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- Categoria: Cultura
- Pubblicato Mercoledì, 18 Giugno 2014 17:04
“Nati d’inverno”… pagalo solo se ti è piaciuto!
Intervista allo scrittore emergente Giancarlo Gasponi
Se c'è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare,
se esiste qualcosa di santo, di puro, di sublime,
qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio dell'infinito
e del vago che chiamano anima, questa è l'arte.
Gustave Flaubert
Cristina Picciolini
Milano, 16 luglio 2014.
Giancarlo Gasponi è pittore, fotografo eccellente e, dal 1986, editore di pubblicazioni di carattere turistico che consentono alle sue fotografie di trovare uno sbocco commerciale. Da ultimo, con l’uscita del libro “Nati d’Inverno”, è anche scrittore. Il suo romanzo riscuote successo in breve tempo ottenendo su Facebook il più alto numero di apprezzamenti (oltre 73.000 “mi piace”) tra i libri pubblicati nell’ultimo decennio. Nonostante il suo strepitoso successo, però, non è riuscito ad arrivare sul banco delle librerie! C’è un’iniziativa illuminante che accompagna la sua pagina: “Pagalo solo se ti è piaciuto”.
Ci vuoi raccontare com’è nata l’idea di promuovere il libro con questa iniziativa, se vogliamo, un po’ rischiosa?
Ero consapevole, grazie al successo su Facebook, che il romanzo aveva incontrato l’apprezzamento di un certo pubblico, a giudicare dai commenti dei lettori e dalle recensioni sui blog. Tuttavia mi accorsi che la rete non riusciva a dare visibilità a un autore sconosciuto. Il canale tradizionale, quello che alimenta le classiche librerie, rimane di fatto l’unica possibilità di arrivare al grande pubblico. Prima di pubblicare il libro tramite la mia modesta casa editrice, infatti, avevo contattato oltre cento editori senza però avere risposta.
La percezione di questo muro invalicabile e al contempo il desiderio di arrivare ai miei lettori potenziali, mi fece venire in mente l’iniziativa “Leggilo e pagalo solo se ti piace”. Un’iniziativa tanto nuova quanto rischiosa, ma volevo assolutamente arrivare ai miei lettori. Immaginavo tanta gente, sparsa un po’ ovunque nello stivale, che forse avrebbe apprezzato la mia opera e volevo che questa le arrivasse. E ora gli sta arrivando. Ho già spedito oltre mille copie e i primi soldi stanno arrivando. Non rappresentano solo un pagamento ma, visto come funziona l’offerta, anche un gratificante apprezzamento.
“Pagalo solo se ti è piaciuto” vuole essere anche una protesta?
Certamente. Una di quelle proteste veementi che non servono a niente. In verità siamo tutti stretti da un circolo vizioso. I distributori sono anch’essi dei commercianti e anche loro devono far quadrare il bilancio. È ovvio che cerchino il libro con più garanzie d’essere venduto, e questo libro non è certo quello di uno scrittore emergente. Sarà il libro dello scrittore già famoso, quello d’una saga fortunata, quello d’un noto personaggio televisivo, d’un politico, d’una persona già conosciuta insomma, non importa perché. C’è poi la falange dei raccomandati, che hanno diritto ad entrare nell’olimpo dei visibili per grazia ricevuta. Così, se la gente non può acquistare se non quello che trova in libreria e che altri hanno scelto per loro, anche la grande macchina dell’editoria deve indovinare i gusti del pubblico per incrementare il venduto. Ci si insegue l’un l’altro in questo cerchio sempre più asfittico che impedisce ogni vero rinnovamento.
Ma se vuole essere una protesta contro l’arroganza della grande distribuzione perché allo stesso tempo cerchi una maggiore notorietà proprio per essere accettato da questa?
La domanda sottintende una contraddizione che di fatto non c’è. Qualche esempio chiarirà quel che intendo. Tutti lamentano come funzionino male i treni in Italia: ritardi snervanti, vagoni sporchi, prezzi salati, eppure tutti continuano a prendere il treno. È ovvio: non se ne può fare a meno. Lo stesso accade in tanti altri settori: basti pensare alla proverbiale lentezza delle Poste Italiane, alla Sanità disastrata, ma anche degli ospedali non se ne può fare a meno. Beh, l’editoria tradizionale non fa eccezione. Gli si rimprovera di seguire scopi prettamente commerciali ignorando la meritocrazia. Ma v’è altra via per arrivare al grande pubblico?
Quale è stata e quale continua ad essere la reazione dei lettori, pagano sul serio?
Alcuni pagano appena gli arriva il libro mentre altri prendono l’offerta alla lettera e prima di tutto leggono il romanzo. Solo che alcuni leggono molto lentamente e quindi pagano dopo un mese o più. Credo che ci vorrà parecchio tempo per tirare le somme, forse un anno.
“Nati d’Inverno” è un romanzo molto impegnativo, tocchi tematiche psicologiche e anche religiose. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
Sono sempre stato un gran curioso nei confronti della vita. Sin da bambino osservavo, investigavo su ogni cosa, affascinato da quanto mi circondava. Non a caso a scuola amavo molto la Fisica e la Chimica.
Con l’adolescenza, i primi amori non corrisposti, la morte di qualche persona cara, conobbi l’esperienza del dolore. Ora bisognava trovare un senso, una ragione, non solo ai misteri dell’universo fisico ma anche a quel dolore che mi appariva irrazionale, arbitrario, oltre che incredibilmente odioso. Scoprii presto d’aver toccato un tema che affondava le sue radici nella notte dei tempi. Il problema s’era fatto morale, etico, religioso. Dio v’era trascinato dentro, processato, assolto e condannato in continuazione a seconda dell’epoca, della cultura, delle convenienze del momento.
A un certo punto della mia vita mi parve d’avere in testa una grande confusione e “Nati d’Inverno” nacque appositamente per mettere la mia passione per la scrittura al servizio della ragione. Insomma: dovevo mettere un po’ d’ordine nella mia testa.
Il romanzo è un’opera corale dove ognuno dice la sua perché le opinioni sono molte e ho inteso dare voce ad ognuna. Ho cercato di ordinare il tutto copiando proprio dal disordine stesso della vita, e credo che proprio questo conferisca maggiore credibilità a personaggi ed eventi.
Quale è quella cosa che desideravi di più descrivere in “Nati d’Inverno”?
Il faticoso viaggio dal buio dell’ignoranza alla luce gioiosa della verità.
Questo libro è stato più una sfida oppure un desiderio espressivo che spingeva da dentro?
“Nati d’Inverno” è il tentativo di scovare un antidoto al veleno dell’utopia.
Quale è quel personaggio del tuo romanzo dal quale ancora oggi non riesci a staccarti e anzi continua ad ispirarti?
Francesco e Leonardo sono due parti di me stesso che dialogano da sempre.
“Nati d’inverno” è un viaggio interiore ma c’è anche una Roma che affiora nel suo splendore architettonico, descritta da uno che ce l’ha decisamente nel sangue. Quale è quella cosa che ti fa sentire ancora oggi, fortemente romano?
Non ho scelto la mia città perché questo mi avrebbe facilitato nell’ambientazione della storia. Se fossi nato altrove avrei scelto comunque la Città Eterna. Avevo bisogno di inserire le vicende in una cornice temporale che proiettasse gli eventi in una dimensione profonda nel tempo, trasformandoli in una sorta di paradigmi.
Come nasce il titolo “Nati d’Inverno”?
Va detto che per la religione di cui parla il personaggio di Leonardo mi sono fortemente ispirato alla Fede Baha’ì, una nuova religione monoteista sorta in Persia nell’Ottocento. In verità quasi tutto ciò che esce dalla bocca di Leonardo si rifà ai principi baha’ì, una religione moderna che porta risposte per l’uomo d’oggi, un essere potentissimo e al contempo a rischio d’estinzione visto che si sta avvicinando a gran passi verso la manipolazione del DNA e una padronanza definitiva dell’atomo. Nella visione baha’ì ogni religione ha un proprio ciclo spirituale, paragonato metaforicamente a quello delle stagioni. Ovviamente, se l’apparizione del fondatore della nuova religione coincide con una primavera per lo spirito umano, l’inverno rappresenta il momento in cui quello spirito è andato perduto e della religione non restano che vuoti rituali e vecchie tradizioni. È il momento in cui il materialismo dilaga e la mancanza di valori morali corrode il tessuto sociale con le ben note conseguenze che tutti conosciamo.