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I costumi ritrovati della Turandot al Museo del Tessuto di Prato

Nicoletta Curradi 

Firenze 27 maggio 2021.
Una, mostra da non perdere a Prato al Museo del Tessuto appena riaperto. 
Era il 25 aprile del 1926 quando, al Teatro alla Scala di Milano, andò in scena la prima della Turandot, scritta da Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni. Fu la rappresentazione postuma di un’opera lasciata incompiuta dal grande compositore toscano, morto nel novembre del 1924.
Nonostante il finale fosse stato affidato dalla casa editrice Ricordi al compositore Franco Alfano, il giorno della prima il direttore d’orchestra Arturo Toscanini — che pure aveva spinto per affidare ad Alfano la parte mancante — decise di interrompere tutto lì dove Puccini era arrivato a scrivere la versione definitiva.

Quella sera, sul palcoscenico, a interpretare la protagonista della storia — la principessa Turandot, figlia dell’imperatore della Cina — c’era la cantante soprano polacca Rosa Raisa, che indossava dei meravigliosi costumi realizzati dallo scenografo, costumista e illustratore Luigi Sapelli, in arte Caramba. Quegli stessi costumi a un certo punto scomparvero. Per decenni nessuno ne seppe più nulla finché, nel 2018, tanto misteriosamente come se ne erano perse le tracce, vennero di nuovo alla luce all’interno di un baule acquisito dal Museo del Tessuto di Prato.
Appartenuto a un altro soprano, la pratese Iva Pacetti, il baule conteneva materiale del suo guardaroba, anch’esso dato per perduto da anni. Tra i tesori ritrovati c’erano appunto due costumi e due gioielli di scena tra quelli realizzati da Caramba per la prima della Turandot, identificati come tali da Daniela Degl’Innocenti, conservatrice presso il museo pratese.

A partire da quella incredibile scoperta ecco l’idea di allestire una mostra dedicata alla genesi dell’opera, ai costumi di Caramba, all’allestimento e alle scenografie, che invece Puccini affidò al suo amico pittore Galileo Chini, uno dei grandi protagonisti del Liberty italiano, che aveva già collaborato col compositore toscano per la rappresentazione newyorkese de Il tabarro e per il Trittico.
Essendo la Turandot una storia ambientata in Oriente, la scelta di Chini fu assai azzeccata. L’artista, infatti, aveva vissuto per diversi anni in Thailandia, tornando in Italia con centinaia di pezzi d’artigianato cinese, giapponese e thailandese, che servirono da ispirazione per molte sue opere, tra cui ovviamente anche le scenografie e gli allestimenti dell’opera di Puccini.

Oltre cento di quegli oggetti, oggi conservati nella collezione Chini presso il Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze, co-organizzatore del progetto, sono in mostra insieme ai costumi e ai gioielli di scena di Caramba, che erano in pessimo stato e sono stati restaurati — grazie a una campagna di crowdfunding — dal Consorzio Tela di Penelope di Prato per i costumi e da Elena Della Schiava, Tommaso Pestelli e Filippo Tattini per i gioielli. 

In esposizione, inoltre, ci sono tele dello stesso Chini, provenienti da collezioni private; i bozzetti delle scenografie, anch’essi da collezioni private e dall’Archivio Storico Ricordi di Milano; altri trenta costumi dell’opera ritrovati negli Anni 70 e provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino; i bozzetti originali di Filippo Brunelleschi, che venne inizialmente scelto da Puccini per i costumi; e il manifesto originale della prima dell’opera, illustrato dal grande Leopoldo Metlicovitz, così come la riduzione per canto e piano, pubblicata da Ricordi nel 1926.
A chiudere il percorso espositivo, una sezione multimediale dedicata a Iva Pacetti, dato che è grazie al suo baule che questa mostra ha potuto diventare realtà. 

Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba rimarrà allestita presso il Museo del Tessuto di Prato  fino al 21 novembre 2021.

 

 

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