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Senza figli è meglio

Fra nuovi valori e difficoltà economiche, spesso la coppia rinuncia alla procreazione

Neueste Untersuchungen zeigen, dass der Familiennachwuchs für viele Paare, insbesondere in Nord- und Mittelitalien, an Bedeutung verloren hat. Ursache dieser Entwicklung ist zum einen die politische Situation, welche junge Eltern zu wenig unterstützt und zum anderen eine Gesellschaft, die immer mehr Wert auf Konsum und Freizeit legt, als auf die Institution Familie.

Pino Mencaroni

Può una coppia senza figli dirsi veramente felice? La metà degli italiani pensa proprio di sì. Ben il 48,8% della popolazione italiana ritiene che avere figli non sia la “condizione indispensabile” per la vera felicità della coppia. E, solo il 19,6%, nel 1995 si stava al 24,4%, vive la prole come obiettivo primario della vita di coppia. Insomma, la “centralità del procreare” sta costantemente decrescendo.
Geograficamente il paese reagisce in modo diversificato: i figli sembrano essere ancora un discreto “must” nell’Italia meridionale, molto meno al centro e, ancor meno, al nord-est.
Questo, in sintesi, il risultato dell’indagine condotta dal Gpf, Istituto di ricerca e consulenza strategica sul cambiamento sociale, i consumi e la comunicazione su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta. Lo scenario riflette innanzitutto un giudizio negativo sulla situazione economica familiare e sulle politiche sociali. «Le attuali politiche sociali - ha commentato Monica Fabris, responsabile della Ricerca Qualitativa per GPF - sembrano opporsi a ogni motivazione di tipo procreativo. Fare un figlio oggi non è più un dovere morale, ma nemmeno un diritto. Le strutture di sostegno, dai consultori agli asili, sono sempre meno attrezzate e spesso addirittura negate. Le giovani coppie faticano a trovare casa e lo spazio metropolitano segna tassi di inquinamento sempre più alti. Non esistono le condizioni base per l’infanzia».
Eppure le occasioni non sono mancate. Circa 60 governi in 60 anni, ma per la famiglia, la politica ha prodotto poco più del nulla. Persino paradossale in un paese cattolico. A partire poi dagli ultimi vent’anni, quando i baby boomers si sono fatti genitori, l’incedere della politica per la famiglia ha assunto contorni persino grotteschi. La parola d’ordine è divenuta “aiutare i nuclei numerosi”, quelli con almeno tre figli. Principio giusto, peccato che il Bel Paese sia pieno di nuclei con un unico figlio. Quindi la gran parte delle famiglie non riceve nessun aiuto tangibile. Certo ci sono i famosi assegni familiari, al massimo 800 euro all’anno per figlio, poco più di una elemosina - bastano a malapena per pagare due mesi di asilo nido. E per tutto il resto? “Grattatevi”, risponderebbe il poeta romano Trilussa.
Comunque, le carenze di uno Stato colpevolmente assente sono solo una delle facce del fenomeno, perché poi ci nascono le nuove priorità della cultura occidentale. Valori come l’autoaffermazione, l’edonismo e il consumismo remano contro la procreazione. Più in particolare, il rapporto tra uomo e donna sembra oramai basarsi su nuove premesse e ruotare intorno a una sorta di “contratto implicito”, quasi silente, in cui i figli non rappresentano l’elemento principale o l’obiettivo manifesto. Secondo, l’indagine Gpf, è in corso un processo in cui la maternità e la paternità sono gradualmente de-ideologizzate, private, cioè, dei secolari orpelli forniti dalla morale laica o dalla religione. Esser padre o madre diviene un piacere egoistico di per sé, eventualmente da sperimentare, ma non costituisce più il valore aggiunto della famiglia, né tanto meno il suo collante. Anzi, è dopo l’arrivo dei figli che spesso la coppia scoppia e ci si lascia. Forse, e paradossalmente, non si fanno figli proprio per restare insieme.

2006-4 pg 18

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