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Due personaggi in cerca d'attore

Lettera al redattore di INTERVenti sulla 66a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

Anfang September sind Venezia und ihr Palazzo del Cinema das Ziel Scharen von Kinoliebhaber aus der ganzen Welt. Und dies hat mittlerweile Tradition: die Mostra dell'Arte Cinematografica auf dem Lido hat heuer ihren 66. Geburtstag gefeiert. Dabei, wie immer, alte und neue Meister, Leinwände und Leibwächter, Gossip und Spritzes, Journalisten und Jury-Mitglieder, Stars und Starlets. Aber nicht nur: Dieses Mal auch vier ganz aussergewöhnlichen Augen, die das ganze für INTERVenti beobachtet haben.

Pamela Lanciotti e Daniele Verri

Caro Gianni,

 

Ti scriviamo mentre atttendiamo alla stazione di Venezia l’Eurocity numero 86 diretto a Monaco di Baviera. Sono giunti per noi i titoli di coda di questa indimenticabile esperienza. Il nostro viaggio onirico è giunto al termine. Essere presenti alla 66° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia si è rivelato un magnifico sogno.

 

Il Festival che si svolge annualmente nella Città lagunare (solitamente tra la fine del mese di Agosto e l’inizio di Settembre) nello storico Palazzo del Cinema, sul Lungomare Marconi, è il più antico del mondo. Pensa che la prima edizione risale al 1932.

 

Partiamo dal principio. Approdati al Lido in tarda serata e armati di accredito Media press, rigorosamente di colore giallo, anche se, a detta di molti, abbastanza “sfigato” come pass (ce ne sono di diversi colori, i più agevolati sono quelli in rosso della Daily press, che hanno accesso a ogni porta del Palazzo), iniziamo a studiare l’ambiente e proviamo a chiedere indicazioni. Al punto informazioni ci dicono di rivolgerci ad un altro punto informazioni. Basta un piccolo sguardo tra di noi per capire quanto l’Italia, da questo profilo, sia molto distante dalla Germania. Non ci perdiamo d’animo e ci mettiamo in fila per il primo film.


Det Enda Rationella (A Rational Solution) per la sezione settimana della critica. La tragicommedia di Jörgen Bergmark narra la storia di un membro della chiesa che si innamora della moglie del suo migliore amico e arriva ad una soluzione razionale: andare a vivere tutti sotto lo stesso tetto. Assolutamente da vedere e da consigliare agli amici. L’autore riesce con ironia sottile a presentarci un quadro psicologico perfetto dei personaggi.

Altri film svedesi particolarmente apprezzati e presenti al festival sono stati Metropia di Tarik Saleh, The Ape di Jesper Ganslandt, Videocracy di Erik Gandini. È quasi mezzanotte; come Cenerentola per noi è giunto il momento di tornare all’ostello S. Fosca, un piccolo studentato economico, spartano ma grazioso che osserva degli orari di apertura e chiusura. Grazie a comode e funzionali linee autobus predisposte per la Mostra, torniamo alla fermata Santa Elisabetta dove attendiamo la linea notturna.

Una volta saliti a bordo, tra la folla, non bisogna essere particolarmente attenti per riconoscere i veneziani, indispettiti, quasi sconfortati dalla valanga di giornalisti, fotografi, opinionisti, cineasti, fan in cerca di autografi che prendono d’assalto i traghetti in questi giorni. Alcuni, soprattutto le signore dai lineamenti dolci e segnati dal tempo, ti guardano con aria materna e curiosa, provano a darti i loro consigli su come muoversi in città. In realtà, cercando notizie sul sito internet, ci si aspettava linee dirette, che avrebbero potuto far risparmiare molto tempo.


“È vero. I traghetti diretti al Lido ci sono” ci spiega il giorno seguente, un simpatico gondoliere mentre aiuta una romantica coppia svedese a salire a bordo del suo gioiello, “ma partono dalla stazione solo nel pomeriggio.” Come potevano i due “celebri” reporter di INTERVenti perdersi anche solo una mattinata del Festival?

Ci si sveglia dunque all’alba, si prende il traghetto e si cerca di arrivare puntualmente all’inizio del film. Ci si chiede anche come mai bisogna essere in coda alle otto di mattina per cercare di entrare a vedere quella proiezione, che quasi sicuramente uscirà anche in tutte le sale cinematografiche (la maggior parte di pellicole è di stampo americano). Ovviamente a quell’ora, ancora confusi dal sonno, gli zombie di George Omero sono meno cattivi di quanto possano sembrare... Con il film in concorso in questione (Survival of the Dead) il regista torna per la sesta volta sul tema dei morti viventi (dopo La notte, L’Alba, Il Giorno, La Terra e Il Diario). La nuova pellicola è ambientata in una piccola isola al largo delle coste del Nord America dove i morti iniziano a rianimarsi seminando il panico fra i vivi. Solo il soldato Crocket (Alan Van Sprang) è in grado di uccidere le inquietanti creature; viene però bandito poiché giudicato colpevole dalla popolazione di “omicidio” di vicini e amici. L’uomo si imbatte in un gruppetto di sopravvissuti e con esso cerca di tornare sull’isola, ma con grande orrore i membri della spedizione scoprono che la popolazione, diventata morbosa e perversa, convive con i cari mostri incatenandoli in casa, fingendo una vita normale. Nel film si riesce a leggere la metafora che esista una normalità nascosta sotto un macabro sudario.


Terminata la proiezione, con lo stomaco chiuso, continuiamo a girare per la Mostra. Ci si sposta dalla Sala Darsena alla nuovissima Sala Perla 2, la tensostruttura antistante il Casinò con i suoi 450 posti, allestita per dare nuovo spazio alle tante pellicole. Sette sono le sale cinematografiche (Palabiennale, Sala Pasinetti, Sala Volpi, Sala Darsena, Sala Grande, Sala Perla, Sala Perla 2), 5.300 i posti.

Sembra un’impresa assurda riuscire a vedere sei o sette film al giorno. In realtà l’atmosfera è talmente entusiasmante e coinvolgente che perdersi anche solo un film del programma diventa un vero peccato; è praticamente il paradiso, per un appassionato di cinema! A fine giornata gli occhi sono ovviamente stanchi. Nessun problema per i film inglesi e tedeschi, ma senza l’aiuto di sottotitoli, riuscire a capire i film in lingua farsi, cingalese e svedese, solo per citarne alcuni, sarebbe alquanto difficile.

Decidiamo di dividerci: io scelgo di vedere Lebanon di Samuel Maoz, il film che vincerà il Leone D’oro consegnato da Ang Lee, Pamela se ne va alla conferenza stampa sul Grande Sogno, in cerca dell’attore Luca Argentero (si pentirà ovviamente di aver preso quella decisione).


La Palabiennale è stracolma di gente. Prendo posto, fila centrale, come piace a me. Inizia la proiezione. Siamo nel giugno del 1982, prima guerra del Libano. Un carro armato e un plotone di paracadutisti vengono inviati a perlustrare una cittadina ostile bombardata dall’aviazione israeliana, ma i militari perdono il controllo della missione che si trasforma in una trappola mortale. Quando scende la notte, i soldati feriti restano rinchiusi nel centro della città senza poter comunicare con il comando centrale e circondati dalle truppe d’assalto siriane che avanzano da ogni lato. I quattro carristi si perdono nel caos della guerra. Una storia vera di sopravvivenza di fronte a un tangibile pericolo di morte.


Nel frattempo Pamela, nella sala conferenze stampa, scambia opinioni sul film ‘il Grande Sogno’ e attende l’arrivo dei protagonisti. La pellicola ambientata in Italia nel 1968, racconta le vicende di Nicola, un giovane poliziotto pugliese che sogna di fare l’attore e si trova, invece, a dover fare l’infiltrato nel mondo studentesco in forte fermento. All’università incontra Laura, una ragazza della buona borghesia cattolica, brillante e appassionata studentessa che sogna un mondo senza ingiustizie e Libero, uno studente operaio leader del movimento studentesco che sogna la rivoluzione. Tra i tre nascono sentimenti e forti passioni.

Passano pochi minuti fino a quando arriva un comunicato stampa: Luca Argentero non è presente per via di un film che sta girando a Roma. Pamela vorrebbe mettersi ad urlare e piangere, ma si trattiene quando entra in sala Riccardo Scamarcio insieme a Michele Placido e Jasmine Trinca (vincitrice del Premio Mastroianni come miglior giovane attrice).


Il regista perde il controllo quando una giornalista spagnola gli chiede come mai un film “di sinistra” possa essere prodotto dalla Medusa, notoriamente del Premier Berlusconi, ma la conferenza si rivela alquanto deludente. Pamela prova l’approccio con Scamarcio, ma una folla di giornaliste, anche di una certa età, si fionda su di lui lasciando poco spazio alla nostra inviata.


Deludono a nostro parere i film italiani. Da Il grande sogno di Michele Placido ai Dieci inverni di Valerio Mieli. Fatta eccezione per La doppia ora di Giuseppe Capotondi. Un’affascinante Torino a fare da cornice ad un amore nato dall’incontro di due solitudini che si trasforma in una storia dai contorni gialli in cui nessuno è chi dice di essere. Brava Ksenia Rappoport che si aggiudica il premio Coppa Volpi come migliore attrice protagonista.


Passano i giorni. Capita sovente di avvicinarsi agli altri spettatori. Si cerca un commento, una critica, una notizia. E si sta in compagnia. Si vive il Festival che coinvolge, affascina, ma soprattutto emoziona. La cosa che più diverte è guardare le facce delle persone che escono dalle sale. In quel preciso istante si riesce a capire la magia di un film. Persino il giornalista più acido è perlopiù uno spettatore di pancia, uno di quelli che vuole viversi il momento, senza pensare troppo ai piani sequenza, alle musiche, agli effetti speciali. Vive il film talvolta immedesimandosi nel protagonista, talvolta facendo il tifo per lui, talvolta restando in silenzio ad ascoltare le voci degli interpreti.


Il festival quest’anno propone numerose pellicole di un nuovo cinema del mondo arabo, non soltanto dell’Egitto, anche da tutto il Maghreb: ne è un esempio il toccante film di Raja Amari (Dohawa- Buried secrets). Il film affronta in modo spietato i temi dell’emancipazione femminile, dell’adolescenza come forza rivoluzionaria, della fine dell’innocenza.

La Germania vince invece con Soul Kitchen il Premio Speciale della Giuria. Il film di Fatih Akin, regista tedesco di origine turca, è un’esilarante commedia basata sulla vita di un giovane proprietario di ristorante, Zinos, che non ha fortuna nella vita. La fidanzata, Nadine, si è trasferita a Shanghai; i clienti del suo locale, chiamato appunto Soul Kitchen, boicottano la cucina del nuovo cuoco e Zinos soffre anche di mal di schiena. Per il locale le cose iniziano a girare nel verso giusto quando l’innovativo stile culinario comincia a venire apprezzato da un pubblico alla moda. Zinos invece, in preda a sofferenze d’amore, decide di andare a trovare Nadine in Cina, lasciando il ristorante in mano all’inaffidabile fratello Illias, ex-detenuto. Entrambe le decisioni si rivelano però un disastro: Illias perde al gioco il ristorante che finisce in mano a un losco agente immobiliare e Nadine ha ora un altro compagno. Simpatico ed esilarante, il film sembra quasi raccontare come attraverso il piatto si possa vedere l’anima di una persona.


Ci spostiamo di sala ma restiamo sintonizzati sulla lingua tedesca con il documentario Villalobos di Romuald Karmakar. Il suo è un cinema che ha origine con l’hardcore punk americano dei primi Anni ’80. All’interno di questo contesto nascono i suoi primi “super 8”, fra cui Eine Freundschaft in Deutschland (1985), mockumentary sulla giovinezza di Adolf Hitler a Monaco. Nei successivi Coup de Boule (1987) e Warheads (1992) emerge già chiara la dura essenza del suo cinema, espressa attraverso la dominante parola delle immagini, estreme, senza interventi, senza distacco critico o giudizio morale.

Particolarmente complicata a nostro parere l’interpretazione di Pepperminta (sezione Orizzonti) di Rist Pipilotti. Dai contenuti singolari e molto colorati, la videoartista svizzera racconta la storia di un’anarchica dell’immaginazione, il cui unico scopo è aiutare la gente a sconfiggere il buio della paura attraverso il potere vitale dei colori.

Non delude il cinema documentaristico di South of the border, pellicola di Oliver Stone. Il suo è un cinema ossessionato dalle biografie, affascinato dalle forme e dal potere e dai personaggi che lo vivono nella dimensione dell’eccesso e che segnano il percorso della storia con le loro prepotenti visioni, buone o cattive che siano. Il documentario racconta il viaggio di Stone in Venezuela in visita al presidente Hugo Chavez. Il regista incontra anche Evo Morales (Bolivia), Lula da Silva (Brasile), Cristina Kirchner (Argentina) e il suo consorte ed ex presidente Nestor Kirchner, Fernando Lugo (Paraguay), Rafael Correa (Ecuador) e Raul Castro (Cuba).

Il festival racchiude davvero tutte le età. Il fine settimana è all’insegna dei piccoli spettatori e dei grandi maestri della Pixar, cult factory dell’animazione che da sola si è guadagnata più premi Oscar di qualunque star hollywoodiana. Grande protagonista al Lido è stato John Lasseter, fondatore e direttore creativo della casa cinematografica e della Walt Disney. Per lui l’onore di ricevere da George Lucas il prestigioso Leone D’oro alla carriera.


Una piccola nota sulla giuria, composta da nomi prestigiosi dell’arte cinematografica: Ang Lee, regista premio Oscar per I segreti di Brokeback Mountain; Sandrine Bonnaire, attrice francese; Liliana Cavani, regista e intellettuale di riferimento del cinema italiano; Joe Dante, regista innovatore anticonformista del cinema USA e maestro del genere fantastico; Anurag Kashyape, regista e sceneggiatore fra i massimi esponenti del cinema indiano; Luciano Ligabue, cantautore, scrittore e regista, personalità chiave della cultura pop di casa nostra e Sergej Bodrov, regista russo tra i più noti della scena internazionale, due volte nominato all’Oscar.

Inizio a cancellare i film sul programma, quelli che purtroppo non riusciremo mai a vedere per mancanza di tempo. Mi volto e non trovo Pamela, quando all’improvviso un urlo familiare attira la mia attenzione …


“Geooooorge!Geoooooorge!” Eccola! Vedo Pamela che prova in tutti i modi ad avvicinarsi al divo. Si era ripromessa di non fare mattate, di comportarsi da fan matura. “Ho ventisette anni Daniele” mi dice il primo giorno in Ostello “sono adulta oramai per correre dietro ai vip di Hollywood”. In preda all’isteria la vedo che si getta fra la folla di ragazzine impazzite, riuscendo però solo a strappare una foto da lontano al personaggio più chiacchierato del momento (naturalmente per la relazione che lo lega alla velina Elisabetta Canalis). Impossibile avvicinare l’attore (presunto gay) di The man who stare at goats diretto da Grant Heslov, bravo a gestire un cast d’eccezione composto appunto da Clooney, Ewan McGregor, Jeff Bridges e Kevin Spacey.


Piccola chicca! Durante la prima del film, la proiezione si interrompe. L’imprevedibile attore decide di salire sul palco e prova ad intonare le note di “O sole mio”. Unica consolazione per gli spettatori, o meglio spettatrici: non è da tutti sedere al cinema con l’attore principale presente in sala.

Sul red carpet è la volta del maestro Werner Herzog, con il suo cast altrettanto prestigioso composto da Nicolas Cage, Eva Mendes, Val Kikmer, Micheal Shannon. Questa volta sono io che tento di avvicinarmi alla splendida Eva Mendes, cercando di non farmi vedere da Pamela. Ma la bellissima e sorridente attrice non mi degna di uno sguardo. “Troppo lontana, non mi ha visto” sussurro a Pamela che mi ha subito scoperto.


Bad Lieutenant: Porto of Call New Orleans è uno dei film in concorso. Nella New Orleans post-katrina Terence McDonagh (Nicolas Cage), ispettore della squadra omicidi del dipartimento di polizia, viene promosso tenente per aver salvato un detenuto dall’allagamento nelle ore immediatamente successive all’uragano. Nel soccorrere l’uomo il poliziotto si ferisce e, per lenire il dolore, diventa dipendente di un forte analgesico. Un anno dopo Terence lotta per incastrare Big Fate, uno spacciatore che ha massacrato un’intera famiglia di immigrati africani, e combatte al contempo con se stesso, per dominare la propria dipendenza dal sesso, dal Vicodin e dalla cocaina, che gli viene fornita, diventando così arma di ricatto, proprio da parte di Big Fate. Herzog, il regista visionario, continua a non deludere il pubblico. Il film è acclamatissimo in sala.


Sconsolati riprendiamo il nostro percorso. Entriamo in sala Perla dove sta per iniziare De Laatste dagen vam Emma Blank (The last days of Emma Blank) di Alex van Warmerdam. Il regista racconta la storia di una bizzarra famiglia olandese, legata più dai soldi che dal sangue. E ci riesce perfettamente! L’opera mescola con equilibrio e sapienza i generi della commedia, del dramma “da camera”, dell’horror e del noir, intrecciandoli in una parabola sull’avidità e sul cinismo che strappa molte risate. Il film, girato in 44 giorni e con un budget di 2,7 milioni di euro, è ambientato vicino Rotterdam, in una tranquilla ed idilliaca zona sul mare. ”Ho scelto un posto così isolato perché volevo escludere tutto ciò che non era necessario, che avrebbe potuto disturbare la storia”, racconta il regista presente in sala. Ciò che più colpisce è l’ecletticità di Alex van Warmerdam, oltre che regista anche attore e compositore delle musiche del film.


Mancano poche ore alla partenza. Decidiamo per l’ultima “passerella” sulla strada che dal palazzo del Cinema porta all’Excelsior. Ci fermiamo per una sosta mentre ci accorgiamo che Robert Stadlober, il protagonista di Zarte Parasiten (sezione Orizzonti) è davanti ai nostri occhi, mentre fa la fila (da buon tedesco) in una gelateria del Lido. Il suo film, diretto da Christian Becker e Oliver Schwabe, registi e sceneggiatori tedeschi che avevamo già seguito alla loro prima pellicola intitolata Egoshooter, racconta la storia d’amore di una coppia senza fissa dimora e posto di lavoro. Jakob (Robert Stadlober) e Manu (Maja Scöne) sono due “venditori di felicità” che cercano di soddisfare i desideri dei loro clienti, dando loro quello che gli serve. Quando Jakob viene ingaggiato da una coppia sposata per impersonare il ruolo del figlio defunto, questo originale stile di vita incomincia a mostrare preoccupanti segni di cedimento.


Lo riconosciamo e gli chiediamo una foto. Robert ci sorride, quasi imbarazzato. Daniele prende in mano la sua macchinetta e spiega all’attore che la sua foto uscirà sul periodico italo-tedesco INTERVenti. Pamela si avvicina lentamente al divo “tenero parassita”: ciak! Sospiro di sollievo, un attore siamo finalmente riusciti a beccarlo!

Per ulteriori informazioni consultare il sito www.venezianews.it

(2009-4 pg 9)


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