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- Categoria: Cinema
- Pubblicato Venerdì, 08 Aprile 2011 15:04
L'Italia non finisce al Brennero
A colloquio con Alessandro Melazzini, regista di ‘Monaco-Italia: Storie di Arrivi in Germania’
"Wer sich mit einem Münchner unterhält, wird früher oder später bemerken, dass die Geographie trügen kann.Italien endet nämlich keineswegs am Brenner.
"München ist die nördlichste Stadt Italiens", wie die Bewohner der bayerischen Hauptstadt zu sagen pflegen.
Sicher ist das ihren vielen architektonischen Reminiszenzen geschuldet, aber auch ihren vielen Einwohnern italienischer Herkunft.
Denn während Deutschland seit einiger Zeit in Mode ist und Berlin die ‚trendigste' Hauptstadt des Kontinents, pflegte Bayern schon immer besondere Beziehungen mit unserem Land.
Einhunderttausend Landsleute leben hier, darunter zwanzigtausend allein in München.
"Monaco, Italia" wollte einige ihrer Schicksale erkunden und hat dabei Spuren der 'Italianità' sogar in Provinz-Städtchen mit ihren Spitzgiebeln und in Dörfern mitten in den verschneiten Wäldern Frankens gefunden." (www.monacoitalia.com)
Monaco, 2 aprile 2011.
‘Monaco, Italia: Storie di Arrivi in Germania’ è un documentario nuovo e autentico, il cui oggetto, per una volta, sono gli italiani integrati in Germania, lontani dalla madrepatria ma non soli ed emarginati come siamo forse abituati a crederli dall’Italia.
Il primo film del regista lombardo Alessandro Melazzini, 37 anni, da dodici residente in Germania, dei quali sei a Monaco, ci presenta ‘storie di oggi’, storie vere che tuttavia sono in pochi a conoscere, e si allontana volutamente dallo stereotipo dell’italiano infelice all’estero, costretto a lasciare la patria in cerca di fortuna con la sua valigia di cartone.
“Questo documentario non vuole essere di denuncia sociale, non vuole mostrare ‘casi umani’, ma casi di persone ‘arrivate’- ci racconta Melazzini parlandoci del suo progetto – “I casi umani se ci pensate non sono molto rappresentativi della realtà odierna degli italiani in Germania e quelli che esistono forse sarebbero casi disperati anche in Italia, dove non esiste nemmeno una vera struttura di sussidi statali.
Molti italiani ignorano che c’è una nuova generazione di loro compatrioti in Germania che è arrivata al binario 11 della stazione centrale di Monaco come negli anni Cinquanta o, più probabilmente, è atterrata in Baviera con l’aereo. Questi italiani in buona parte stanno bene all’estero, alcuni addirittura non hanno punto voglia di rientrare in Italia, un Paese che appare in balia di una situazione economica e politica alquanto deludenti”.
L’idea del film nasce nel dicembre del 2009 quando Melazzini è invitato a partecipare ad una conferenza organizzata da un'associazione tedesca di Siracusa. Come giornalista freelance, che ha collaborato in Italia con giornali quali "La Stampa", "Il Sole 24 ore" e in Germania con il "Süddeutsche Zeitung", Melazzini decide di tentare qualcosa di nuovo e di cimentarsi anche nella professione di regista.
Il primo importante incontro con il mondo televisivo risale agli anni 2007 quando lavora come autore per delle trasmissioni RAI, entrando in contatto con diversi professionisti del settore, tra cui il montatore romano Paolo Turla. Questi, figlio di ex emigranti in Libia, appoggia il progetto del film documentario fin dall’inizio, anche perché più o meno segretamente innamorato della città di Monaco.
Il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia rappresenta poi per Melazzini un ulteriore motivo che lo spinge a cimentarsi in questa nuova quanto laboriosa impresa. Il suo scopo è anche quello di ricordare agli italiani d'Italia che il Belpaese non finisce al Brennero e allo stesso tempo di far conoscere meglio ai tedeschi i loro concittadini italiani. "Ci tengo a sottolineare che ho prodotto questo film interamente di tasca mia, oltre ad averlo sceneggiato e diretto da autodidatta" - ci spiega Melazzini con un certo orgoglio - "Anche per questo motivo ho preferito restringere il campo alla Baviera, dove vivo, e che ha reso i miei spostamenti più facili.
Oltre al generoso aiuto di Paolo Turla ho potuto contare sulla preziosa collaborazione di Sebastiano Forte, che si è occupato delle musiche, di Giovanni Provenzale, tecnico del suono e di uno dei personaggi del film, l'astrofisico Claudio Cumani, il quale mi ha aiutato nelle riprese e fatto da assistente."
Gli otto personaggi che danno vita al documentario sono persone che Melazzini o Cumani conoscono personalmente e che hanno qualcosa di interessante ed insieme di autentico da raccontare: la loro vita in Germania appunto. Insieme i protagonisti del film creano un equilibrio perfetto tra la vecchia e la nuova generazione di italiani in Baviera - dalla famiglia Lando arrivata a Landshut negli anni Sessanta da Catania, all’astrofisico di Garching, che è partito per la Germania subito dopo aver conseguito la laurea, alla seconda generazione nata in loco, ormai perfettamente integrata, ma che non dimentica l’Italia. Oggi a Monaco vivono circa 21 mila italiani, molti dei quali si sono trasferiti in Germania alla ricerca di migliori condizioni di lavoro. Tutti loro hanno ancora un legame forte con la madrepatria, ma questa sembra essersi dimenticata della loro esistenza. Di sicuro la loro esperienza e le loro capacità intellettuali hanno arricchito la Germania e impoverito l’Italia.
Il mediometraggio di Melazzini è stato presentato in Italia, a Roma, lo scorso 28 gennaio, promosso dalla direttrice del Goethe Institut italiano, Susanne Höhn, che dopo aver visto il documentario ha proposto di fare una prima italiana presso il suo istituto. Il regista si dichiara contento della reazione del pubblico italiano (leggi l'articolo di Marco Armeni ndr), che pare aver apprezzato l'autenticità e l'originalità del suo film – un film che non è quello che ci si aspetta da un documentario, che fa riflettere, che fa vedere le cose da un punto di vista diverso e con il quale soprattutto ci si può identificare.
Le storie raccontate sono infatti rappresentative di persone che oggigiorno si spostano più facilmente in un mondo dalle frontiere sfumate. Alla prima a Roma l’Auditorium del Goethe era pieno, e in sala erano presenti anche l’ex console italiano di Monaco Chiodi-Cianfarani e l’onorevole Franco Narducci. Il 17 Aprile il film ha partecipato al Festival "Le Voci dell’Inchiesta" promosso dall’associazione Cinemazero di Pordenone. Per le altre proiezioni basta dare un’occhiata al sito del film www.monacoitalia.com.
In Germania è prevista una premiere a Monaco per l’otto luglio. "Penso che il pubblico di Monaco sarà il più entusiasta e il più critico allo stesso tempo", riflette Melazzini, il quale ha ottenuto la cittadinanza tedesca quattro anni fa. La sua società di produzione, la Alpenway Media Production GmbH, ha visto la luce nel 2010 e ha in programma una serie di documentari che guardano sia all’Italia che alla Germania. La "via delle Alpi" è appunto quella che il regista percorre regolarmente tra i due Paesi.
“Spesso mi capita di viaggiare in Italia, ma preferisco vivere in Germania. Monaco è la città che amo e dove ho deciso di stabilirmi – ci dice Melazzini – In Germania personalmente mi sono sempre sentito ben accetto e integrato, anche se naturalmente non si finisce mai di arrivare”.
"‘Monaco, Italia: Storie di Arrivi in Germania" - conclude il regista - "soprattutto è un documentario sui nostri connazionali emigrati, che spesso, sebbene con fatica, hanno raggiunto il successo all’estero. Naturalmente problemi di integrazione ci saranno sempre, in Germania come altrove. Un esempio attuale in Baviera è senz'altro il sistema scolastico conservatore che penalizza l’integrazione dei bambini nati da genitori emigrati, specialmente da italiani. Non va tuttavia nascosto che questo stato di cose è in parte anche colpa di quei genitori italiani che non riflettono sulla profonda differenza tra il modello italiano e quello tedesco. E questo perché una semplice integrazione passiva non è mai sufficiente, come ci fa notare Laura, uno dei personaggi del documentario, citando una frase di George Bernhard Shaw: "Siamo noi a doverci creare le condizioni della nostra propria esistenza".
Ogni emigrato ha innanzi tutto il compito di capire che, volente o nolente, si trova a vivere in un contesto diverso da quello in cui è cresciuto. Acquisire consapevolezza su questo stato di cose è la condizione primaria per accettare se stessi e capire gli altri".