi sociali economicamente più forti. Dall’altro lato abbiamo cercato di ridurre le spese, argomento sempre di attualità nel panorama politico italiano ma che tutte le amministrazioni locali e centrali hanno difficoltà ad attuare. Da tempo in Comune non abbiamo più auto di rappresentanza e il sottoscritto è allo stesso tempo segretario e addetto stampa di se stesso. Le manifestazioni culturali vengono realizzate tramite accordi di sponsorizzazione e la biblioteca comunale è gestita in maniera volontaria dagli stessi abitanti, quindi a costo zero per le casse comunali. La scuola dell’infanzia è stata dotata di pannelli solari che ci permettono di abbattere i costi della bolletta energetica mentre al cimitero comunale, per il quale la spesa per la fornitura di energia elettrica si aggirava sui 2.500 euro l’anno, si è provveduto, con un investimento di circa due mila euro a sostituire tutte le lampadine ad incandescenza con modernissime, ecologiche ed economiche lampade a LED. Oltre a tutto ciò, sfruttando le bellezze artistiche e paesaggistiche del nostro territorio, ci siamo inventati i matrimoni a mezzanotte, idea che frutta alle casse comunali circa venti mila euro l’anno, importo che da solo basta a coprire abbondantemente gli esigui gettoni di presenza di Sindaco, assessori e consiglieri. In questo modo gli sposi che vogliono rendere ancor più indimenticabile il giorno del loro matrimonio non hanno che da scegliere la location: possono scambiarsi gli anelli durante una crociera sul Naviglio o nei giardini di una villa settecentesca o, per i più esigenti, nel parco della residenza comunale, a mezzanotte in punto, con Sindaco o assessore comunale nel ruolo di pubblico ufficiale, pronti ad unire in matrimonio la coppia.»Alla domanda se una scelta simile sia possibile solamente in piccoli centri abitati o anche in realtà più grandi e complesse, Finiguerra risponde senza incertezze: «non solo è possibile ma è doveroso che le amministrazioni locali interrompano la cementificazione selvaggia che negli ultimi anni ha portato ad un consumo di territorio sempre maggiore. Questo ritmo di sviluppo urbano, se di sviluppo si può parlare, non è più sostenibile. Dobbiamo renderci conto che ci stiamo mangiando il bene più prezioso che questo Paese ha: l’ambiente. La campagna che fino a qualche decennio fa circondava le nostre città è ormai solo un lontano ricordo, sommersa com’è da nuovi quartieri, strade, centri commerciali, insomma da una colata di cemento e asfalto che non ha eguali in Europa: basti pensare che in Germania esistono severi limiti di legge che impediscono di costruire nuove volumetrie oltre i limiti stabiliti, cosa che non accade assolutamente in Italia. Fra qualche anno la campagna non esisterà quasi più e allora cosa andremo a comprare nei fantasmagorici centri commerciali che sorgono un po’ dappertutto come funghi in tutta la penisola? Cosa ne sarà dell’agricoltura, dell’allevamento, del turismo che tanta ricchezza hanno generato in questo Paese? È ora di cominciare a porsi tutte queste domande, prima che sia troppo tardi!»
(2010-4 pag 21)