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Categoria: Racconti
Pubblicato Giovedì, 03 Aprile 2014 16:31

La libertà di Stephan

Brevi storie monacensi

Franco Casadidio

A mia moglie Maria Rita e ai miei figli Luca e Sara

Terni, gennaio 2014.
L'inverno era stato particolarmente rigido - non che fosse una cosa insolita da queste parti - e la neve, caduta copiosa, aveva regalato ai monacensi un Natale imbiancato come quelli che si vedono nei film. Ora, però, aprile stava offrendo un magnifico inizio di primavera e, chi poteva, non perdeva occasione per godersi lo spettacolo della natura che si risvegliava, scegliendo per le proprie giornate all’aria aperta uno dei tanti parchi pubblici della capitale bavarese.

In primavera Monaco era ancora più bella e affascinante che mai; il cielo terso e il sole splendente regalavano a turisti e residenti l'immagine di una città meravigliosa, una città che si andava lentamente ridestando dopo il lungo “letargo” invernale. Le torri della Frauenkirche svettavano più alte che mai e, visibili già a diversi chilometri di distanza, annunciavano l'approssimarsi della cittá a quanti giungevano da fuori.

Stephan amava particolarmente il parco del castello di Nymphenburg, antica residenza dei regnanti di Baviera; era un parco enorme, immerso nel bosco, attraversato da molti sentieri e corsi d’acqua, impreziosito da due laghetti, il “Kleiner See“ ed il “Grosser See“, popolati di papere e circondati da panchine sistemate strategicamente all'ombra di enormi alberi.

L'uomo andava a Nymphenburg fin da bambino e quel posto gli era sempre rimasto nel cuore; lì aveva conosciuto sua moglie Heike, lì suo figlio Hans aveva mosso i primi passi, sempre lì, ora che era rimasto solo, andava a trascorrere qualche momento di tranquillità. Heike, la sua adorata Heike, era morta ormai da cinque anni mentre Hans, da quasi dieci, lavorava e viveva a Berlino, con la moglie Mikela e i loro due bambini, Peter e Kristin.

Stephan aveva settantatré anni molto ben portati e, eccettuato un piccolo problema di vista, il suo stato di salute e il suo aspetto erano quelli di un uomo di dieci anni più giovane. La sua era sempre stata una vita tranquilla, divisa tra la famiglia e il lavoro da impiegato presso la sede di Monaco della Siemens. Quarant’anni anni passati dietro una scrivania dell’ufficio contabilità lo avevano reso ancora più pignolo e preciso di quanto non fosse per sua natura; in compenso quel lavoro, ereditato da suo padre, gli aveva consentito di mantenere dignitosamente la propria famiglia. Heike aveva sempre svolto il lavoro di casalinga, prendendosi cura della casa e di Hans, dedicando il poco tempo libero che le rimaneva al giardinaggio, la sua grande passione.

Con Stephan in pensione e Hans ormai lontano, nella bella stagione Heike trascorreva molto tempo in giardino in mezzo alle sue rose di cui andava fiera; in effetti, in tanti anni di appassionato lavoro, era riuscita a creare un piccolo roseto veramente carino, soprattutto per la varietà di colori dei fiori che lo componevano. Su una piccola porzione di terreno, larga un metro e lunga non più di cinque, aveva sistemato, con teutonica precisione, una decina di varietà di rose, ognuna con sfumature diverse, ma tutte rigorosamente potate alla stessa altezza così che, nel periodo di massima fioritura, il roseto si trasformava in un parallelepipedo multicolore che attirava l’ammirazione e talvolta anche l’invidia, delle amiche e delle vicine di casa della donna.

Il resto del giardino, seminato con prato all’inglese, era attraversato da un sentiero fatto di mattoncini che permetteva di raggiungere il roseto senza calpestare il prato. Nell'angolo opposto al roseto erano sistemate alcune seggiole e un tavolino rotondo in legno dove marito e moglie amavano cenare nelle belle serate estive, trattenendosi a chiacchierare fino a tardi o, in alcuni casi, ingannando il tempo in interminabili partite a “skat“, gioco di carte che appassionava entrambi.

Questa esistenza tranquilla, che nelle menti dei due coniugi doveva contraddistinguere una serena vecchiaia da trascorrere insieme, venne interrotta di colpo una mattina d’inverno quando un improvviso malore colpì Heike, lasciando Stephan in preda alla solitudine ed alla tristezza.

I primi mesi senza Heike furono i peggiori, nonostante la presenza della nuora e dei due nipoti che dopo i funerali erano rimasti a Monaco approfittando della chiusura invernale delle scuole. Il dispiacere e l’angoscia si erano impadroniti di Stephan che non riusciva ad abituarsi all’idea di non avere più a fianco la compagna di tutta una vita, colei con la quale aveva vissuto quarant’anni di felice e serena vita coniugale. Stephan non era mai stato molto bravo nei lavori domestici, anche perché Heike pensava a tutto, dalla spesa alle pulizie, dalle commissioni alla preparazione dei pasti, così quando Hans ripartì per Berlino portandosi via Mikela, Peter e Kristin, per Stephan cominciò un periodo totalmente nuovo della sua vita. Fare la spesa fu la prima necessità che gli si presentò e che risolse in maniera abbastanza semplice, recandosi nei negozi e nei supermercati dove erano soliti andare con sua moglie e comprando tutto quello che gli piaceva.

“Ama i dolci signor Krenz eh?” disse la cassiera: in quel momento Stephan realizzò che quel carrello, spinto con un po’ di fatica fino alla cassa, era si pieno ma quasi esclusivamente di biscotti, tortine e dolci vari; uscendo di casa si era riproposto di lasciarsi guidare dai suoi gusti e così aveva fatto ma, a parte qualche scatoletta di tonno, un po’ di pane di segale e un sacchetto di mele, aveva fatto incetta solamente di dolci, utili a colazione forse, ma non certo per preparare pranzo e cena.

Con il passare dei giorni però, le cose migliorarono e dopo qualche mese dalla morte di Heike, Stephan era ormai diventato, se non un ottimo, almeno un discreto uomo di casa, in grado di sbrigarsela da solo in tutto o quasi; per le pulizie, infatti, si era affidato ad una domestica ad ore che, tre volte alla settimana, lo aiutava a pulire la casa e a stirare, attività per le quali Stephan era negato.

Non si può certo dire che quella nuova vita gli piacesse, questo no; il ricordo di Heike era troppo forte in lui e la vita da single non faceva al caso suo, però, come si ripeteva spesso l’uomo, bisognava pur andare avanti, anche per onorare al meglio la memoria della moglie scomparsa. Diverse volte Hans gli aveva proposto di trasferirsi a Berlino, ma Stephan amava troppo Monaco, e non l’avrebbe lasciata per niente al mondo.

Proprio quando sembrava che le cose avessero ripreso il loro volgere normale, un'altra tegola si abbatté su Stephan: a causa di un problema di vista, seppure di lieve entità, gli venne ritirata la patente di guida. Questo avvenimento si trasformò per Stephan in un mezzo dramma. Infatti, incredibilmente per un ambientalista come lui, la macchina era l’unico mezzo di trasporto di cui si serviva per i suoi spostamenti, a parte una vecchia bici con la quale faceva al massimo il giro dell’isolato per andare a comprare i giornali al mattino. Non che Stephan detestasse i mezzi pubblici, anzi, ne riconosceva e ne lodava la grande valenza ambientale, solo che aveva sempre evitato di servirsene perché, come ripeteva spesso, non sopportava “di star rinchiuso in uno spazio ristretto insieme a decine di sconosciuti che ti spintonano, ti pestano i piedi e quant’altro, senza neanche chiederti scusa”. Inutile dire che la descrizione che faceva dei mezzi pubblici di Monaco non corrispondeva affatto alla realtà delle cose, ma certo questo era un buon modo per mettersi in pace con la propria coscienza ogni volta che qualcuno, sua moglie per prima, lo rimproverava di non saper fare a meno della sua inseparabile BMW.

Con il ritiro della patente, Stephan era costretto a spostarsi a piedi ed in bicicletta o, quando doveva recarsi al centro di Monaco o in altri posti relativamente distanti, a chiedere un passaggio a qualche conoscente.

Questa abitudine durò fino ad una caldo giorno d’agosto quando, mentre era immerso nella lettura del giornale, il suono del telefono lo fece sobbalzare.

“Ciao papà, sono Hans, ti chiamo da Innsbruck. Sto tornando a Berlino in treno e a Monaco devo aspettare un’ora per la coincidenza. Mi farebbe piacere incontrarti, io sarò lì alle 14, hai impegni nel pomeriggio?”.

“No”, rispose Stephan, “sono liberissimo, ci vediamo alle 14 alla stazione centrale allora. Buon viaggio Hans”. Erano passati più di tre mesi dall’ultima volta che si erano visti e la voglia di riabbracciarsi era così grande che solamente dopo aver riagganciato il telefono Stephan si rese conto del pasticcio nel quale si era cacciato.

Come andare fino alla Hauptbanhof (Stazione Centrale ndr), al centro di Monaco? Non certo a piedi o in bicicletta e neanche chiedendo un passaggio a qualcuno, visto che era metà agosto e molti dei suoi amici e conoscenti erano in ferie.  Restavano due soluzioni: il taxi o i mezzi pubblici. La prima ipotesi venne scartata da Stephan dopo una breve valutazione dei costi: il viaggio andata e ritorno da Solln, dove abitava, alla stazione sarebbe costato non meno di settanta euro; la decisione di servirsi del mezzo pubblico divenne, per questo, quasi obbligata. “Pur di riabbracciare Hans”, pensò l'uomo, “sopporterò ben volentieri qualcuno che mi pesti i piedi e non mi arrabbierò neanche se costui non dovesse chiedermi scusa!”.

Stephan mangiò un panino verso le undici e poi si avviò a piccoli passi verso la stazione della linea 7 della S-Bahn, la metropolitana di superficie che, insieme alla U-Bahn la metro vera e propria, collega in maniera capillare tutta la città bavarese.

La stazione si trovava a circa cinquecento metri dalla sua abitazione situata in Frölichstrasse, una distanza che Stephan coprì quasi di corsa tanta era la voglia di rivedere suo figlio. L'uomo si diresse subito al tabellone degli orari rimanendo felicemente sorpreso nel constatare che i treni si susseguivano con un intervallo di dieci minuti l’uno dall’altro ed i costi  erano abbastanza contenuti; un euro e ottanta centesimi il biglietto di andata e ritorno. Inseriti i soldi nel distributore automatico e prelevato il biglietto, Stephan si avvicinò al binario in attesa del treno.

Guardandosi intorno si rese conto che oltre a lui c’erano solamente altre due persone in attesa, anche questo segno evidente che la maggior parte dei monacensi era in vacanza. Stephan era immerso in queste riflessioni quando lo stridere dei freni lo fece rendere conto che il treno era in stazione.

Con il biglietto in mano e l’animo pieno di gioia per l’approssimarsi dell’incontro col figlio, Stephan si diresse sicuro verso le porte del vagone; andò per afferrare la maniglia ma con grande stupore notò che non c’era!. Spostò lo sguardo alla porta del vagone successivo ma la situazione era identica: non c’erano maniglie!!

“Si apriranno automaticamente” pensò l’uomo e rimase alcuni secondi in attesa: ma le porte non si aprirono e il treno riprese lentamente la sua corsa, lasciando Stephan desolato sul marciapiede della stazione.

L’uomo si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse visto cosa gli era capitato poi, realizzato che era completamente solo, si lasciò cadere su una panchina.

“Come inizio non c’è male” pensò, “il treno è partito e io sono ancora qua; ma come diavolo si apriranno queste porte?”

In quel momento entrò in stazione Grete, la figlia dei signori Piech, i vicini di casa di Stephan. “Buongiorno signor Krenz” disse la giovane con il suo solito sorriso solare.

“Buongiorno Grete. Vai anche tu a Monaco?”

“Si”, rispose la ragazza, “vado in centro a fare qualche acquisto e lei?”

“Io vado alla stazione ad incontrare mio figlio che arriva da Innsbruck”

“Bene, allora visto che la sua fermata viene prima della mia possiamo fare una parte del viaggio insieme se le fa piacere?”

In quel momento, quell’invito fu per Stephan un toccasana, che giunse tanto inaspettato quanto gradito.

Dopo pochi minuti entrò in stazione un altro treno e Stephan si avvicinò a Grete sicuro che lei le avrebbe fatto scoprire il segreto per aprire le porte del vagone. Quando il treno fu fermo, la ragazza sfiorò con l’indice della mano destra un piccolo tasto illuminato di rosso, posto al centro della porta; il tasto cambiò immediatamente il suo colore, diventando verde, e le porte si aprirono davanti ai due passeggeri, quasi magicamente.

“Ma guarda che diavolerie!” pensò Stephan e appena entrato si voltò per vedere se anche dall’interno il meccanismo di apertura fosse uguale; notato il pulsante rosso identico a quello premuto da Grete per salire, Stephan si rasserenò al pensiero che almeno non avrebbe corso il rischio di restar chiuso dentro finendo così al deposito dei treni e si andò a sedere davanti alla sua compagna di viaggio.

“Ecco la sua fermata signor Krenz” disse Grete una decina di minuti dopo.

“Eh già, è proprio la mia, è stato molto veloce, non credevo…”.

In effetti per Stephan, abituato ad impiegare almeno mezz’ora per coprire lo stesso tragitto in auto, la rapidità con la quale il treno lo aveva portato al centro di Monaco fu una piacevole sorpresa.

Dato che erano appena le dodici e trenta, per ingannare il tempo Stephan si diresse prima al book-shop della stazione centrale e poi in un bar, dove, seduto ad un tavolo, sorseggiò lentamente una tazza di caffè in attesa che arrivasse il treno da Innsbruck.

Alle quattordici, preciso al minuto, il treno entrò in stazione.

“Ehi Hans, sono qui!” gridò Stephan appena scorse la figura del figlio.

“Ciao papà, come stai?”

“Bene figlio mio, e tu? E come stanno Kristin e i bambini?”

“Stiamo tutti bene papà, ma vieni, andiamo a sederci in un posto più tranquillo”.

Stephan prese sottobraccio suo figlio e insieme si avviarono verso una panchina un po’ più isolata dove poter parlare con calma. Per tutto il tempo che rimasero lì, Stephan non smise mai di tenere stretto il braccio di Hans, quasi avesse paura che lui scappasse prima del tempo!.

Alle quindici e dieci però, venne il momento di salutarsi: il treno per Berlino era annunciato in partenza dal binario nove e Hans, abbracciato il padre, prese la valigia e si avviò verso la carrozza dove aveva prenotato il suo posto a sedere; anche se erano stati insieme solamente un’ora, entrambi avevano vissuto quel breve incontro così intensamente da farlo sembrare interminabile.

“Sono appena le tre del pomeriggio” pensò Stephan “quasi quasi mi faccio una bella passeggiata in centro” e così fece, dirigendosi verso la piazza Karlsplatz. Attraversato il grandioso arco della Karlstor e imboccata Neuhauserstrasse, l'uomo proseguì lungo Kaufingerstrasse in direzione di Marienplatz. Un gruppetto di quattro ragazze armate di violini e flauti allietava i passanti e i clienti della vicina birreria Augustiner suonando musiche di Vivaldi e Mozart, riscuotendo i favori dell'improvvisato pubblico ben lieto di donare qualche spicciolo alle giovani artiste. Erano forse passati un paio d’anni dall’ultima volta che Stephan aveva passeggiato per il centro di Monaco; prima la morte di Heike poi il ritiro della patente, avevano limitato di molto i suoi spostamenti. Se andava a città era solamente per qualche commissione particolare della quale non poteva fare a meno e, come detto, ricorrendo sempre ai passaggi in macchina di amici e conoscenti. Per questo motivo Stephan non poteva certo permettersi il lusso di fare passeggiate, dato che c’era sempre qualcuno che lo stava aspettando per riportarlo a casa. Quel pomeriggio, invece, Stephan stava rivivendo una bella esperienza, una sensazione che non provava da tempo: sentirsi libero.

Non aveva vincoli temporali, poteva riprendere la S-Bahn quando voleva e non c’era nessuno che lo attendesse seduto in qualche macchina. L’uso dei mezzi pubblici lo aveva reso nuovamente padrone del suo tempo, facendogli riscoprire il gusto di muoversi in libertà: da quel pomeriggio, Stephan non avrebbe più rinunciato a queste cose.

La “breve” passeggiata di Stephan durò circa tre ore, ma quel tempo trascorse in un attimo, come sempre succede quando facciamo qualcosa che ci piace. La città non era molto affollata e questo permetteva di godere appieno di tutte le sue bellezze.

“Se mi affretto” pensò l’uomo, “forse faccio in tempo a vedere il carillon del municipio in movimento”.

Il carillon del Neues Rathaus, il Nuovo municipio, si metteva in movimento due volte al giorno: a mezzogiorno e alle cinque del pomeriggio. Turisti e monacensi, assiepati nella piazza con il naso all’insù, rivivevano le epiche battaglie cavalleresche medievali e le leggiadre danze della dame di corte, il tutto nel breve volgere di due o tre minuti.

Quando venivano a Monaco, Stephan e Heike non perdevano occasione per gustarsi lo spettacolo del carillon e, anche se i personaggi, le musiche e i movimenti erano sempre gli stessi, una forte emozione pervadeva sempre il loro animo. Stephan arrivò in piazza giusto in tempo per vedere l’ultimo duello, quello in cui il cavaliere bardato con un armatura giallo-nera, cade sotto i colpi dell’avversario, vestito con i colori bianco e blu simbolo della Baviera. Dopo aver passeggiato per un’altra ora tra le vie del centro, concedendosi solamente una breve sosta su una panchina dell’Hofgarten, il giardino contiguo alla ex residenza reale, Stephan si diresse verso una fermata della S-Bahn per riprendere il treno che lo avrebbe riportato a casa.

Il giorno seguente si alzò di buon mattino e, inforcata la bicicletta, andò all’edicola a comprare il giornale. Stephan era una grande lettore, non tralasciava niente, dalle pagine di cronaca a quelle di politica, allo sport; solamente la pagina degli eventi culturali veniva in genere saltata, ma non perché Stephan non fosse interessato o non amasse l’arte in qualunque forma si esprimesse, ma semplicemente perché gli appuntamenti più importanti si svolgevano prevalentemente in centro città e lui aveva sempre il problema di come arrivarci.

In autunno, ad esempio, in alcuni saloni dell’Alte Pinakotheke, si era svolta una mostra molto interessante sui pittori italiani del rinascimento ma Stephan, nonostante fosse interessato, non era riuscito a trovare il modo per visitarla. Quel giorno la pagina culturale fu la prima ad essere letta.

Oggi, venti agosto, alle ore sedici, nello spazio antistante il Pagodenburg, all’interno del parco di Nymphenburg, l’orchestra bavarese eseguirà un concerto con musiche dei fratelli Strauss. Questo piccolo trafiletto, posto in basso a destra, attirò l’attenzione di Stephan; l’uomo, infatti, era da sempre un grande appassionato delle musiche e dei valzer viennesi e più volte aveva tentato, senza successo, di trovare i biglietti per il famoso concerto di Capodanno.

“Certo, non sarà come essere a Vienna il primo dell’anno, ma che importa” pensò Stephan “è comunque un occasione per trascorrere un pomeriggio diverso”.

Così, alle quattordici, dopo aver pranzato e riordinato la cucina, Stephan si avviò alla stazione della S-Bahn e, dopo cinque minuti di attesa, salì sul treno, direzione Monaco. Il percorso fino a Nymphenburg non era diretto, ma prevedeva un cambio alla stazione centrale, da dove un tram lo avrebbe portato proprio davanti all’ingresso del parco. La giornata era magnifica e un caldo sole accompagnò l’uomo fino al luogo scelto per l’esibizione; nonostante mancasse ancora un’ora all’inizio del concerto, i posti a sedere erano quasi tutti occupati e Stephan dovette accontentarsi di uno in penultima fila.

“Stephan, ehi Stephan” gridò un uomo seduto sul lato sinistro della platea.

“Karl, amico mio, anche tu qui?” rispose Stephan sorpreso di rivedere il suo vecchio amico.

L’abbraccio fra i due fu molto caloroso, come può esserlo quello tra due amici che si conoscono fin dall’infanzia ma che non si vedono da tanto, troppo tempo.

Karl e Stephan  erano cresciuti insieme fino ai venti anni quando Karl e sua madre, suo padre non l’aveva mai conosciuto, si trasferirono a Rosenheim, una cittadina a circa settanta  chilometri dalla capitale bavarese, dove il giovane aveva trovato lavoro come operaio in una carpenteria metallica.

Intorno alle diciotto, terminato il concerto e salutato Karl, Stephan si incamminò verso la fermata del tram. Lungo il tragitto, passando davanti ad una birreria all’aperto, gli tornarono alla mente tutte le volte che d’estate, insieme ad Heike, piuttosto che tornare a casa si erano fermati in un “Biergarten“, le tipiche birrerie all’aperto tanto amate dai bavaresi, e avevano consumato la cena, chiacchierando amabilmente, rinfrescati dalla leggera brezza che spesso allieta le serate estive dei monacensi.

“Quasi quasi mi siedo e ordino qualcosa” pensò Stephan e immediatamente si accomodò ad un tavolo vicino alla staccionata che delimitava il “Biergarten“.

“Prego signore, il suo menù” la voce gentile di una cameriera lo distolse per un attimo dai suoi pensieri.

Stephan non era un grande bevitore di birra, a differenza di molti suoi concittadini, ma delle birrerie all’aperto apprezzava due cose in particolare: l’atmosfera di allegria e spensieratezza che si respirava e i würstel!

“Mi porti dei würstel arrosto e un bicchiere di vino rosso, possibilmente italiano”. Il vino era un’altra passione dell’uomo; non che fosse un grande consumatore, però gli piaceva informarsi e conoscere i vari tipi con una particolare predilezione per quelli italiani.

Dopo circa dieci minuti la cameriera tornò con i würstel ed un bicchiere di lambrusco. Stephan consumò il pasto molto lentamente, cosa insolita per lui, gustando quel momento di vero relax che da troppo tempo mancava nella sua vita poi, dopo aver saldato il conto, prese a passeggiare in direzione della fermata del tram.

Erano circa le otto di sera quando fece ritorno a casa, felice per la giornata trascorsa. A letto, nel buio della sua camera, i pensieri di Stephan tornarono a quello che aveva vissuto nel pomeriggio e si sentì invadere il cuore da una sottile sensazione di gioia che però lasciò subito il posto ad un velo di tristezza pensando a quanto sarebbe stato bello vivere quei momenti con Heike.

Si girò su un fianco e, mentre una lacrima gli rigava il viso scivolando veloce verso il cuscino, si addormentò.

Il mattino seguente, decise di recarsi alla sede centrale della MVV, l’azienda trasporti di Monaco, per sottoscrivere un abbonamento di viaggio.

“Caro signore, visto che lei ha raggiunto i settant’anni di età, può sottoscrivere un abbonamento annuale a prezzo ridotto che le consentirà di utilizzare illimitatamente tutti i mezzi pubblici della città e di avere sconti sui biglietti dei treni e su quelli d’ingresso a teatri, musei, gallerie d’arte e altri luoghi di grande interesse; che ne dice?”

L’uomo quasi non fece terminare la frase alla solerte impiegata allo sportello, tanto era felice per quell’opportunità che gli veniva offerta. Dopo pochi minuti, Stephan usciva dall’ufficio con il suo abbonamento annuale ai trasporti pubblici; lui, che aveva passato una vita disprezzandoli, lui che non aveva mai abbandonato la sua fidata BMW, a settant’anni aveva scoperto la gioia di spostarsi in metro, in autobus, in tram, senza restare imbottigliato nel traffico cittadino e senza innervosirsi per trovare un parcheggio.

Tutti questi pensieri gli tornavano alla mente in quel caldo pomeriggio primaverile quando, seduto su una panchina davanti al laghetto di Nymphenburg, ripensava a tutto quanto gli era accaduto negli ultimi anni riflettendo su come la riscoperta e l’uso dei mezzi pubblici lo avessero reso libero, indipendente, nonostante non fosse più giovanissimo e non avesse più la patente.

 

Copyright - 2013 Franco Casadidio

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