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- Categoria: Dall'Italia
- Pubblicato Lunedì, 06 Dicembre 2010 20:18
150 anni persi
Dopo un secolo e mezzo di unità l'Italia si mostra sempre più divisa
Im Mai hat Giorgio Napolitano, Präsident der Italienischen Republik, die offiziellen Festlichkeiten zum 150. Jahrestag der Vereinigung Italiens angestoßen. Das Land zeigt sich aktuell jedoch eher zerrissen und intolerant. Denn es leugnet die eigene Geschichte, die reich an verschiedenen Kulturen ist, die mittlerweile tief in Italien wurzeln.
Gianfranco Caccamo
Sono partiti in mille da Quarto per arrivare a Marsala per dar vita ad una nazione. Tanti anonimi ma gloriosi eroi in centocinquanta anni hanno dato la vita per la nazione. Un’unione fatta di tante piccole grandi culture, dialetti, specialità gastronomiche, idee, speranze e sogni. Centocinquanta anni nei quali tante identità locali si sono unite per diffondere con orgoglio una delle culture più ammirate nel mondo.
L’Italia non è solo una penisola, una pianura, qualche fiume, montagne e spiagge assolate; significa arte, letteratura, musica, gastronomia, scienza, invenzioni. Significa portare dentro di sé Michelangelo, Leonardo, Rossini, Verdi, Manzoni, Machiavelli, Galileo Galilei, Archimede, ma anche Mazzini, Garibaldi, Giolitti, De Gasperi, Aldo Moro, Falcone, Borsellino e tanti
milioni di cittadini che con il loro lavoro e le loro passioni hanno contribuito a far grande l’Italia. Allora non si comprende perché c’è sempre più la tendenza a “buttare a mare” tutto questo, a sventrare la storia e rinnegare l’opera dei padri della nazione. Perché c’è tanto disfattismo? Perché si torna ad identificarsi come padano, meridionale, siciliano, lombardo, napoletano e milanese? Si vuole forse tornare all’epoca delle città stato, delle Repubbliche Marinare e dei Ducati? L’italiano è sempre più incomprensibile: rinnega il proprio fratello e rifiuta il forestiero. Ma la domanda che sorge spontanea è: cosa ne sarebbe della cultura italiana se ognuno di noi fosse rimasto chiuso tra le proprie mura? Probabilmente nulla o poco.
Allora perché continuare a devastare l’identità italiana, tanto apprezzata nel mondo perché aperta e solidale con tutti?
Chi vi scrive è orgoglioso di essere italiano e allo stesso tempo di essere cittadino del mondo, di accogliere a braccia aperte
chi ha bisogno, che esso sia un amico di un’altra località italiana o che provenga dall’altra parte del mondo. Cambiare città o nazione non è un gioco, spesso dietro c’è una scelta dolorosa e forzata, una scelta di sopravvivenza. Il confronto, l’incontro e perché no, anche lo scontro (inteso come dibattito civile), fa accrescere ed evolvere la cultura, e ancor di più l’integrazione, il mescolare di idee. O forse chi chiude la porta al prossimo, in realtà è disposto ad aprirla a patto che chi bussa si sottometta? Alcuni atteggiamenti dell’italiano medio sembrano andare in questa direzione. Lo hanno vissuto sulla loro pelle i meridionali che in passato emigravano per lavorare nelle fabbriche del Nord, che non solo venivano sfruttati, ma anche trattati come bestie, rifiutati dai bar e ammassati in case fatiscenti. Oggi la stessa cosa capita allo straniero che deve
accettare salari bassi, affitti alti, lavori in nero, magari proprio nelle aziende o nelle case di coloro che gridano “via gli stranieri dall’Italia”. Un tempo l’italiano guardava con disprezzo quelle nazioni intolleranti, che giudicavano il prossimo solo dalla provenienza. Oggi invece l’italiano sta scomparendo: rimane un individuo che probabilmente continua a sventolare il tricolore non per patriottismo ma per appartenenza calcistica.
(2010-3 pag 15)