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Il palazzo della discordia

Due ministeri si contendono le sale di uno degli edifici più belli del barocco romano

Seit 50 Jahren ist es ein Wechselspiel von kafkaesken Ausmaßen, das vom Kultur- und Außenministerium ausgetragen wird. Die Verantwortlichen verhindern den Umzug der Städtischen Pinakothek mit ihren verschiedenen Museen, in die sie im Moment aufgeteilt ist, in die Räume des Palazzo Barberini. Dort befindet sich stattdessen der "Circolo Ufficiali delle Forze Armate".

Corrado Conforti

Se vi capitasse quest’estate di fare un salto a Roma, magari per rendere omaggio al nuovo papa bavarese, vi consiglio di dedicare almeno mezza mattinata alla visita di Palazzo Barberini, uno dei capolavori del barocco romano, alla cui edificazione hanno collaborato, fra gli altri, i due grandi rivali – uno fortunato, l’altro assai meno – dell’architettura dell’epoca: Gianlorenzo Bernini e Francesco Borromini.

Dell’edificio vi stupiranno la sua armoniosa facciata a tre ordini, la magnifica scala elicoidale interna e la preziosa collezione di quadri ospitata nelle sue splendide sale. Vi stupirà ancora, se lo percepirete, un penetrante profumo di rosticceria che a volte si avverte all’ingresso. Invano però, poiché certi odori stuzzicano l’appetito, cercherete di soddisfare l’acquolina che nel frattempo vi sarà venuta in bocca.

Il palazzo non dispone di un punto di ristoro, e quel profumo ha tutt’altra provenienza: proviene da quello che è il Circolo Ufficiali delle Forze Armate (una sorta di club per i nostri valorosi graduati) la storia della cui presenza nel prezioso edificio meriterebbe la penna di un Kafka.

Con vostro rammarico, dovrete accontentarvi della mia. Il palazzo fu acquistato dallo Stato nel 1949, con l’intenzione di collocarvi la pinacoteca cittadina, attualmente collocata in vari musei. Proprietaria dell’edificio era stata, fino a quell’anno, la famiglia Barberini, famosa per aver dato alla Chiesa un celebre pontefice, Urbano VIII, e per un epigramma apparso anonimo: Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini (Quello che nonfecero i barbari, fecero i Barberini) con quale si rimproverava al nominato papa di aver spogliato il Pantheon dei suoi bronzi, per costruire con essi il baldacchino di S. Pietro. L’illustre famiglia aveva affittato nel 1934, con un contratto ventennale, una parte dei locali del palazzo al suddetto circolo. Nel 1953 gli ufficiali avrebbero dunque dovuto lasciare le preziose sale, ma, non essendo riusciti in 14 anni a trovare al circolo una sistemazione alternativa, furono generosamente gratificati dallo Stato, con un prolungamento di 12 anni del contratto di locazione. Il 1965 avrebbe dunque dovuto essere l’anno del trasloco. Avrebbe dovuto, ma non lo fu. Il circolo rima-se nel palazzo. Non solo. Smise anche di corrispondere allo Stato il canone di affitto, benché avesse iniziato già da parecchi anni ad affittare le sue sale a privati per feste e ricevimenti (i genitori di chi scrive, per esempio, festeggiarono lì nel lontano 1950, il loro matrimonio). Ma i tempi cambiano.

Nel 1974 viene creato, distaccandolo da quello della Pubblica Istruzione, il Ministero dei Beni Culturali, e il primo titolare del nuovo dicastero, il battagliero senatore Giovanni Spadolini, scrive un’agguerrita missiva al collega della Difesa, avvertendolo che la situazione ha ormai ampiamente superato i pur elastici italici limiti della tollerabilità. I tempi cambiano, dicevo, ma non necessariamente in meglio. Poche settimane dopo l’invio della lettera il governo cade e il senatore si trova senza ministero. O meglio senza quello che fino a quel momento aveva diretto. Infatti gliene viene affidato un altro. Quale? Indovinate. Bravi: quello della Difesa. E così il battagliero senatore si trova a rispondere alla sua stessa lettera (per questo ho parlato di Kafka) respingendo l’ultima-tum che egli stesso si è posto. La storia potrebbe finire qui, ma, si sa, al ridicolo non c’è limite.

Ventitré anni dopo, Walter Veltroni, attuale sindaco di Roma e, allora, ministro dei Beni Culturali, in quello che è l’unico governo di sinistra che l’Italia abbia avuto dopo la Seconda Guerra Mondiale, pare riuscire a risolvere la questione. Per il circolo si trova una nuova sede di prestigio, la palazzina Savorgnan, collocata nei giardini dello stesso palazzo (il che semplificherà il trasloco), nella quale si avviano immediatamente i lavori di restauro. Restauro il cui prossimo completamento dovrebbe preludere al tanto atteso trasloco. Sarà questa la volta buona? Macché! L’attuale ministro della Difesa, Antonio Martino, contesta l’accordo, in quanto stipulato da un’alleanza politica "di principio non favorevole alle Forze Armate”, il rinnovato prestigio delle quali invece (la missione in Iraq, N.d.R.) le fa degne di nessun’altra sede che non sia quella occupata da settant’anni. Insomma, la pinacoteca può attendere. Ma - vi chiederete – e la intanto restaurata palazzina Savorgnan? Il ministro reclama anche quella come dépendance del circolo. Dite la verità: se rinasceste non vorreste rinascere italiani? Magari
ufficiali dell’esercito.

(2005-3 pag 17)

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