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Categoria: Varie
Pubblicato Sabato, 06 Dicembre 2014 15:08

La donna nel sistema previdenziale tedesco

(Comunicato stampa: Contributo di Lara Galli - responsabile del Patronato INCA-CGIL di Monaco - in occasione dell'INCONTRO RETEDONNE "DONNE D'EUROPA", svoltosi a Monaco il 29 novembre 2014)

Cercherò di offrire spunti di riflessione su di un sistema previdenziale che, negli ultimi decenni si è dovuto adeguare a nuovi equilibri tra mercato del lavoro e previdenza e che in questo mercato del lavoro ha visto emergere con forza la figura femminile, prima relegata ad un ambiente domestico.

In alcuni casi, però, paradossalmente, nelle sue riforme volte a favorire la donna e le sue nuove esigenze, il sistema previdenziale tedesco non ha fatto altro che riconfermare la classica visione del ruolo della figura femminile.
La Germania è stato il primo Paese ad aver introdotto un sistema previdenziale pubblico, ossia gestito dallo Stato.
L’assicurazione sociale obbligatoria, infatti, è stata introdotta alla fine dell’800 dal cancelliere Bismark.
L’obiettivo era, ed è, quello di fornire prestazioni previdenziali a coloro che, dopo aver contribuito al sistema, hanno cessato l’attività lavorativa (quale principale fonte di reddito) per ragioni di età anagrafica o contributive (pensione di vecchiaia o di anzianità), per sopravvenuta incapacità lavorativa (pensione di invalidità), per il decesso di un familiare (pensione di reversibilità) o a coloro che, pur avendo raggiunto l’età pensionabile, sono sprovvisti di qualunque fonte di reddito (pensioni assistenziali).

Come si colloca la donna in un sistema previdenziale, nel quale i benefici ad esso legati trovano la loro fonte principalmente in rapporti di lavoro, che possiamo definire “tipici”?

In una categoria sociale debole, che presenta difficoltà di inserimento, e di permanenza o di rientro, nel mondo del lavoro, legata ad esso da contratti  precari, spesso costretta ad iniziare un’attività apparentemente in proprio (“Scheinselbständig”), “part-time” (quando va bene), di "minijob” per la maggior parte dei casi.
Il “minijob” è un classico esempio di come la legislazione tedesca abbia cercato di favorire determinate categorie di persone (donne, ma anche studenti e pensionati), nella misura in cui viene loro offerta la possibilità di prestare un’attività lavorativa estremamente flessibile, che comporta una retribuzione non superiore a 450,00 Euro mensili, esonerata, però, dall’obbligo assicurativo e previdenziale.
Lavoro flessibile, che permette alle donne di entrare nel mercato del lavoro nonostante le responsabilità familiari, altrimenti difficilmente conciliabili, che però per la maggior parte dei casi non consente una formazione professionale, in quanto discontinua e al quale non è associata alcuna forma di copertura assicurativa o previdenziale.
La donna, che ora può lavorare pur essendo mamma, si ritrova comunque dipendente dal marito, nel presente, per mancanza di copertura sanitaria (“Familienversichert”) e in futuro, in quanto potrà godere esclusivamente di una pensione minima (la contribuzione di 45 anni porta ad una pensione di 140 euro mensili)
Per chi non fosse informato, in Germania, è obbligatorio il versamento di contribuzione ai fini della copertura sanitaria.
Se ciò non avviene in virtù di un rapporto di lavoro o del percepimento di altra prestazione, ad esempio disoccupazione, è necessario versare una quota mensile pari a circa 158,00 Euro (freiwillige Krankenversicherung). Nel caso sopracitato del “minijob”, la donna se sposata può usufruire dell’assicurazione familiare (Familienversichert).

Oltre al problema dell’inserimento nel mercato del lavoro, è altrettanto rilevante quello della permanenza: il motivo classico per il quale una donna è costretta ad interrompere temporaneamente il rapporto di lavoro è la maternità, e il rientro non è sempre scontato.
Ricollegandomi al tema della maternità, vediamo che un passo avanti importante è stato fatto proprio in relazione ai periodi di educazione dei figli.
In questo senso, infatti, la legislazione ha voluto riconoscere il valore sociale della maternità e, considerando l’educazione di un figlio alla stregua di una prestazione di interesse generale, ne ha fatto fonte autonoma di diritti pensionistici.
Cosa significa? Significa che la scelta di occuparsi dell’educazione dei figli non comporta la compromissione dei diritti pensionistici, in quanto per ogni figlio educato vengono riconosciuti periodi di contribuzione pari a due anni per i figli nati prima del 1 gennaio 1992 e pari a tre anni per i figli nati dopo tale data, che comportano un aumento della futura pensione mensile.
Per stabilire l’ammontare dei contributi spettanti, viene preso come base di calcolo lo stipendio medio mensile lordo (attualmente pari a 2.900 Euro). Il riconoscimento di un anno di educazione dei figli corrisponde ad un aumento della pensione mensile spettante pari a 28,61 Euro lordi).
Insieme a questi periodi contributivi, vengono attribuiti anche periodi “da considerare” ai fini pensionistici, pari a dieci anni per figlio.
Questi periodi non comportano un aumento della pensione mensile spettante, hanno però validità ai fini del perfezionamento del diritto a determinati tipi di pensioni (pensione di invalidità, pensione di vecchiaia e di anzianità).
Si parla di genitore e non di madre, anche se non poteva mancare una clausola a favore della “donna-mamma”: nel caso in cui non sia chiarito quale genitore si occupa dell’educazione dei figli, i periodi vengono accreditati alla donna!

 

Considerazioni personali

Io non credo che la discriminazione sia un problema culturale, ritengo al contrario che sia in atto un processo di convergenza tra i generi, per quanto riguarda l’attività lavorativa e le modalità della stessa. Purtroppo, però, non si tratta di un successo al femminile, bensì di una diminuzione progressiva dei diritti legati al mondo del lavoro e, di conseguenza all’accesso a prestazioni pensionistiche, che comincia a coinvolgere anche gli uomini e non solo coloro che non vantano titoli di studio o particolari qualifiche.
Maggiore flessibilità, discontinuità e mobilità del mercato del lavoro, che hanno sempre comportato per le donne bassi livelli di pensioni di vecchiaia, difficoltà ad accedere alla pensione di anzianità e dipendenza dal coniuge anche in età avanzata, potranno a breve caratterizzare anche la figura maschile, con conseguenze rilevanti sul welfare. Soprattutto se questa flessibilità, non è accompagnata da un sistema previdenziale che ad essa si adatti, ad esempio, considerando tutti i tipo di lavoro fonti di diritti previdenziali.

Se posso concludere con una frase di Roosvelt, che dovrebbe far pensare tutti: le donne, affinché non smettano di lottare per la parità e gli uomini, affinché sostengano le donne in una battaglia che riguarda anche loro.
Il 21 settembre del 1932 il presidente Roosvelt diceva: “l’obiettivo dello Stato è il benessere dei cittadini. Il progresso materiale e la prosperità della nazione sono desiderabili nella misura in cui conducono al benessere morale e materiale di tutti i cittadini”.

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