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Roma: vandali storici e vandali contemporanei

Lettres italiennes

Es ist nicht nötig, die Stadt Rom großartig vorzustellen oder anzupreisen. Aber was ist mit ihren Bewohnern? Der Autor dieses Artikels ist selbst Römer und behauptet, dass die “Ewige Stadt” schöner wäre, wenn einige ihrer Bürger sich anderswo niederlassen würden.

Corrado Conforti

“Null’altro saprei dire di questo popolo se non che è gente allo stato di natura, gente che, in mezzo agli splendori e alle solennità della religione e dell’arte, non si scosta d’un capello da quel che sarebbe se vivesse nelle grotte e nei boschi”.
Non sono parole mie. Le ha scritte Johann Wolfgang Goethe il 24 novembre 1786 nel suo diario redatto a Roma, dove era arrivato il 29 ottobre dello stesso anno. Nelle righe sopra riportate il grande letterato sembra rendersi conto per la prima volta, dopo l’iniziale entusiasmo, di quello che erano gli abitanti della città da lui tanto amata.

Io (e non voglio con questo paragonarmi all’autore del Faust), sono ritornato a Roma, città nella quale sono nato e in cui ho vissuto più di trent’anni, il 9 agosto scorso. Il quartiere dove abita mia madre (quartiere “signorile” viene definito) era a quell’ora – le tre del pomeriggio – deserto. I romani, specialmente quelli abbienti, ad agosto se ne vanno in vacanza; per questo anche quando, verso sera, la temperatura si fa meno soffocante, quelle strade restano vuote. A me è allora venuta voglia di godermi il “ponentino”, facendo una passeggiata in quello che un pregiudizio, frusto come tutti i pregiudizi, definisce il più romano dei rioni di Roma: Trastevere.
Il quartiere ha, come tutta la città, una storia millenaria fatta spesso di eventi tragici.
Nel 1527, durante il Sacco di Roma, fu devastato dalle milizie di Carlo V. Nel 1656 si diffuse da lì la peste che avrebbe colpito l’intera città e causato nel solo rione 1500 morti. Nel 1849 infine, durante l’effimera Repubblica Romana, non furono poche le palle di cannone francesi che piovvero sugli inermi abitanti. Quello che è accaduto a partire dalla fine dei trascorsi anni ‘60 non è perciò certo paragonabile alle devastazioni appena citate, ma ha avuto e ha le sue conseguenze negative.
Cosa è successo quarant’anni fa? È presto detto: il rione è diventato di moda. Questo ha significato il progressivo allontanamento dei vecchi abitanti, il nascere di un’infinità di ristoranti e locali à la page, l’arrivo serale e notturno di masse di turisti e di residenti di altri quartieri che, ansiosi di divertimenti, “calano” in ogni stagione nel rione per disperdersi nei suoi vicoli e nelle sue piazzette. Niente di diverso - dirà qualcuno - da quello che succede in ogni grande città che abbia un quartiere caratteristico. Ultimamente però alla “piaga” della movida serale se ne è aggiunta un’altra: quella personificata da un plotone o da una truppa (non so quanti siano) di imbecilli che si divertono a insozzare i muri di case, palazzi e chiese secolari con scarabocchi illeggibili.
Andate in piazza Santa Maria, andate in via dell’Arco di San Callisto, andate in piazza Sant’Apollonia. Andate dove volete, dappertutto vedrete sgorbi di tutti i colori, ghirigori indecifrabili che testimoniano il passaggio di un demente il quale non trova altro modo di impiegare il suo tempo che non sia quello di lasciare una traccia difficilmente cancellabile del vuoto che ha in testa. Writer si autodefiniscono questi vandali, perché oggi non c’è idiota che non tenti di nobilitare le sue banali attività affibbiando loro un termine inglese. Intendiamoci, di scritte sui muri se ne sono lette sempre e, anzi, è grazie ai graffiti di Pompei che sappiamo molto di come si svolgeva la vita in quei tempi e dell’evoluzione che ha portato il latino a diventare la lingua nella quale mi sto esprimendo. Ma di scritte si trattava appunto, frasi, locuzioni, parole sistemate in una sequenza significante, magari sgrammaticata, ma che esprimeva un pensiero, anche il più primitivo. E invece questi lombrichi grafici, questi tratti contorti, questi aborti figurativi, che diavolo significano? Qualcuno dice che a lavorarci di fantasia si possa leggere in quei segnacci il tag ossia il nome di battaglia dell’imbrattatore. Il nome appunto, anzi lo street name (poteva mancare la definizione inglese?), perché l’asino munito di spray non riesce ad andare oltre: incapace di produrre una frase, sia pure bieca, insozza tutto quello che può con uno pseudonimo illeggibile.
Per questo e per altri fatti vissuti a Roma che non sto qui a raccontare, concludo come ho iniziato: con una citazione. Che però mi permetto di parafrasare. “Wie schön wäre Wien ohne Wiener!” canta quello straordinario cabarettista che è Georg Kreisler. Consentitemi allora: quanto sarebbe bella Roma, senza i romani!

(2006-4 pg 16)

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