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Pubblicato Martedì, 21 Gennaio 2014 10:15

L’abbraccio dell’altra Germania ai superstiti di Sant’Anna di Stazzema

Alessandro Eugeni 

Roma, 10 gennaio 2014
Il Theaterhaus gremito da più di mille persone che cantano Bella ciao. Siamo a Stoccarda nella Siemenstrasse 11, per il Friedensgala, il Gala per la Pace, al termine della serata indimenticabile della domenica del 10 novembre 2013.

Stuttgart è capitale del Baden-Wurttemberg e patria dell’automobile. Il sindaco, l’Oberbürgermeister, Fritz Kuhn, è stato eletto nel 2012 per i Grünen, il partito dei Verdi: è la prima volta che accade in una grande città tedesca.

Sul palco del vasto e moderno teatro, Ebbe Kögel, dei Die AnStifter,“i Provocatori” e Heidemarie Roth del Stiftung Stuttgarter Friedenspreis hanno appena consegnato il Premio per la Pace ai superstiti di Sant’Anna, Enrico Pieri ed Enio Mancini, quest’ultimo assente per motivi di salute e rappresentato da Maren Westermann, fondatrice dell’Associazione italo-tedesca Amici per l’Organo della Pace di Sant’Anna di Stazzema. Una lunga ma intensa serata che si è aperta con l’applauso ai quaranta cittadini venuti da Sant’Anna con un pullman, e le introduzioni del Bürgermeister, il SindacoWerner Wölfle, anche lui del Partito dei Grünen, e dell’Ambasciatore italiano a Berlino Elio Menzione che ha portato i saluti di Giorgio Napolitano.

Entrambi entrano subito nel vivo della questione. Il primo ricorda che “un tribunale italiano (n.d.r.: Tribunale Militare di La Spezia) ha condannato all’ergastolo alcuni colpevoli ed al pagamento di ingenti risarcimenti. Eppure nessuno di loro ha cominciato a scontare la pena e questo deve essere stato per le vittime un pugno in piena faccia, non solo perché la Repubblica Federale Tedesca non può estradarli in Italia, ma anche perché la richiesta delle autorità italiane di eseguire la sentenza in Germania, tramite rogatoria, è rimasta fino ad oggi impigliata nelle maglie dell’autorità giudiziaria tedesca”. Per tale motivo, sottolinea dopo di lui l’Ambasciatoreitaliano, “è molto significativo che il Premio per la Pace sia stato dato a Sant’Anna, perché testimonia che esiste un’altra forma di giustizia, maggiore di quella tecnica dai tribunali”.

Ricordo che proprio a Stoccarda è stata formulata, il primo ottobre 2012, la sentenza di archiviazione, per insufficienza di prove documentali, delle indagini sulle otto ex-SS ancora in vita che parteciparono alla strage di Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944. Sentenza ribadita dal “no” definitivo alla riapertura delle indagini, arrivato il 21 maggio 2013, dopo il ricorso presentato da Enrico Pieri.

È dall’esito di tali eventi che parte l’idea di organizzare il Premio per la Pace, da parte degli AnStifter con la collaborazione delle ACLI del Baden-Württemberg. Die AnStifter,“i Provocatori”, è un’associazione culturale di Stoccarda coordinata da Fritz Mielert, Geschäftsführer, e impegnata nel “Bürgerprojeckte gegen das Vergessen”, “Il Progetto dei cittadini contro l’oblìo”, il cui motto è “Eigensinn und Zivilcourage”, “Tenacia più Coraggio Civile”.

Presenti alla serata anche il Sindaco di Stazzema, Michele Silicani, il suo vice, Maurizio Verona e Carlo Carli che tra il 2003 e il 2006 fece parte, con i Democratici di Sinistra, della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazifascisti. Sul palco, nelle oltre due ore della celebrazione, si avvicendano tanti volti: tra i sopravvissuti al massacro, sono in sette a raccontare in diretta la loro testimonianza, poi tradotta in tedesco, nel silenzio concentrato, rispettoso e commosso dell’affollata platea. Particolarmente toccante la storia di Mario Marsili, appena sei anni all’epoca del fatto: “La stalla era già piena di morti. Mia madre Genny mi aveva messo a cavalcioni su una pietra che spuntava dalla parete, dietro la porta di legno, raccomandandomi di non muovermi per nessun motivo. Entrò un tedesco: la mamma già ferita di striscio alla fronte, stava al centro della stalla e, per paura che il soldato si accorgesse di me, scagliò il suo zoccolo contro di lui. La reazione fu immediata e bestiale: a soli ventotto anni, lei cadde a terra uccisa da una mitragliata. Poi venne il fuoco. La stalla bruciava, però c’ero ancora io, nello stesso tempo sentivo un calore fortissimo, tant’è vero che rimasi bruciato alla schiena, al collo e al braccio. Sono rimasto otto ore nella stalla, sentirono i miei gemiti, ero tutto nero, si vedevano anche i polmoni. Mi portarono in ospedale per fare le prime cure e i medici dissero che non c’era più niente da fare. Mi prese una mia zia, sorella di mia madre e mi portarono dalle suore. Un anno e mezzo di cure. Porto sempre nel petto la medaglia d’oro conferita a mia madre. Non scorderò ed ho sempre un nodo alla gola tutte le volte che racconto la mia storia”.

Enrico Pieri – che perse tutta la famiglia nell’eccidio, genitori, fratelli, zii, zie e cugini – per l’emozione riesce a pronunciare poche parole, nonostante sia al suo fianco il figlio Massimo che traduce in tedesco il suo Ringraziamento:Non mi aspettavo tante persone e neanche questa straordinaria accoglienza, che mi mettono in difficoltà. Dire tutto non è facile... Se non c’è un processo è la Storia che condannerà i colpevoli”.

Breve ma illuminante l’intervento di Peter Kammerer, docente di Sociologia presso l’Università di Urbino, il quale si chiede se esista o no un’altra Germania, una Germania buona contrapposta a quella cattiva. Se essa c’è, è ancora in costruzione, un lavoro che si realizza insieme all’Italia: «C’è anche quest’altra Germania. Se io sono qui, è perché c’è dietro un lavoro di tanti anni in comune tra tedeschi e italiani, qui a Stoccarda, per iniziative sia politiche che religiose. Mi ricordo una grande festa organizzata nel 1974 dai lavoratori italiani a Killesberg dove io ero “ospite dei lavoratori ospiti”, “zu Gast bei Gastarbeitern”. Stoccarda era, ed è, ricca di iniziative di questo genere. L’evento di oggi si inserisce in questa lunga tradizione: l’Italia rappresenta un particolare “Prüfstein”, una pietra di paragone che permette di sviluppare la conoscenza della stessa Germania. Attraverso l’Italia, noi impariamo a conoscere la Germania, impariamo a vedere la Germania con altri occhi. ... La mia generazione, dopo la seconda guerra mondiale, ha più volte creduto al motto:“Nie wieder Krieg!” (“Mai più guerra!”), “Nie wieder organisierte Unmenschlichkeit!” (“Mai più crudeltà organizzata!”). Noi abbiamo perso questa battaglia. I massacri continuano, dall’Afghanistan fino a Lampedusa. Qualche volta, in nome della Pace .... È commovente ora vedere qui sul palco le persone di Sant’Anna di Stazzema. Loro rappresentano la modesta Italia, l’umile Italia, l’Italia che Pasolini ha sempre descritto”.

Nell’Elogio conclusivo, Giuliana Sgrena – la giornalista de Il Manifesto sequestrata nel 2005 da un commando aBaghdad – spiega di aver accettato questo compitoperché vive “in modo molto pressante, quasi ossessivo, il tema della Memoria” e perché teme “l’oblio, l’indifferenza, i luoghi comuni e il revisionismo storico che tende a dire che le colpe sono di tutti e tutti sono uguali”. Gli interventi sono intervallati da momenti musicali, come quello del gruppo italo-tedesco di Etta Scollo e Susanne Paul che, verso la fine della manifestazione, recuperano con un’interpretazione toccante una delle più poetiche canzoni di Francesco Guccini, “Il vecchio e il bambino”.

Ora il Theatherhaus si sta lentamente svuotando e molti vanno verso la Cena finale in programma. Rimangono i musicisti che smontano dal palco i loro strumenti ed io assisto all’intervista del giovane giornalista Tiziano Baldi Galleni de Il Tirreno all’avvocatessa Gabriele Heinecke di Amburgo, legale di Enrico Pieri. Per la traduzione c’è Christiane Kohl, giornalista e scrittrice. Ne riprendo i concetti essenziali: “L’ultima possibilità che rimane in Germania se la Corte d’Appello di Karlsruhe respingesse il secondo ricorso – sostiene con fermezza la Heinecke – è quella della Corte Costituzionale. Poi c’è la Corte Europea”. E alla domanda: “Che cosa l’ha spinta in questa missione?”, lei risponde: “Sono un’antifascista e credo che senza combattere per la verità non ci sia un futuro. Non voglio vivere in un Paese dove ci sono soldati che hanno ucciso delle persone e non si sono resi conto di quello che hanno fatto”.

Ritorno da dove ho iniziato:nel lungo applauso che accompagna la conclusione della serata sulle note di Bella Ciao, tutto il pubblico è in piedi e la grande emozione coinvolge anche me. Io, che fino a quel momento mi ero sentito come un Anstifter,un provocatore”, con il mio fazzoletto tricolore dell’ANPI intorno al collo, vengo abbracciato dai miei vicini di poltrona. Dalla seconda fila mi volgo indietro: alle mie spalle e tutt’intorno c’è l’altra Germania che piange.

 

(Nota del redattore: L’articolo di Alessandro Eugeni verrà pubblicato anche sulla rivista Patria, organo dell’ ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, http://www.anpi.it/patria-indipendente)

 

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