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- Categoria: Dall'Italia
- Pubblicato Lunedì, 06 Dicembre 2010 20:40
Ustica
Una strage impunita
Wer hat die Rakette an jener verdammten Nacht vom 27 juni 1980 in der Himmel zwischen Neapel und Palermo auf einen ruhige Linien Flugzeug mit 81 Menschen an Bord geschossen?Von welcher NATO Flugzeug kam diese Rakette und warum wurde sie geschossen?
Welches wäre des richtige Ziel gewesen?
Wieso die Generalen der Italienischer Luftwaffe haben alle die Radar Dokumentationen verschwinden lassen damit die verantwoertliche von diese Desaster nicht mehr zu finden waren?
Glaubt ihr wirklich dass der Disaster von Rammstein eine tragische umfall gewesen ist? Die zwei Piloten, die der Unfall verursacht haben, hätten eine Woche später in einen Italienischer Gericht antworten müssen wegen des USTICA Falles, weil sie in den Abend von 27 Juni Zeugen von was geschehen ist waren. Sie waren gleichzeitg in diese Stückhimmel mit ihre Flugzeug geflogen. Viele Fragen ohne Antwort die wurden gestellt in alle diese Jahren von Richter, von Verwandten der Opfer und von Journalisten. (…) Pippo Pollina
Franco Casadidio
Venerdì 27 giugno 1980. Giuliana è una bella bambina di 10 anni, felice perché ha appena ritirato la sua pagella scolastica piena di bei voti; felice perché sta andando in Sicilia per riabbracciare il suo papà che vive lì da qualche anno; felice perché, accompagnata dalle hostess, sta per salire su un aereo all’aeroporto di Bologna per il primo volo della sua vita. Se fosse viva, oggi Giuliana avrebbe circa 38 anni, magari una famiglia e chissà, anche dei figli cui raccontare quel suo primo viaggio in aereo; ma Giuliana non c’è più, morta, a dieci anni, in quello che, oltre ad essere il primo, è stato anche il suo ultimo viaggio in aereo. Un aereo che doveva portarla a Palermo e che, invece, l’ha condotta direttamente in cielo non prima di averla trascinata con sé a 4000 metri di profondità in fondo al mar Tirreno.
IL VOLO
È una bella serata di inizio estate all’aeroporto “Marconi” di Bologna. Tra i tanti aerei che rullano sulla pista, pronti al decollo, c’è anche un DC9 della compagnia aerea Itavia.
Doveva decollare alle diciotto ma a causa dei ritardi accumulati nei precedenti viaggi e di un violento temporale, la partenza è slittata alle venti. Il DC9 è diretto a Palermo con 81 persone a bordo: 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Alle 20 e 08 l’aereo lascia lo scalo bolognese ed inizia il suo volo verso la Sicilia, sfruttando l’aerovia denominata “Ambra 13”.
A questo punto, prima di proseguire nel racconto è bene chiarire alcuni concetti in materia di volo. Le aerovie, per cominciare, non sono altro che “autostrade del cielo”, rotte predeterminate che gli aerei utilizzano per spostarsi da un punto all’altro del globo terrestre.
Per evitare incontri ravvicinati, potenzialmente pericolosi, tra aerei militari e civili, le quote di volo sono differenti: i primi volano più in basso, i secondi più in alto, salvo casi particolari durante i quali i velivoli militari possono intersecare rotte civili (ad es.pattugliamento) o volare a quote molto più elevate (voli supersonici). Tutto abbastanza semplice, almeno in apparenza. Eh sì perché un conto è guidare un’auto seguendo la segnaletica orizzontale e verticale, un altro pilotare un aereo in cielo! Non ci sono cartelli con le indicazioni lassù! Ed è per questo che i piloti vengono aiutati dai centri radar di terra. I controllori di volo accompagnano l’aereo dal suo decollo fino all’atterraggio, dando indicazioni sulla rotta da seguire, correggendo eventuali errori di allineamento, fornendo aiuto ai piloti in caso di condizioni meteo avverse. Ogni radar controlla una porzione di cielo ed è in contatto diretto con tutti gli aerei che volano nel proprio raggio d’azione oltre che con gli altri centri di controllo. Anche in questo caso, come per i corridoi di volo, il traffico militare e civile è tenuto ben separato. Questo, naturalmente, non significa che un radar militare non possa “vedere” un aereo civile in transito, perché, com’è comprensibile, il radar non distingue che tipo di aereo c’è in volo: la scelta viene effettuata dall’operatore a terra i base all’appartenenza all’una o all’altra categoria. Ma come si identificano gli aerei sul radar? Semplice: proprio come un’auto, cioè con il proprio numero di targa. Beh, non è che abbiano proprio una targa e del resto, anche ce l’avessero, sfido chiunque a leggerla da terra! La “targa” dell’aereo è nient’altro che un numero identificativo univoco che gli viene assegnato al momento del decollo. Il pilota inserisce il numero in questione in una scatolina chiamata transponder che, per tutto il volo, si preoccupa di inviare a terra, ad intervalli regolari, un segnale radio contenente l’identificativo, in maniera tale che sul radar del controllore di volo, il puntino corrispondente al velivolo venga affiancato dal suo numero d’identità, la sua “targa”. Naturalmente tutto questo è valido se il pilota accende il transponder, in caso contrario per il personale di terra risulta impossibile “riconoscere” l’aereo in volo.
Tutto chiaro! Spero di sì.
Torniamo al nostro DC9. Il volo iniziato alle 20 e 08 si preannuncia tranquillo: tempo ottimo, nessun problema tecnico, arrivo previsto a Palermo poco dopo le 21. Ma la calma è solo apparente.
I PRIMI PROBLEMI
Mentre il DC9 è in volo sopra l’Appennino tosco-emiliano, due F-104 dell’aeronautica militare italiana, incrociano la sua rotta, qualche centinaio di metri più in basso. Ai comandi di uno dei due caccia ci sono i comandanti Mario Naldini e Ivo Nutarelli, due esperti piloti con migliaia di ore di volo alle spalle. Alle 20 e 24 i due lanciano un segnale di allarme generale a tutta la difesa aerea, ripetuto altre due volte nel giro di pochi minuti. Perché? cos’hanno visto di così grave da indurli ad allertare, con il massimo grado, la nostra difesa aerea? Mistero!
Passano pochi minuti e un’altra anomalia interessa il DC9. Nel suo viaggio verso Palermo il volo Itavia viene preso in “consegna” dal centro radar di Ciampino, vicino Roma. Il controllore di volo chiede all’aereo di identificarsi perché il segnale radar è disturbato e a terra vogliono essere certi che quello che vedono sul loro schermo è proprio il volo Bologna-Palermo: anche il controllo radar di Poggio Ballone (radar militare) effettua la stessa richiesta. In pochi minuti Ciampino e Poggio Ballone ripetono la procedura di identificazione per ben 13 volte! Perché? cos’ha il DC9 Itavia di così strano? Mistero!
Poco dopo il controllore di volo di Ciampino comunica al comandate che è fuori rotta e deve virare per restare all’interno dell’aerovia.
Ciampino – “870 identifichi”
DC9 - “Arriva”
C. – “Ok, è sotto radar, vediamo che sta andando verso Grosseto, che prua ha?”
DC9 – “La 870 è perfettamente allineata sulla radiale di Firenze, abbiamo 153 in prua”
C. – “Adesso vedo che state rientrando, quindi, praticamente, diciamo che è allineato, mantenga questa prua”
DC9 – “Noi non ci siamo mossi, eh?”
Chi si è mosso allora? Mistero.
Alle 20 e 57 il volo IH870 si trova a sud dell’isola di Ponza e prende contatto con la torre di controllo di Punta Raisi a Palermo; alle 20:56 e 44 secondi avviene l’ultima comunicazione audio tra il DC9 e la torre di controllo. Alle 20:59 e 45 secondi il DC9 Itavia sparisce dai radar.
UNA LUNGA NOTTE
I controllori di volo di Ciampino, ma anche quelli di Palermo, capiscono subito che qualcosa non va. Provano a chiamare più volte il volo IH870 senza ottenere risposta. Decidono allora di contattare un aereo della Air Malta che si trova circa 15 minuti dietro al DC9 Itavia e chiedono di mettersi in contatto con il volo Bologna-Palermo tramite la radio di bordo, ma il tentativo fallisce: nessuna risposta. Viene contattato il centro radar militare di Marsala per sapere se loro hanno notizie del volo Bologna-Palermo ma anche a Marsala la risposta è negativa. Stessa cosa dai centri radar militari di Siracusa, Martinafranca, Licola. Si pensa subito ad inviare i primi soccorsi ma il sopraggiungere dell’oscurità rende necessario rimandare tutto al mattino seguente.
Mentre le agenzie di stampa battono le prime scarne notizie su quanto accaduto, per i parenti in attesa all’aeroporto di Palermo comincia una lunga e angosciante notte d’attesa; a loro viene più volte ribadito che l’aereo risulta “ufficialmente disperso”. Nulla di più né dalle autorità civili né, tanto meno, da quelle militari.
IL MATTINO SEGUENTE
Alle 7 del mattino del giorno seguente i mezzi di soccorso individuano le prime tracce del relitto del DC9 e, purtroppo, anche alcuni corpi che galleggiano senza vita sulla superficie del mare. Quello che tutti temevano si trasforma in certezza: l’aereo è precipitato in mare, nel punto dove il Tirreno è più profondo. Superstiti non ce ne sono. Si controllano le liste d’imbarco e si tirano le somme: 81 morti, 4 membri dell’equipaggio e 77 passeggeri tra cui 11 bambini e due neonati di pochi mesi. Quella che viene da subito ribattezzata come la tragedia di Ustica, dal nome della vicina isola siciliana, è la più grande sciagura aerea italiana, una delle più gravi al mondo.
Nel caos che contraddistingue le prime operazioni di soccorso e ripescaggio, intanto, nessuno si preoccupa di fare una cosa semplice ma essenziale: inventariare i reperti ripescati. Capita così che alcune cose, nei giorni successivi, scompaiano misteriosamente e tra queste anche quelle che potrebbero indirizzare da subito le indagini in una certa direzione, come, ad esempio, un casco da pilota militare. Intanto si procede ad effettuare le autopsie su alcuni dei corpi ripescati. Gli anatomo-patologi sentenziano che la morte è stata causata da “forti lesioni polmonari da decompressione”. In parole povere, l’aereo si è “aperto” in volo. Quelli che non sono morti subito o non sono stati risucchiati all’esterno, hanno perso conoscenza e sono deceduti a causa del violento impatto con la superficie del mare. Solamente i parenti di 39 delle 81 vittime hanno, comunque, dei resti da piangere: a tutti gli altri verrà negata anche questa consolazione. Ma perché l’aereo è caduto?
LE PRIME IPOTESI
Nel 1980 l’Italia è in piena emergenza terrorismo ed è in questa direzione che, da subito, si indirizzano le prime ipotesi sulle cause dell’esplosione in volo dell’aereo Itavia. Si pensa, in particolare, al terrorismo “nero”, che negli ultimi anni ha già messo la propria firma sulle stragi di Piazza della Loggia a Brescia (1974), del treno Italicus (1974) e che poco più di un mese dopo, rivendicherà la strage alla stazione di Bologna. L’ipotesi bomba trova sostegno anche nelle relazioni di alcuni collegi peritali redatte negli anni seguenti. Nessuno di essi, però, riesce ad indicare con certezza la collocazione a bordo del DC9 della presunta bomba e, quando si è provato a sostenere che la stessa fosse stata collocata nella toilette dell’aereo, non ci sono state spiegazioni convincenti sul come, un ordigno in grado di distruggere un aereo, sia esploso lasciando intatto il bagno stesso, ripescato, praticamente, quasi integro.
A dir la verità, negli ambienti dell’aeronautica militare circolano fin da subito altre inquietanti ipotesi: collisione in volo o abbattimento ad opera di un missile.
La zona dove il DC9 è sparito dai radar infatti è, da tempo, al centro di forti polemiche; molti piloti civili si sono lamentati dei tanti e pericolosi sconfinamenti di aerei militari nello spazio aereo riservato al traffico civile. Quella zona di cielo, a loro dire, è diventata una sorta di terra di nessuno con i “top gun” che si “divertono” a giocare alla guerra a bordo dei loro aerei mettendo a rischio l’incolumità di migliaia di ignari passeggeri. Ma le rimostranze, come spesso accade, cadono nel vuoto. Quella sera, dopo che il DC9 è sparito dai radar, qualcuno si ricorda di questo e azzarda l’ipotesi che il volo Itavia sia rimasto vittima, in qualche modo, di questa situazione. Sulla scia di questa idea, dal centro radar di Ciampino (tutto il controllo aereo a quel tempo era gestito dai militari!), decidono di chiamare l’ambasciata USA a Roma e parlare con l’attaché militare per chiedere se loro abbiano qualche notizia in più sulla sparizione del DC9, visto che per tutto il giorno, nella zona di presunta caduta, è stato visto un gran “razzolare” di aerei militari americani. Gli americani rispondono di non aver visto nulla e che tutti i loro aerei sono regolarmente rientrati alle proprie basi, compresi quelli stanziati a bordo della portaerei Saratoga, ammiraglia della VI flotta, ancorata a Napoli.
Seguendo le ipotesi collisione e “near collision”, quella sera ha luogo un vorticoso giro di telefonate tra il centro radar di Ciampino e quelli militari di Marsala, Siracusa, Martinafranca, e tra questi e lo Stato Maggiore dell’Aeronautica, il cui responsabile, Gen. Bartolucci, alle ventitré chiede di verificare se manchi qualche aereo dagli hangar militari italiani o da quelli NATO in Italia o, in alternativa, se qualcuno sia rientrato alla base danneggiato.
Dopo qualche ora, però, la nostra aeronautica fornisce la “sua” versione dei fatti, quella che da quel momento, e per diversi anni a venire, sarà la sola e unica verità ufficiale sul disastro di Ustica: quella sera il DC9 era solo. Nessun aereo militare italiano, americano o NATO era in volo, nessun aereo di altri paesi solcava i cieli italiani, niente di niente. Il DC9 può essere caduto solamente a causa di un cedimento strutturale o per una bomba a bordo. Le varie commissioni d’inchiesta istituite negli anni seguenti provano a ipotizzare scenari diversi Ma a suffragare ogni ipotesi mancano prove concrete. Il relitto dell’aereo giace in fondo al mare e la documentazione agli atti è vaga quando non del tutto inesistente.
I DUBBI E LE INDAGINI
Naturalmente la versione ufficiale dei militari non soddisfa a pieno gli addetti ai lavori e di questa insoddisfazione si fanno portavoce gli organi di informazione sui quali, con sempre maggior risalto, si cominciano a formulare ipotesi diverse, mettendo in evidenza i tanti punti oscuri di una storia sempre più torbida.
La svolta nella vicenda giudiziaria, seppur parziale, arriva nel 1991 quando le indagini sul disastro di Ustica passano in mano al giudice istruttore Rosario Priore. Questi, fin da subito, capisce che se si vuol provare a far luce su quanto accaduto, le urgenze sono due: il recupero dei resti dell’aereo e l’acquisizione di tutta la documentazione non ancora in possesso dell’autorità inquirente. Il ripescaggio dell’aereo era già stato avviato nel 1987 affidandolo alla società francese Ifremer (si scoprirà poi legata ai servizi d’intelligence d’oltralpe!) ma è nel 1991 che, grazie all’opera della società inglese Winpol, si riesce a recuperare buona parte dell’aereo e, soprattutto, il flight data recorder. L’acquisizione della documentazione, invece, risulta fin dalle prime battute piena di ostacoli.
MISTERI E DEPISTAGGI
La prima cosa che la magistratura vuole appurare è se veramente il DC9 quella sera fosse l’unico aereo in volo in quella zona. Le dichiarazioni della nostra aeronautica hanno sempre sostenuto questa tesi ma l’analisi più approfondita dei tracciati radar sembra smentire i militari. Diversi esperti evidenziano come il tracciato radar di Fiumicino riporti anche i plot (tracce) di almeno un altro aereo che vola parallelo al DC9 per alcuni minuti per poi virare a est e incrociare la rotta dell’aereo civile proprio nel punto in cui questo sparisce dagli schermi radar. Tipo di traccia e velocità corrispondono a quelle di un caccia militare. Dopo dieci anni dalla tragedia, si ha la certezza che la tesi sostenuta con forza dalla nostra aeronautica militare non è vera. Ma le “sorprese” non finiscono qui. Il radar di Fiumicino è al limite di visibilità in quel punto ma dopo l’incidente riesce a “vedere” una serie di “plot” che gli esperti sostengono possano corrispondere a uno o più aerei militari che salgono di quota a velocità sostenuta per sottrarsi agli occhi dei radar di controllo. Ma, allora, se il radar di Fiumicino ha visto tutto questo, quelli più vicino, tipo Marsala, Siracusa, Licola (Napoli) cos’hanno visto? niente. Eh sì, incredibilmente nessuno ha visto niente. A Marsala sostengono che loro hanno seguito la traccia dell’aereo Itavia fino a un attimo prima della tragedia ma poi hanno dovuto spegnere tutto perché c’era in corso un’esercitazione simulata. A Licola e Marsala le cose non vanno diversamente così come non si riesce a cavare un ragno dal buco con i registri dei tracciati radar. Quello di Licola è scomparso mentre quello di Grosseto è stato spedito a Marsala (perché? boh!) e lì è sparito. Fortunatamente si ritrova il registro radar di Poggio Renatico (sito radar vicino Bologna) ma sfortuna vuole che manchi proprio la pagina del 27 giungo. Salta fuori anche il registro di Marsala e ha pure la pagina del 27 giugno; peccato che l’originale sia stata strappata e sostituita con una riscritta. Ma quella sera c’era comunque del personale in servizio, avrà o no visto qualcosa? nì. C’è chi ha visto e parla pure, parla di missili e aerei militari; ma quando il giudice chiederà conto di quelle telefonate registrate, a distanza di anni qualcuno non riconosce più neanche la propria voce. È il caso di tre militari in servizio a Grosseto che parlano tra loro senza accorgersi di un telefono mal riposto, collegato direttamente con Ciampino, dove il colloquio viene registrato in automatico. Ma dopo 11 anni (tanto impiega la magistratura a farsi consegnare l’elenco del personale in servizio!) nessuno di loro ricorda più il tenore di quella chiacchierata. E che dire poi di quel militare che nel 1997 chiama, anonimamente, la trasmissione RAI “Telefono Giallo” e in diretta sostiene che lui, quella sera, era in servizio a Marsala e ha visto tutto, così come i sui colleghi, ma “i nostri superiori ci dissero di starcene zitti”. Incredibile. Tanto incredibile che il giudice Borsellino chiede immediatamente al sito radar siciliano di fornire l’elenco del personale in servizio quella notte. Marsala fornisce il registro presenze ma... purtroppo manca una pagina!; manco a farlo apposta è proprio quella del 27 giugno. E di circostanze come queste la storia di Ustica è piena. Reticenze, omissioni, bugie, depistaggi, tanti “non so”, “non ricordo”, “non c’ero” per nascondere chi o che cosa? Domande destinate a restare, purtroppo, senza risposta. E non a tutti i protagonisti della vicenda è stato possibile rivolgere domande!
LE MORTI SOSPETTE
Ritorniamo per un attimo al racconto del volo fatto in precedenza. Ricordate i due F104 che incrociano il DC9 sopra l’appennino tosco-emiliano? Bene, ai comandi di uno dei due aerei si trovano Ivo Naldini e Mario Nutarelli che, a un certo momento, lanciano l’allarme generale alla difesa aerea. Perché? La magistratura glielo chiede una prima volta ma i due, in pratica, non rispondono. Vengono allora riconvocati una seconda volta; appuntamento fissato per i primi giorni di settembre del 1988. I due nel frattempo sono passati a far parte della Pattuglia Acrobatica Nazionale, le famose Frecce Tricolori e domenica 28 agosto sono impegnati a Ramstein in Germania, per uno spettacolo con le PAN di altri Paesi. Durante l’esibizione della pattuglia italiana, al momento dell’esecuzione della figura chiamata “cardioide”, tre aerei si scontrano in volo e precipitano sulla folla causando la più grande sciagura aerea mai verificatasi durante un’esibizione acrobatica. I morti sono settanta, 67 spettatori più tre piloti italiani: il Cap. Giorgio Alessio, il Ten. Col. Ivo Nutarelli, il Ten. Col. Mario Naldini. Il perché di quel segnale di allarme generale resterà per sempre un mistero. Ma ci sono altre morti sospette legate ad Ustica, come quella del Cap. Gari, controllore della Difesa aerea a Poggio Ballone (Grosseto), in servizio la sera del 27 giugno e morto d’infarto il 9 maggio 1981, quando era ancora in giovane età e non era affetto da nessun tipo di cardiopatia. E in servizio a Poggio Ballone, quella maledetta sera, c’era anche il maresciallo Dettori, trovato impiccato ad un albero la mattina del 31 marzo 1987. Così come impiccato viene ritrovato, il 21 dicembre 1995, il maresciallo Parisi, controllore di Difesa aerea al 32° CRAM di Otranto. Lui non era in servizio la sera del 27 giugno, bensì la mattina del 18 luglio seguente, un altro giorno pieno di misteri, legato a doppio filo con la strage di Ustica.
IL MISTERO DEL MIG LIBICO
Il 18 luglio 1980 una telefonata alla stazione dei carabinieri di Caccuri in Calabria, effettuata dal sindaco del comune di Castelsilano, segnala la caduta di un aereo tra i boschi della Sila. Il luogo è impervio e raggiungerlo risulta particolarmente difficile. Tra i primi a giungere sul posto l’ufficiale sanitario di Castelsilano, il dott. Scalise, che rinviene il cadavere di un uomo in tuta militare, evidentemente il pilota dell’aereo caduto. Sì perché l’aereo è di tipo militare ma non è italiano né di un Paese NATO. Il caccia è un MIG23 libico. Ma cosa diavolo ci fa un MIG23 libico sui monti della Sila? La spiegazione ufficiale libica, fatta propria dal governo italiano, è che il pilota dopo aver accusato un malore mentre era in volo di addestramento sopra Bengasi (Libia), ha innestato il pilota automatico e, dopo lo sconfinamento, è finito per schiantarsi sulle montagne calabresi. Tutto questo la mattina del 18 luglio 1980. Punto. Ma qualcosa non torna neanche in questa storia. Per prima cosa com’è stato possibile per un MIG23 libico, quindi appartenente a un Paese potenzialmente ostile al nostro, superare senza incontrare resistenza tutte le difese aeree italiane e NATO e schiantarsi in Calabria? E ancora, come mai se l’incidente è avvenuto la mattina del 18 luglio il dottor Scalise rileva, a poche ore di distanza dal ritrovamento, come il cadavere si trovi “in incipiente stato di decomposizione, tanto da consigliare l’immediato seppellimento per spappolamento delle visceri addominali”? Ma non basta. L’esame autoptico, eseguito il 23 luglio dai professori Rondanelli e Zurlo conferma in pieno quanto evidenziato dal collega Scalise. Nella relazione peritale, infatti, i due scrivono che “il cadavere si trova in avanzato stato di decomposizione con necrosi gassosa e presenza di numerosi nidi di vermi”. E non finisce qui. I due esperti, al momento della rilettura della propria perizia, impressionati dallo stato del cadavere, correggono di proprio pugno la relazione sostituendo l’aggettivo “avanzato” con “avanzatissimo” e il sostantivo “vermi” con “larve”. Il giorno dopo, non contenti, depositano, presso la Procura della Repubblica, un supplemento nel quale evidenziano ancor più lo stato di estrema decomposizione del cadavere, sostenendo che “la morte doveva essere retrodatata ad almeno quindici giorni prima dell’autopsia”.
Conclusioni di questo tipo, però, contrastano con quelle cui, con tanta fretta, sono giunte le autorità militari e civili italiane e libiche e avvicinano pericolosamente la data di caduta del MIG23 con quella del DC9; è davvero troppo! Al punto tale che, misteriosamente, il supplemento di perizia sparisce dagli archivi della Procura, così come nessuna traccia lasciano le numerosissime foto scattate al cadavere in sede di autopsia, documenti preziosissimi per verificare il reale stato di conservazione del corpo.
Nonostante dubbi e perplessità la vicenda del MIG23 viene archiviata relativamente in fretta dando per buona la spiegazione ufficiale fornita dalla nostra Aeronautica.
Solo alcuni anni dopo, purtroppo, si scoprirà che in quegli anni gli aerei libici avevano, di fatto, libero accesso ai cieli italiani nei voli che periodicamente compivano dal proprio Paese verso la Iugoslavia dove veniva loro assicurata la necessaria manutenzione tecnica. Insomma, gli aerei libici attraversavano come e quando volevano il nostro spazio aereo, a volte nascondendosi sotto aerei di linea per sfuggire ai radar della difesa aerea, con la nostra Aeronautica che chiudeva un occhio (ma spesso anche tutti e due) e gli alleati NATO sempre più insofferenti a questo doppio gioco italiano in favore di quello che, a quei tempi, era considerato lo “stato canaglia” per eccellenza.
CONCLUSIONI
Non è certo facile trarre conclusioni quando c’è di mezzo Ustica.
La sentenza-ordinanza del giudice Priore, depositata il 31 agosto 1999, ha sancito una prima verità: “l’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto”.
Atto di guerra, quindi. Ma da parte di chi? È questa la domanda a cui nessuno è mai riuscito a dare una risposta.
I collegi peritali che si sono succeduti in questi 25 anni hanno detto tutto e il contrario di tutto, rinnegando, in alcuni casi, anche le loro stesse affermazioni. I tracciati radar, quelli che si sono salvati, hanno chiarito come quella sera il DC9 non fosse solo in quella spazio aereo. C’era traffico intorno all’aereo Itavia, traffico militare anche se nessun paese lo ha mai ammesso. Non l’Italia nonostante il segnale di allarme generale alla difesa aerea lanciato dai caccia F104, non gli USA nonostante la VI flotta alla fonda a Napoli, non la Francia, nonostante diversi testimoni abbiano dichiarato di aver visto “un intenso andirivieni di caccia Mirages dalla base corsa di Solenzara” in quella maledetta sera. L’ha ammesso la NATO circa vent’anni dopo, negando però qualsiasi informazione sulla nazionalità degli aerei in questione che quella sera volavano a transponder spenti per non farsi identificare!. Del resto il traffico militare era stato ben individuato anche dai siti radar tanto che, alcuni anni dopo il disastro, il serbatoio supplementare di un caccia verrà individuato e ripescato proprio basandosi sui tracciati radar registrati quella sera. Peccato che la ditta produttrice, interpellata, non sarà in grado di fornire il nome dell’acquirente a causa della perdita dei files contenenti i dati commerciali!
Archiviazione, quindi, perché impossibile individuare i responsabili, anche a causa dei depistaggi messi in atto dai nostri vertici militari, a loro volta assolti (Cassazione, 10 gennaio 2007) dall’accusa di alto tradimento, alcuni per non aver commesso il fatto, altri perché, pur ritenuti colpevoli, salvati dalla caduta in prescrizione del reato contestato.
Tracciati radar fatti sparire come per magia, registri con pagine strappate o falsificate, per tutti questi anni la parola d’ordine dell’Aeronautica militare italiana è stata “negare” sempre e comunque, anche l’evidenza. Negare che ci fossero altri aerei in quello spazio aereo, negare qualsiasi coinvolgimento di aerei italiani o NATO, negare una qualsivoglia correlazione tra il DC9 e il MIG23 libico, negare tutto e costruire quello che Dino Risi nel suo film ha definito “il muro di gomma”, dando un’immagine perfetta di quello che in questi decenni i parenti delle vittime, i loro avvocati e i magistrati che hanno indagato su Ustica si sono trovati di fronte. Un muro di gomma alto, invalicabile, in grado di respingere ogni tentativo di far luce su una vicenda che, oltre a costare la vita a 81 innocenti ha sconvolto per sempre quella dei loro familiari. Ustica è e resterà per sempre come una macchia indelebile nella storia della Repubblica, una sorta di vergogna nazionale da non dimenticare, per fare in modo che nessuno possa mai più permettersi di ammazzare 81 innocenti, sconvolgere la vita dei loro familiari, rendere orfani i bambini, vedove le mogli, strappare i figli ai loro genitori e farla franca quasi si fosse trattato soltanto di un gigantesco war game.
(2008-2 pag 8)