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I discount della lingua

La ricerca di una scuola di lingua straniera adatta anche attraverso il web a noi rivela spesso una deludente realtà

Raffaele Gatta

Monaco, 9 luglio 2014
In questi tempi di crisi, di spostamenti (per non parlare di una vera e propria emigrazione) la conoscenza della lingua o di più lingue diviene sempre un fatto più pragmatico che culturale. La necessità spinge persone provenienti da diversi luoghi a studiare lingue che mai si sarebbero sognate. Molto spesso, in questo coacervo di disperazione/necessità, ci si ritrova di fronte ad un PC alla ricerca di una scuola, di un corso dove studiare e affrontare il futuro. Tutti senza distinzione di luogo davanti a questa rete che è internet e che ha negli anni velocizzato e reso semplificata la ricerca e la conoscenza del distante, del diverso, del luogo del quale, fino a pochi anni fa, non ci si poteva fare un’idea senza prima averlo respirato. Come per incanto case di ragazzi, di giovanissimi e meno giovani, distanti chilometri tra di loro si ritrovano vicine, da Lisbona a Roma, da Cuba alla Corea del Sud, vicine nell’atmosfera di dubbi, volontà, nel desiderio di cambiare vita e cercare un posto dove andare per studiare ed apprendere quella cultura. Si possono immaginare queste stanze cosi lontane, ma identiche nelle luci bluette dei monitor, accarezzare volti e pensieri.

Il vero problema sta nel fatto che molto spesso la realtà è assai diversa e che quelle ricerche fatte in rete sono sostanzialmente diverse nel concreto. Le scuole che si fregiano di nomi altisonanti come “akademie, university” altro non sono che camerette dall’aria asfittica e dagli intonaci pallidi, dove la lingua viene affrontata non come studio culturale di un paese ma come moneta di scambio, dove il wie geht’s dir? (come stai? ndr) sembra risolvere ogni problema di diversità. Scuole che buttano via lingue di poeti e filosofi nel giro di poche settimane, quasi come schemi grafici da imparare a memoria. Discount della lingua, in cui dieci sconosciuti provenienti da diversi parti del mondo, si ritrovano seduti intorno a un tavolo di legno senza potersi parlare, ma riconoscendosi quasi nello specchio di ognuno di quei volti.

Questi sfruttamenti puramente commerciali da parte di queste scuole non sono altro che la sovrastruttura di una fase culturale recente ma oramai consolidata, dove la globalizzazione ha reso piatto ogni particolarismo e dove tutto si è velocizzato senza alcun controllo da parti degli Stati o delle Istituzioni. Scuole che si fregiano di titoli come accademie o università se ne trovano oramai in tutti i paesi e non solo per quanto concerne lo studio della lingua. Tali mercificazioni - in altro modo non possono chiamarsi - della cultura e anche della lingua di un Paese creano un effetto di sfruttamento economico e di disagio per la singola persona. Può sembrare un piccolo problema questo, in confronto ad altri che avvengono ogni giorno e di maggiore ridondanza mediatica, ma quando nessuno dice niente, quando nessuno nota che quei ragazzi partiti da un villaggio coreano o cubano vengono derisi nella loro scelta, allora ci si domanda se questa libertà, libertà di scambio, di culture, sia veramente civile o se tutto sia divenuto merce. Anche una lingua. 

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