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Quando ero cretino

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 5 febbraio 2020.
Ah l'adolescenza! Più me ne allontano e più la rimpiango: quell'età di sogni, di fantasie infinite, di esplosioni emotive. In quei pochi anni nascono i primi amori, le prime passioni; si scopre il mondo al di fuori dei confini della propria famiglia e soprattutto si scopre di averne uno dentro di sé. È un'età, volendo parafrasare Kierkegaard, di timori e tremori, ma anche di slanci. È un'età di tenerezze, ma al tempo stesso di conflitti, e non c'è genitore che non rammenti le impertinenze dei  figli in anni che i padri spesso ricordano, riferendoli alla propria prole, come anni ingrati.

La mia è stata la generazione che assai più di quelle che l'hanno seguita si è ribellata alle consuetudini. Siamo nati e cresciuti, noi gli adolescenti di allora, nel benessere, e non potevamo capire i comportamenti prudenti di quelli che ci avevano generato. Né comprendevamo i loro gusti: quelle canzoni melense cantate con un filo di voce da cantanti che si presentavano in scena come se andassero a un colloquio di lavoro: perfettamente pettinati e vestiti in abiti dai colori spenti. A noi piacevano il beat, i capelli lunghi, le camicie a fiori. A noi piaceva provocare. E anche aggredire. Ma questo già quando eravamo un po' più grandi, quando, qualche anno dopo, alla fine degli anni '60, incontrammo la politica. Ma fu la carica di rancore accumulata negli anni precedenti che ci fece decidere per atteggiamenti e, a volte, anche per comportamenti, estremi.

Va detto però che quella "belle époque" della nostra esistenza è anche un periodo in cui si commettono un'infinità di sciocchezze, alcune delle quali possono riverlarsi fatali, perché in quegli anni in cui la vita esplode non si crede che questa possa, per un gioco, per un passo falso, per un momento di stolta temerarietà, trasformarsi in tragedia. E non sono poche le famiglie che, negli anni in cui i figli escono dall'infanzia, conoscono il più doloroso dei lutti, nato questo spessissimo da una stupida imprudenza, da una scommessa, dal voler mostrare agli altri e a se stessi la propria forza, il proprio coraggio, il non essere più un bambino. Perché anche questo è l'adolescenza: il volersi mostrare adulti, l'emanciparsi dalla fanciullezza. E allora ecco gli atteggiamenti spavaldi e il linuaggio da carrettieri. Cosa che irrita gli adulti, anche quelli che ricordano di non essersi comportati diversamente in quell'età difficile.

Mi viene in mente a questo proposito l'irritazione di un mio coetaneo, padre di un ragazzino il quale effettivamente superava nei comportamenti e nel modo di esprimersi i limiti della ragionevolezza e della decenza. Alle sue lamentele, la madre, portata come ogni mamma a difendere il figlio, disse a un certo punto al marito: "Ma anche tu avrai fatto qualche sciocchezza quando eri ragazzino!". Al che il padre con estrema calma rispose "Sì, ma non quando ero ragazzino: quando ero cretino".

Ecco, quando ero cretino, anch'io ho fatto qualche cretinata e ne ricordo una in particolare che, allora tredicenne, ripetevo insieme a un mio coetaneo.

In una parte del mio quartiere, dove quasi non c'erano negozi e dove dunque per strada non stazionava nessuno, ci divertivamo a suonare ai citofoni. "Buon giorno signora (o signore) – dicevamo, anzi dicevo, perché ero io il più sfacciato – siamo operai dell'Acea. Ci è stata segnalata una mancanza d'acqua in questa zona. Può controllare se da lei il servizio funziona?". Quando poi la signora (o il signore) ritornava per rassicurarci, io la/lo invitavo a sciacquarsi, con quell'acqua, una certa parte anatomica che vi lascio immaginare. Ecco, tutto qui, niente di pericoloso ma semplicemente di stupido, di infantile, anzi, di adolescenziale. In fondo avevo solo tredici anni.

Ne ha invece quarantatré un bellimbusto senza nessuna formazione e che svolge a tempo pieno l'attività di mestatore, il quale, qualche giorno fa a Bologna, è andato anche lui, come il sottoscritto di allora, a suonare a un citofono, ma non per fare uno scherzo, cretino ma in fondo innocuo, bensì per farsi grande agli occhi del popolino ansioso di linciaggio che lo seguiva. Il nullafacente (così si definì egli stesso in altri tempi), con la burbanza che lo connota, ha chiesto al ragazzo di 17 anni che ha risposto al citofono, se svolgeva davvero l'attività di spacciatore di droga. Per questa guasconata  il cialtrone si beccherà una querela che io spero si concluda con una condanna, penale ovviamente, perché quella morale purtroppo non è partita da tutti, giacché il gaglioffo, in un'Italia ormai alla canna del gas, gode di un certo seguito. E tuttavia quella citofonata ha probabilmente contribuito a fargli perdere le elezioni regionali in Emilia Romagna, elezioni che lui credeva di aver già vinto e che invece ha perso, perché un buon numero di elettori gli ha tirato una bella secchiata d'acqua fredda, metaforica si intende, e non reale come quella che invece un giorno mi arrivò, dopo l'ennesima citofonata, e che mi fece perdere la cattiva abitudine di quei giorni, quando ero cretino.

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