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“Non mi faccio condurre, conduco”
(motto di San Paolo del Brasile)

Intervista all’artista italo-brasiliana Iara Simonetti

Seit 1988 lebt Iara Simonetti in München, wo sie schon seit einigen Jahren eine neue Kunstform für sich gefunden hat: Eine Mischung aus Bildhauerei und Malerei, die sie bis heute immer weiter entwickelt.

 

M. Cristina Picciolini

Quando mi apre Iara Simonetti, nel suo atelier am Glockenbach numero 13, la riconosco subito dal suo caldo sorriso e dalla sua aria modesta, quella che mi aveva già presentato alla Galerie Goethe 53, qualche anno prima.
Entro, e mi accomodo in questa officina-studio, piccola, e con mia sorpresa, severamente ordinata. Non ci sono quadri appesi, non si trovano pennelli sporchi o tavolozze accese di colori, come solitamente si trova negli studi degli artisti, ma c’è la solida presenza di due tavoli, una tenda che sembra offrire riservatezza all’opera compiuta e qualche schizzo a carboncino, preparato per la realizzazione dei suoi personaggi, ancora senza identità. L’armonia e l’essenziale sembrano dominare e lasciarsi respirare, creando un vero filo conduttore tra l’artista e la sua espressione artistica.

Iara Simonetti, nasce il 27 dicembre del 1958. Da padre brasiliano e mamma italiana, in una città ricca di colori, di emozioni, di forze naturali e di un clima caldo-umido, assai generoso, rispetto al nostro qui in Germania, Iara cresce e si forma artisticamente. “Sampa” è il soprannome che ha acquistato dai suoi cittadini, ma la città è conosciuta da tutti noi come San Paolo del Brasile, la metropoli dai fitti grattaceli ed enormi strade, con un’alta percentuale di abitanti di origine italiana, emigrati dalla fine del 1800. La mamma di Iara emigrò in Brasile nel 1936 a soli sette anni insieme ai suoi genitori e ai suoi dieci fratelli, con un biglietto di sola andata, accompagnata da questo stornello…

Italia bella mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare

sennò ne vanno tutti in Brasile e non si ricordan piú di ritornare…

Ancora qua ci sarebbe da lavorar senza andare in America a emigrar….



INTERVenti (IV): Ciao Iara, mi fa piacere essere oggi qui con te e presentarti ai nostri lettori.

Cosa vuol dire per te emigrare oggi, o vent’anni fa, quando tu e tuo marito avete deciso di trasferirvi qui a Monaco?

Iara Simonetti (IS): L’emigrazione di oggi o comunque quella di vent’anni fa è diversa, come lo è stata ancora di più quella dei miei nonni, quando partire significava, diventare per necessità, cittadini brasiliani, dove il tempo e le difficoltà ti facevano dimenticare e ti toglievano ogni speranza di ritornare in patria, dove anche la tua lingua, sembrava non appartenerti più. Invece per me e mio marito e stato senz’altro diverso, è successo nel 1987, non è stata una costrizione , ma venire in Germania è stata una scelta, senza viverla necessariamente come la nostra nuova patria. Certo che rispetto ad oggi anche “solo” vent’anni fa le cose erano diverse, le vie di comunicazione ad esempio, come il telefono o i voli aerei erano molto più lenti e costosi, per non dire della posta, quando per ricevere una lettera dovevi aspettare almeno due settimane.


INTERVenti: Ma iniziamo il nostro viaggio da te come artista. Quando hai scoperto la tua vocazione ?

IS: Ero piccola e la mia curiosità e il mio occhio già fotografico percepivano con attenzione le cose che mi circondavano. Scelsi di proseguire gli studi frequentando l’Accademia di Belle Arti, di San Paolo. Volevo studiare il passato e rielaborarlo nel presente, avevo capito che lo studio del disegno era fondamentale per poter poi affrontare il colore. Ed è, con l’artista plastico Jùlio Plaza che sono cresciuta e ho approfondito le mie esperienze.


IV: Esiste nella tua pittura un filo conduttore, un denominatore comune, che è la figura umana come simbolo esistenziale e sociale. I tuoi “personaggi”cioè le tue opere sculto-pittoriche, sembrano già progettate in anticipo, ci vuoi raccontare come nascono?

IS: Il mio è un percorso a ciclo, cioè la figura o il personaggio da me ideato viene innanzitutto disegnato su carta, poi riportato su legno di compensato e tagliato, sagomando la figura. L’ultimo incontro e gli effetti decisivi le lascio alla pittura.


IV: A colpo d’occhio se si guarda i tuoi personaggi ci si chiede chi sono, da dove vengono ? Poi se le osserviamo attentamente, la riflessione si ferma sul movimento dei corpi e sulla scelta cromatica, avvertendo una sottile riproduzione di svariati moti d’animo. Di quanta ispirazione sono per te, le persone che incontri nel tuo cammino?

IS: Il mio è un “viaggio nell’anima” dell’uomo. Non cerco il confronto nei volti delle persone ma preferisco studiarne i loro caratteri e i loro sentimenti. Nella rappresentazione di un corpo unico o spezzato, di un particolare o di un insieme, il linguaggio che voglio esprimere, rimane legato alle loro emozioni. Tra di loro ci sono personaggi esistenti, sempre molto vari e diversi tra di loro. Non necessariamente circondano la mia vita, ci sono amici ma anche sconosciuti, ci sono anime perse, e anime innamorate, incontrate per caso su una spiaggia o dentro un ascensore, ma comunque libere, sospesi in un tempo e in un luogo imprecisati.


IV: Frequenti altri generi artistici?

IS: Sì, da diverso tempo mi sono avvicinata alla fotografia. La elaboro al computer dove, avendo la possibilità di provare, senza bisogno di rischiare, il lavoro diventa più intuitivo che razionale. Al computer (l’ultimo generatore d’illusioni) provo a rompere le regole della profondità naturale della fotografia cercando di mettere in evidenza “l’uomo”.


IV: Insomma nel tuo percorso artistico tu rimani sempre legata al figurativo e soprattutto ai tuoi “Personaggi” anche in un epoca dove il linguaggio “installazioni” sembra voler sostituire la pittura tradizionalmente intesa. Cosa pensi dello stato dell’arte di oggi?

IS: Credo che lo stato dell’arte di oggi abbia semplicemente cambiato linguaggio. Il linguaggio delle “ installazioni” è un punto d’incontro di vari codici espressivi, dalla pittura alle tele, agli oggetti, alla poesia, sono scultorei, tridimensionali e liberati da ogni tipo di superficie e di tradizione. Ed io, invece, rimango con un occhio alla tradizione e con un occhio al presente, riflettendo sul futuro.


IV: C’è una domanda che prima o poi si fanno quasi tutti, molti hanno tentato di rispondere, ma se analizziamo le loro risposte ci accorgiamo subito che il concetto di arte, muta e varia con usi e costumi di ogni epoca. Che cos’è l’arte per te?
IS: L’arte per me è una lingua universale, produce immagini, risveglia fantasmi, inventa emozioni dentro un mondo fantastico, misterioso ed indefinibile. È quel qualcosa che ti disseta come l’acqua e ti sfama come il cibo, un po’ come l’amore, totale ed esclusivo. Può esprimere tutto, può ingoiare tutto, può rappresentare tutto.


IV: La pittura rappresenta, non argomenta, ma si argomenta per capirla, per interpretarla e per analizzarla. Come reagisce il pubblico di fronte al tuo messaggio?

IS Molti artisti dicono di vedere le cose in modo diverso mentre disegnano o dipingono, è come se l’essere concentrati su un opera alteri la coscienza, e così è il pubblico quando osserva, ognuno di loro percepisce e reagisce in maniera diversa… qualche volta, alla ricerca disperata della loro anima !

Grazie Iara.

Uscendo dal suo studio rimango con il pensiero all’ ultimo “personaggio” da lei creato, senza nome, senza volto, ma con un gesto a me famigliare, che mi accompagna nel viaggio di ritorno.

“L’uomo incrocia le braccia dietro la schiena, reggendosi la mano in un movimento di leggera rassegnazione, forse stanco del tempo lo ascolta, mentre il suo sguardo all’infinito cerca le risposte alla vita, a volte serena , a volte ingrata. Il suo colore caldo, rosso-arancio, porta speranza, ci rafforza e ci aiuta ad andare avanti, nonostante il futuro dell’arte o della vita noi non lo possiamo percepire, perché, umanamente non ci è concesso di conoscere il futuro.”

(2007-1 pg 12)

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