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Relativismo contro fondamentalismo

I rischi della polemica di Benedetto XVI contro il relativismo

Der Kampf des Papstes gegen den Relativismus ist einem interreligiösen Dialog nicht hilfreich, denn Ursprung jedes Fundamentalismus ist jener Absolutismus, der viel gefährlicher als der von Benedikt XVI kritisierte Relativismus ist.

Miranda Alberti

La campagna contro il relativismo avviata da Benedetto XVI non promette niente di buono,
ossia di ragionevole, in questo mondo lacerato da un esasperato fondamentalismo religioso. Al contrario essa versa benzina sul fuoco dell’incomprensione e dell’intolleranza. Il relativismo non è uno spettro da combattere, ma una flessibile categoria del pensiero che permette di conciliare in modo corretto e paritario il “diverso” con l’ “uguale”. Cerco di spiegarmi partendo dal politeismo.
In quella religione, che non è affatto una forma di culto del passato in quanto ancora oggi sopravvive, il problema del “relativismo” non si pone e magari si deve parlare di pluralismo: pluralismo delle divinità. Conflitti religiosi nel politeismo non si danno, casomai sono conflitti politici o sociali. Certo che il proliferare delle divinità ad infinitum porta a quella cattiva infinità che poco piaceva a Hegel e ai cultori dell’infinito attuale. Tradotto in termini razionali significava, per esempio, rassegnarsi ad un proliferare infinito della “verità” fino all’annientamento del suo significato e della sua funzione orientativa.
Sul terreno del monoteismo, invece, là dove la divinità risplende nella sua assolutezza, i conflitti religiosi attecchiscono generosamente e si cristallizzano perfino all’interno di uno stesso credo. Il principio di esclusività impera e ognuno pretende di dettare le proprie “regole” agli altri. Pensiamo alla lunga e dolorosa storia delle persecuzione degli “eretici”, pensiamo alla divisione della chiesa cristiana, pensiamo alla persecuzione degli ebrei e alle divisioni interne all’Islam.
In nome di un unico Dio, di un’unica verità, di un seducente e tranquillizzante assoluto, ci si scaglia gli uni contro gli altri senza risparmiare colpi e crudeltà. Non si trova contraddizione più stridente di questa “unità” che lacera se stessa fino all’autonegazione. Ebbene a questo punto il tanto deprecato
“relativismo” potrebbe venirci in soccorso, se non volessimo pregiudizialmente escluderlo. È semplice: se assolutizziamo “dio” (o l’uno, o l’infinito, o la verità, o l’onnipotenza ... chiamiamolo come vogliamo) allora dobbiamo semplicemente relativizzare le “vie”, i “culti”, le “forme”, tout court: le religioni che a “lui” dovrebbero condurci. Nessuna “via” può essere migliore dell’altra, perché dello stesso “dio” si tratta, ma tutte potrebbero rispettarsi nelle loro diverse tradizioni e pratiche rituali (che poi tanto si assomigliano!). Migliaia di pagine fitte di acrobatiche disquisizioni teologiche potrebbero, con questo semplice ragionamento, disperderersi al vento e finalmente vi sarebbe chiarezza sulla terra e il paradiso potrebbe essere la metafora ispiratrice di un mondo interculturale in perfetta armonia. Infine è bene ricordare che il monoteista che si rifiuta di relativizzare il proprio credo finisce, per forza di logica, con il relativizzare quel dio che aveva posto come unico. O l’una o l’altra soluzione, ma senza relativizzare non si esce da questo circolo vizioso e soprattutto non si esce dalla spirale pericolosa del fondamentalismo religioso.

(2006-2 pag 25)

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