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Categoria: Musica
Pubblicato Martedì, 21 Gennaio 2020 08:51

Un medico e la sua musica, tra quello che è stato e quello che è

Intervista a Salvatore La Carrubba, medico e musicista siciliano

Cristina Picciolini 

Siracusa, 15 gennaio 2020.
Nato e cresciuto in un paese dell’agrigentino, con la musica nel sangue e la voglia di seguire le orme del padre medico, Salvatore La Carrubba inizia a suonare il pianoforte e la chitarra da piccolo insieme al fratello anche lui appassionato di musica. Insieme trascorreranno l’adolescenza con una grande passione musicale scoprendo anche il rock e la musica dei cantautori. Poi, all’improvviso, qualcosa si ferma e si trasforma in una pausa che durerà venti lunghi anni. La prematura scomparsa del fratello, dopo una grave malattia, porta Salvatore ad allontanarsi dalla musica, quando era già partito per Roma, per seguire gli studi di medicina. Passano molti anni dove tra gli studi, il lavoro e gli amici, che si è creato con il tempo, possono far pensare che Roma è la città dove rimanere. Invece per Salvatore, come per molti siciliani, il desiderio di tornare a vivere in Sicilia, tra la campagna e il mare e i profumi di casa, si fa sempre più forte. Tornerà dopo quindici anni per un posto a Palermo come medico internista e per fare i conti con un passato musicale che si riaffaccia prepotentemente. Per Salvatore essere medico e musicista non è una separazione di identità ma le due dimensioni vanno di pari passo con uno scambio bidirezionale, al punto che il rapporto con i pazienti è influenzato in tanti aspetti dal sentirsi musicista, suonando nei reparti o portando la musica in eventi correlati con la medicina.

Di cosa parlano le tue canzoni?
Ho scritto sempre di getto seguendo le mie ispirazioni sul momento. Adesso che ho accumulato più di settanta testi, mi sono reso conto che seguono alcuni filoni ben definiti: pur non esistendo un argomento principale, mi sono accorto di aver mescolato spesso aspetti che fanno parte della mia persona, in primo luogo il mio rapporto con la Sicilia, con la mia terra, con i luoghi dove sono cresciuto e dove ho deciso di tornare dopo 15 anni trascorsi lontano, e poi gli aspetti sociali, l’emigrazione vista con gli occhi di cento anni fa, che assomiglia tanto alla immigrazione che vediamo oggi, ma anche l’emigrazione di “lusso” che fa dire ai siciliani che solo chi va fuori ha successo (cu nesci arrinesci). Da agrigentino sento anche le influenze pirandelliane ed in alcune canzoni mi sono trovato a descrivere il continuo contrasto tra un mondo esterno che ci vuole far indossare una maschera e la voglia di esprimerci invece per quello che siamo. Il tema del viaggio invece è sempre presente, sia che si parli di piccoli viaggi che grandi cambiamenti interiori.  

Quanto è presente la tua professione nelle tue canzoni?
La mia professione è presente in molte canzoni, dal racconto di esperienze personali (il naufragio della Scala dei Turchi) al tentativo di descrivere il contrasto tra una professione vista come carriera in contrapposizione con una esigenza di essere medico più vicino al malato. Forse poco spazio hanno trovato finora aspetti legati all’amore, ma probabilmente per una mia sorta di pudore nell’affrontare i sentimenti o forse semplicemente perché è una tematica che ho ritenuto finora in secondo piano nella mia vita. Più importante il mondo degli affetti familiari che ho cercato di affrontare con discrezione, non so se ci sono riuscito abbastanza

L’arte è sofferenza, gioia, solitudine, amore e olfatto. Cosa aggiungeresti?
L’arte è anche coraggio, perché significa mettersi a nudo rischiando, a volte, di apparire banale o ridicolo.  Ma è un rischio da correre.

Cosa hai provato quando sei salito la prima volta sul palcoscenico?
La prima volta è stata durante una serata al termine di un congresso medico, e quello che ho provato, con sorpresa, è stato che ciò che prima sembrava così facile, cantare, suonare nella propria stanza o nelle prove, poi diventava improvvisamente così difficile perché mi sono lasciato distrarre dal contesto, sbagliando le più elementari note. Poi ci sono state le emozioni di suonare in diretta televisiva (con i TFB a Webnotte su Tv Capital e con i Baidans a Buongiorno Regione alla RAI Sicilia), ma è stato paradossalmente più facile perché non vedevo il pubblico.

Quale è quella cosa precisa come un orologio ma leggera e delicata come una fiaba?
Direi… utilizzando il titolo di una mia canzone e del mio prossimo album, che è la “corrente degli eventi”, quel continuo verificarsi di esperienze, sensazioni, emozioni che si verificano senza che puoi interferire, ma che devi saper interpretare per viverne al meglio ogni istante.

Secondo te vivere in un posto bello aiuta a diventare migliori? 
Io sono cresciuto con l’idea di essere “periferico”, e non mi rendevo conto che la Sicilia fosse così bella. Da Canicattì sembrava che la vita reale fosse lontana e che fossimo destinati a non poter vivere le realtà importanti. Però paradossalmente, questa sensazione di noi provinciali, dell’ultima provincia d’Italia, di essere periferici è stato lo stimolo per cercare di migliorarci. Non a caso molti degli amici con i quali in adolescenza condividevo queste sensazioni sono andati via e molti, con mio dispiacere, non sono ritornati, integrati in realtà sicuramente professionalmente più gratificanti (Milano, Roma). Invece penso che chi vive in un posto bello più che diventare migliore può correre il rischio di sottovalutare l’importanza della propria realtà.

Con quali figure artistiche e intellettuali siciliane hai avuto la possibilità di confrontarti?
La prima figura intellettuale che mi ha dato tanto me la sono ritrovata a casa, ed è quella di un mio zio, Pino Lanza, che purtroppo non c’è più, che aveva assunto anche un ruolo paterno, avendo perso mio padre da piccolo. Mio zio era dotato di una cultura incredibile, preside di scuola, ma anche scrittore e con una storia di impegno politico, e aveva fatto una scelta di vita ritirata in provincia, dove per me è stato motivo di grande arricchimento culturale in anni fondamentali come quelli adolescenziali. Più recentemente invece ho avuto la possibilità di confrontarmi con la figura artistica ed intellettuale Pippo Pollina con il quale è nata anche una bella amicizia pur vivendo in Svizzera, con la mente e con la musica in Sicilia. Mi ha incoraggiato a continuare questa strada ibrida tra medico/musicista riconoscendo anche la possibilità di incrociare tutto questo con un impegno sociale, costituendo “rete” in un momento sociale così difficile e complicato come quello attuale. Grazie a Pippo ho conosciuto musicisti ed artisti che non avrei mai immaginato di conoscere con i quali mi confronto giornalmente come il cantautore pugliese Luigi Mariano e il cantautore mio quasi compaesano Cesare Lo Leggio, le cantautrici trapanesi Roberta ed Adriana Prestigiacomo, la cantante palermitana Claudia Sala.

Ottobre 2019 primo concerto fuori dell’Italia, precisamente a Monaco di Baviera. Cosa ti ha lasciato nell’anima questa nuova esperienza? 
Se mi avessero detto un anno prima che sarei andato a cantare le mie canzoni (insieme alla bravissima giovane cantautrice Virginia Manco ed a Fulvio Caruana psicologo/musicista) a Monaco di Baviera avrei pensato che lo diceva un pazzo. Invece è stato possibile grazie ad amici nuovi incontrati da poco (Serena D’Auria), ed è stato emozionante vedere e sentire persone sconosciute che mi hanno trattato davvero come un artista importante, che hanno ascoltato le mie canzoni in maniera attenta e appassionata fino alla fine. Ma un aspetto commovente è stato quando mi ha avvicinato alla fine del concerto un siciliano originario di Marianopoli emigrato in Germania da 46 anni che è venuto a congratularsi con le lacrime agli occhi per aver sentito la musica della sua terra. È stato il momento più gratificante dell’intero concerto.

Che cosa è quella cosa che ti fa sentire orgoglioso di essere italiano?
Forse sarà un mio limite, ma più che italiano mi sono sempre sentito più siciliano. Nonostante tutto, le cose più italiane di cui mi sento più orgoglioso sono forse legate ad aspetti estetici e gastronomici che solo quando vai fuori dai nostri confini ti rendi conto quanto siano importanti.

Cosa ci portiamo dietro e cosa ti piacerebbe lasciare nella vita?
Ci portiamo dietro il patrimonio che viene dalla nostra famiglia, dagli incontri con le persone speciali che ci hanno trasmesso qualcosa e soprattutto che non ci sono più. La cosa più bella sarebbe sapere che qualcuno custodirà quello che hai amato, la mia campagna, le mie canzoni, i miei strumenti musicali.

Cosa ti ha riportato veramente a casa, ma soprattutto da tua madre?
Io sapevo che sarei tornato in Sicilia prima ancora di partire. Me lo ero ripromesso e sono sempre stato determinato a farlo. Nelle mie letture di adolescente mi colpì la pagina del Gattopardo quando Chevalley proponeva a Don Fabrizio il titolo di senatore, e il Principe, nel rifiutare, ricordava come i siciliani non vogliono cambiare, e per sradicare quella mentalità un siciliano deve andar via quando è giovane, ed a vent’anni è già tardi. Io sono partito a diciotto anni.  Devo dire però che oggi è diverso, le comunicazioni, internet, i voli low cost hanno ridotto questa distanza e probabilmente non è così necessario partire obbligatoriamente dalla Sicilia per “smagarsi”. Semmai il viaggio deve essere interiore. 
Probabilmente sono riconoscente a mia madre che mi ha lasciato partire a diciotto anni, stimolandomi sempre a pensare a me stesso e non a lei, e quando stavo per ritornare in Sicilia mi disse che se lo facevo per lei di non farlo. Paradossalmente forse questo è stato un grande stimolo che mi ha portato a ritornare. E poi comunque, forse anche perché non ho (ancora) famiglia mia, il concetto di casa per me è riassunto in mia madre e nell’altro mio fratello, forse anche perché ci sentiamo superstiti dalle perdite che negli anni ci hanno colpito. 

 

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