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Categoria: Varie
Pubblicato Venerdì, 20 Maggio 2011 10:32

Mia Altezza Reale

Riflessioni in libertà ispirate dal più grande evento mediatico dell'anno

Die Hochzeit von William und Kate hat mehr als zwei Milliarden Menschen vor dem Bildschirm gefesselt -  und hat dabei völlig verschiedene und gegesätzliche Gefühle ausgelöst.

Pasquale Episcopo

Monaco, 19 maggio 2011.
Ebbene lo confesso. Nell’abbazia di Westminster la mattina del 29 aprile 2011 avrei voluto esserci anch’io. Anch’io avrei voluto vivere la magia della favola, il fascino del sogno, lo stato d’animo del privilegio, la consapevolezza dell’esclusività. L’orgoglio di esserci, lì e allora. E di dare, con la mia partecipazione fisica, un contributo all’incanto, al fascino, alla suggestione, alla solennità, alla tradizione. Alla Storia. E, magari, di continuare a vivere il sogno anche dopo la cerimonia, per qualche altro giorno, settimana o mese ancora.
Ma torniamo a quel momento magico: eccomi, ci sono anch'io.

Sì, ma non come uno qualsiasi (si fa per dire) degli invitati, non uno qualunque dei 1900, anonimo e praticamente invisibile tra le file ordinate di arciblasonati plurititolati, non uno della folla che riempiva ogni spazio della chiesa. Non come uno dei nobili convenuti numerosi in rappresentanza di questa o di quella corte europea ed extraeuropea: re, principi e sultani; duchi, granduchi e arciduchi; marchesi, conti e visconti; baroni, baronetti, signori e cavalieri. Non come capo di stato o di governo, ministro o sottosegretario, ambasciatore o console. Non come alto prelato della chiesa anglicana, vescovo o arcivescovo, reverendo o cardinale. Non come ammiraglio o generale. Non come rappresentante dell’alta finanza, né come ricco discendente dell’aristocrazia latifondista. No: avrei voluto di più. Avrei voluto essere Lui: William, il protagonista dell’evento mediatico più sensazionale, spettacolare, mondiale, globale, unico, irripetibile. Il principe William in persona. Futuro sovrano del Regno.

Scusate l’ardire, ma dovendo e potendo scegliere, mi scelgo il meglio.
E sia ben chiaro, se lo faccio non è per bassi appetiti di natura carnale, pur non disdegnando la sposa e le sue innegabili virtù. Dirò di più. Avrei certamente fatto meglio di William: non 0,76 secondi sarebbe durato il bacio sul balcone, bensì mi sarei prodotto in una performance ben più generosa, almeno fino al punto di farle superare la durata di un secondo. Per la gioia della folla presente e visibile, come di quella invisibile, collegata da ogni parte del globo in diretta mondovisione. E non importa se Kate avrebbe apprezzato o no un bacio dal sapore italiano, perché non è la brama della sposa o un’improbabile “ius primae noctis” che mi fanno desiderare di essere io l’eletto, io il prediletto, io il fortunato, io e io solo. Io. Prescelto dalla sorte. Predestinato a sedermi sul trono grazie al mio sangue, di tinta rigorosamente blu, e ai miei variopinti nobilissimi distintissimi cromosomi.
Non dunque la bella sposa. Non la prospettiva di una unione prolifica, garanzia di successione e di continuità nella discendenza, né un legittimo desiderio paterno di assicurare un futuro agiato e sicuro alla progenie. Non la pompa, non i castelli, non i palazzi; non le Rolls Royce, non le Aston Martin; non le carrozze e i cavalli. Non la ricchezza. Non il lusso. Non lo sfarzo.

Niente di tutto questo. Giacché non questo mi manca, non avendolo mai conosciuto.
Che cosa allora? Qualcosa di infinitamente più semplice, eppure infinitamente più difficile da ottenere. Un bene impalpabile e raro, eppure ben percepibile se c’è, quando c’è. Purtroppo questo bene da un po’ di tempo nella mia vita ha cominciato a scarseggiare. So di non essere solo.
Il bene di cui sto parlando è una materia prima di grande importanza, essenziale e dal valore fondamentale. È un elemento basilare, requisito imprescindibile per poter instaurare, cementare e consolidare buoni rapporti tra persone e popoli, e per farli vivere in concordia ed in pace.
Questo bene, di cui oggi soffro la mancanza, si chiama rispetto.
Rispetto ti aspetto. Almeno da Re, vorrei tu tornassi da me.
E, badate, non pretendo altro in aggiunta, se non un po’ di gentilezza. Non aspiro alla devozione, non mi interessa la riverenza. Ma so bene di essere particolarmente esigente e di non accontentarmi di poco. E che forse nemmeno il mio sangue blu basterà a garantire che il mio desiderio venga esaudito.
Cerco il rispetto che nasce dalla buona educazione, che è incentrato sul riconoscimento dell’altrui persona e della sua dignità. Il rispetto del saluto, del guardare negli occhi, dell’offrire un sorriso e del porgere ascolto. Il rispetto di una risposta. Il rispetto tra le generazioni. Del figlio nei confronti del padre, e di questo verso il figlio. Il rispetto nell’amore. Parola che senza rispetto diventa priva di significato. L’amore universale e non solo quello nei confronti di una donna, amica e compagna di vita. Il rispetto della persona che ami, di quella che hai amato un giorno e che ti ha fatto sognare e sperare. E che anche ora che non le sei più accanto vorresti ti considerasse e ti stimasse. E che ti chiedesse come stai, e cosa pensi. E che ti dicesse che ti è grata per averle dato un figlio. E poi il rispetto della famiglia, importante come e più dell’affetto. E poi il rispetto dell’amico, che ti rimane vicino anche quando hai una idea della politica diversa dalla sua, e che di te apprezza non la posizione sociale, ma la ricchezza interiore. E poi il rispetto del collega, che riconosce la qualità del tuo lavoro, che ti dà volentieri il suo sostegno e non ti tradisce. E poi il rispetto del vicino come dell’estraneo, come dell’intera società, e delle sue regole e leggi. Quelle che affermano che l’umana dignità è inviolabile, ma che poi se ne dimenticano e perpetrano l’ingiustizia.
In un mondo che si fa ogni giorno sempre più distratto, dove il frastuono copre ogni tentativo di comunicazione, dove la prevaricazione la fa da padrone, dove il tornaconto stabilisce e orienta le scelte delle persone da frequentare, mio caro rispetto ti cerco e ti anelo. Non riuscendo a trovarti con le mie forze, ho pensato di appropriarmi di te con il sogno e la fantasia.
Cari familiari, amici, colleghi, concittadini, siete avvertiti. Non chiedo di inchinarvi di fronte alla Mia Altezza Reale, ma da quella altezza vi intimo per una volta di essere più gentili con me.

E fate attenzione. La prossima volta potrei puntare più in alto.

Post Scriptum:
Sua Altezza Reale Duca di Cambridge,
Gentile Principe William,
sento il dovere di rivolgerLe alcune parole e chiarire un aspetto che mi sta a cuore.
Io non nutro invidia nei Suoi confronti. Neanche ammirazione, peraltro non sono un Suo suddito, ma simpatia, quella sì. Ed è stata proprio la simpatia, per Lei e per la Duchessa Sua consorte, che mi ha spinto, quel venerdì mattina, a guardare le immagini che arrivavano da Londra. Così, nel vedere tutta quella perfezione, quella bellezza, quel trionfo di stile e di buone maniere, ne sono rimasto affascinato ed ispirato al tempo stesso. In un baleno è nata l’idea di rubarLe il nome, il titolo e la sposa, anche se soltanto nella fantasia. Per tale prestito involontario desidero ringraziarLa sinceramente e nel contempo porgerLe le mie scuse per aver osato tanto.

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