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Lo stallo della politica tedesca

Le difficili trattative per la formazione del nuovo governo in Germania

Pasquale Episcopo

Monaco, 17 dicembre 2017.
Dopo il fallimento della cosiddetta coalizione Giamaica (Unione CDU-CSU, Verdi e FDP) una riedizione della "Große Koalition" rappresenta l’alternativa più probabile per dare un governo alla Germania. Questa soluzione sarà ora oggetto di negoziazioni tra l'Unione CDU-CSU e SPD. Tra gli iscritti alla SPD sussistono forti resistenze ad un nuovo governo di larghe intese. Molti preferirebbero che il partito ne rimanesse fuori, dando di volta in volta in parlamento il proprio sostegno a un governo di minoranza, governo che però sarebbe del tutto inedito e la cui sopravvivenza sarebbe soggetta a forti rischi. L’ultima alternativa è, infine, quella rappresentata da nuove elezioni. Questa alternativa è molto osteggiata dai partiti tradizionali che temono di perdere ulteriormente il consenso dell'elettorato. 

Che il prezzo da pagare sarebbe stato quello dell’incertezza politica si era, comunque, capito già all’indomani delle elezioni del 24 settembre. Si era capito che le trattative all’interno della coalizione Giamaica sarebbero state lunghe e complesse. Così è stato. I principali temi discussi sono stati la politica migratoria, l’energia, l’ambiente e le misure per contrastare i cambiamenti climatici. Soprattutto la questione migratoria ha diviso gli animi. Nulla di nuovo. D’altronde è stato proprio cavalcando il malcontento generato dalla gestione, da parte di Angela Merkel, dell'emergenza migratoria che il partito Alternative für Deutschland (AfD) ha basato il suo successo elettorale. Che CDU, CSU, Verdi e FDP avrebbero avuto difficoltà a mettersi d’accordo era prevedibile, ma non al punto di far fallire le negoziazioni.

Per la prima volta dal 1949 uno scenario nuovo e pieno di incertezze incombe sulla Germania. Ciò la rende paragonabile all’Italia dove le crisi politiche sono all’ordine del giorno. Come accade in Italia, la delicata fase comporterà un forte coinvolgimento del presidente della repubblica. Rispetto al suo omologo italiano, il presidente tedesco ha però poteri meno ampi. Non può ad esempio conferire a un tecnico, e cioè a una persona esterna al parlamento, l’incarico di formare il governo (ricordiamo che nel 2011 a seguito della crisi del governo Berlusconi Giorgio Napolitano diede l’incarico a Mario Monti, economista, professore universitario nonché ex commissario europeo).
Fin qui, in estrema sintesi, i fatti. Ai quali aggiungiamo alcuni commenti e considerazioni.

Una prima considerazione riguarda la storia.
Nel 1933 l’avvento al potere di Adolf Hitler segnò la fine della Repubblica di Weimar ovvero di un periodo, iniziato con la fine della prima guerra mondiale, in cui nonostante le difficoltà economiche la società tedesca aveva conosciuto una fase di relativa crescita accompagnata dal tentativo di attuare una democrazia liberale. Fu proprio questa democrazia che consentì l’ascesa del nazionalsocialismo. Pur essendo molto lontana e diversa, nel tempo e nei fatti, dalla Repubblica di Weimar la situazione attuale trova nel successo del partito di estrema destra AfD un elemento di analogia inquietante, almeno sul piano culturale. La litigiosa gestione della crisi migratoria ha alimentato il consenso verso AfD mettendo a rischio la stabilità politica e la stessa sopravvivenza dei partiti tradizionali tedeschi. A dimostrazione di ciò si pensi a cosa è successo nella politica della vicina e ricca Austria. E’ dunque lecito chiedersi se il perdurare dell’attuale fase di instabilità potrà portare ulteriori consensi alla retorica populista di AfD. 

Una seconda considerazione riguarda l’Europa.
La fase di stallo della politica tedesca è conseguenza della indeterminazione, se non della latitanza, della politica europea. Migrazione, ambiente, clima, energia (ma anche esteri, sicurezza, difesa e perfino fisco) sono temi che richiederebbero un approccio globale per la ricerca di soluzioni comuni e condivise a livello continentale. In assenza di una politica europea che detti regole e stabilisca obiettivi condivisi, l’onere di colmare il vuoto è ricaduto sulle singole nazioni. Questo è successo anche per la Germania che oggi paga il prezzo della incapacità dell’Europa di adottare una politica comune rispetto ai grandi problemi che attanagliano il mondo nel 21o secolo. Per contro l’incapacità della Germania di dotarsi, nell’affrontare i suddetti temi, di una politica condivisa a livello nazionale, si ripercuote inevitabilmente sull’Europa indebolendola ulteriormente.

La terza e ultima considerazione riguarda le persone, uomini e donne, che hanno scelto e scelgono di fare della politica il proprio mestiere.
Ciò che sta mancando alla Germania in queste ore è il coraggio di cogliere la sfida che l’attuale momento storico le pone davanti: quella di farsi promotrice se non della rinascita almeno della difesa (ma dovremmo dire della salvezza) della idea europea. Se, in un improbabile rigurgito di orgoglio, questo coraggio emergesse, non basterebbe a risolvere i problemi. Esso dovrebbe essere accompagnato da altre virtù e capacità, in primis da una visione strategica e progressista della società e della convivenza delle nazioni. Tutto ciò oggi manca, in Germania come nel resto d’Europa e del mondo, semplicemente perché la società non riesce a produrre politici all’altezza delle sfide attuali. Consapevoli della loro incapacità, quelli che ci sono non sanno fare altro che litigare tra di loro e perfino fomentare guerre.

 

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