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Categoria: Cinema
Pubblicato Giovedì, 17 Marzo 2011 10:58

Binario 11 - Stazione Termini

All'anteprima italiana del film di Alessandro Melazzini, le impressioni di un "emigrante di ritorno"

Dabei bei der italienischen Voraufführung von Alessandro Melazzinis Film: die Eindrücke eines „Emigranten“, der zurück kehrt.

Marco Armeni

Roma, 16 marzo 2011.
In una tiepida serata invernale, sotto una pioggerellina impercettibile, ci siamo trovati in numerosi nella capiente aula magna del Goethe-Institut di Roma, per l’anteprima del mediometraggio di Alessandro Melazzini “Monaco, Italia – Storie di arrivi in Germania”.
Sarà stata la nostalgia per la città (come nel mio caso), sarà stata la sempre verde tematica dell’emigrazione, o sarà anche stata l’efficace proposta culturale che il Goethe-Institut è in grado di offrire a coloro che lo frequentano, fatto sta che, alla presenza del regista e dell’”attore” Claudio Cumani, abbiamo assistito alla piacevole proiezione e, successivamente, ad un lungo e animato dibattito.

Le storie raccontate non parlano, giustamente e finalmente, solo della “leggendaria” ondata migratoria degli anni Sessanta e Settanta, ma anche di chi, con un qualificante titolo di studio, è partito, magari solo per fare un’esperienza di un anno, e poi ci è rimasto tutta la vita.
E, ancora, attraverso le parole di chi, ristoratrice o militare o studente, ha cercato di farsi largo e di farsi rispettare,
salvaguardando la propria identità, ma senza autorecludersi nel ghetto di chi non si vuole confondere con la realtà che lo circonda.

Molto interessanti sono stati anche gli argomenti che sono stati toccati, nei limiti di tempo che si aveva a disposizione, a proiezione conclusa, con la moderazione dei giornalisti Milvia Spadi e Roman Arens.
In particolare, come ha giustamente sottolineato Claudio Cumani, la Germania, e la Baviera nel caso di specie, ha ancora un lungo cammino da percorrere per garantire una piena integrazione delle etnie o, più semplicemente, degli stranieri nel tessuto delle attività produttive; e anzi alcuni segnali di disimpegno, soprattutto nel campo scolastico, fanno temere che, in tempi di crisi come quelli attuali, queste politiche di integrazione possano rappresentare un costo non più totalmente sostenibile.

Ma, essendo un nervo scoperto, il tema dei flussi migratori, e di come il nostro Paese oggi, e la Germania ieri, hanno ritenuto opportuno affrontarlo, ha registrato la diatriba tra chi, ancora una volta, ha voluto vedere una differenza sostanziale tra emigranti “buoni” (noi italiani che siamo andati in Germania) ed emigranti “cattivi” (magrebini, cingalesi, rumeni che verrebbero in Italia solo, o quasi, per vivere di espedienti) e chi, invece, senza idealizzare il senso di “ospitalità” (sia detto in senso ironico) dei nostri amici tedeschi, ha rammentato che quei flussi migratori “servivano” per fornire manodopera ad una Nazione in tumultuosa crescita dopo le rovine della II guerra mondiale; ed allora, ben lungi dall’individuare intenti filantropici, la Germania ha semplicemente cercato di razionalizzare l’arrivo di forza lavoro di cui aveva bisogno, partendo però dal soddisfacimento dei bisogni primari (casa e cibo in primis) di quelle masse che arrivavano al binario 11 dell’Hauptbahnhof (la stazione centrale ndr) di Monaco, con la famosa valigia di cartone, a volte dai più remoti paesini della Sicilia.
E senza idealizzare o contrapporre l’immagine del tedesco di 40 anni fa “buono ed ospitale” (su cui sicuramente tanti nostri connazionali partiti allora avrebbero a che ridire...) a quella degli italiani (una volta “brava gente”,  oggi “egoisti e senza scrupoli”), è stato molto applaudito l’intervento di uno spettatore che, a fine dibattito, ha voluto citare, a paradigma di come l’Italia, e Roma in particolare, accoglie gli stranieri indigenti, il vergognoso caso del binario 15 della stazione Ostiense (un’altra stazione ferroviaria...), dove da dieci anni (!) dormono all’aperto profughi provenienti principalmente da paesi belligeranti, come l’Afghanistan, o quello dell’ex ambasciata della Somalia, dove in una sede prestigiosa, sita proprio a due passi dalla sede del Goethe-Institut, centinaia di poveracci bivaccano in condizioni igieniche indegne per un Paese che si vuole ancora definire civile.
E non sorprende allora che, nella nostra mente, risuonino come sinistramente vere le parole del rapper pugliese Caparezza “da qui se ne vanno tutti, non te ne accorgi, ma da qui se ne vanno tutti”. Sono anche quei giovani ricercatori che forse, tra dieci anni, troveremo immortalati in un “Monaco, Italia - parte II”.

INFO:

www.monacoitalia.com
www.facebook.com/pages/Monaco-Italia/126337167426506?ref=sgm

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