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Le mot de Cambronne

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 13 ottobre 2011.
La straordinaria carriera militare di Pierre Jacques Étienne Cambronne inizia nel 1792, quando il ventiduenne bretone si arruola volontario nel corpo dei granatieri. Nel giro di pochi anni, partecipando alle guerre napoleoniche, sale tutti gradini della gerarchia militare, fino a ottenere, sul campo di battaglia di Hanau, il grado di generale. Segue poi Napoleone all'Elba e durante i Cento Giorni, e con l'Imperatore partecipa all'ultimo atto della grande avventura napoleonica sul campo di Waterloo dove Cambronne passa dalla storia alla leggenda. Circondato dagli inglesi, rifiuta di arrendersi, nonostante questi, a riconoscimento del suo straordinario valore, quasi lo implorino.

“La guardia muore, ma non si arrende” pare abbia pronunciato in quell'occasione. Infine, spazientito dalle esortazioni degli avversari che non vogliono lasciarlo morto sul campo, “Merde!” grida all'indirizzo dei britannici, cadendo poi colpito da ripetuti colpi di fucile.

Cade, ma non muore Cambronne e, a questo punto, come già detto, entra nel mito.

Ma non a causa del suo coraggio, del suo patriottismo, della sua fedeltà all'Imperatore. No, Cambronne passa dalla storia alla leggenda a ragione di quella parola che, se uno dei tanti colpi ricevuti fosse stato mortale, sarebbe stata l'ultima della sua vita. Anzi, grazie a lui, questa addirittura perde il suo portato corporale, la sua sostanza bassamente materiale per divenire “le mot de Cambronne”, la parola di Cambronne, come dicono i francesi, nobilitata dal fatto di essere stata pronunciata da un eroe. Victor Hugo è il più prodigo di lodi per generale bretone, ed è quello che, anche in virtù del suo straordinario talento letterario, si diffonde più d'ogni altro sull'episodio. Nel XV capitolo della seconda parte de “I miserabili”, il grande scrittore eleva addirittura un monumento al generale napoleonico, dichiarandolo l'unico vero vincitore di Waterloo. “Dire quella parola e poi morire: - scrive - cosa v'è di più grande? Poiché voler morire è morire e non fu colpa di quell'uomo se, mitragliato, sopravvisse. Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone messo in rotta, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque è disperato, non è Blücher che non ha affatto combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una parola simile il nemico che v'uccide, significa vincere” *.

Recentemente il signor B., che sta a Cambronne come una zecca sta a Leonardo da Vinci, parlando al telefono con uno dei tanti gaglioffi e avventurieri coi quali è solito intrattenersi, ha usato “le mot de Cambronne” per definire il paese nel quale è nato e del cui governo, per nostra disgrazia, è capo.

Non si capisce tanta stizza da parte del signor B. né tanto livore verso un paese al quale egli ha fornito un contributo fondamentale per renderlo quello che è diventato: una nazione che in moltissime occasioni merita indubbiamente la definizione della quale lui l'ha gratificata. Perché un paese in cui l'atto di falsificare un bilancio (al fine ovvio di evadere il fisco) è stato depenalizzato; in cui i tempi di prescrizione sono stati drasticamente ridotti affinché il signor B. potesse salvarsi dai suoi processi; in cui una obbrobriosa legge elettorale impedisce ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti; in cui una soubrette qualsiasi passa dalle foto soft porno di un mensile al primo ufficio di un ministero solo perché nelle grazie del capo del governo, è indubbiamente un paese di m... Ed è ancora un paese di m... quello in cui chi dovrebbe perseguire il bene comune, coltiva invece il suo privato interesse, non solo nella ricerca del proprio arricchimento, ma nella stessa destinazione del proprio tempo, dedicato alla frequentazione di prostitute e al corteggiamento di ragazzine delle quali il signor B., vanesio settantenne, potrebbe essere il nonno. Ma i danni peggiori prodotti dal signor B. sono culturali. Il mito del denaro, il disprezzo della cultura e di ogni regola, l'elevazione della pacchianeria a valore, il trionfo della volgarità, costituiscono un veleno del quale si è accorta persino (e tardivamente come sempre) Santa Romana Chiesa.

Ma quello che scandalizza il signor B. non è ovviamente lo spettacolo di quanto egli ha prodotto, bensì il fatto che una magistratura coraggiosa cerchi di rimediare al male fatto, portando il vento della legalità là dove ristagnano i miasmi di quel letamaio morale, politico e perfino estetico che è stato il quasi ventennio in cui il signor B. ha dominato.

“Dal letame nascono i fior” ci ricorda de André. Chissà che per reazione morale o per disperazione, la materia maleodorante nella quale gli italiani sono immersi non serva a produrre qualcosa di migliore dell'Italia che abbiamo finora conosciuto.

Il signor B. è comunque già passato alla storia. E, al pari di Cambronne, per una parola. Il generale per averla pronunciata, lui per averla sostanziata in ogni sua azione.

* I miserabili, traduzione di Renato Colantuoni

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