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Categoria: Dall'Italia
Pubblicato Martedì, 07 Febbraio 2023 15:13

Randelli d’Italia

"Se non li conoscete, guardateli un minuto, li riconoscerete dal tipo di saluto"

Corrado Conforti

Monaco, 7 febbraio 2023.
Così cantava Fausto Amodei nel lontano 1972, mezzo secolo fa, in anni forse più difficili di quelli attuali, ma certamente più vigili. Lui, Amodei, quei “riconoscibili” li aveva conosciuti: quelli veri, non la triste replica che si muoveva quando lui scrisse la canzone della quale ho citato l'incipit. Probabilmente era cresciuto insieme a loro, anzi sarà stato certamente inquadrato nella prima delle loro lugubri organizzazioni, quella che obbligava i bambini a vestirsi come beccamorti e a marciare portando in spalla un moschetto di legno. 

Amodei è nato nel 1935 ed era un bimbo quando dieci anni dopo, alla fine di aprile nella sua Torino, a un certo punto li ha visti sparire tutti, ingoiati dalla loro congenita codardia: una replica di quello che era già successo il 26 luglio di due anni prima, quando il loro capo era stato fatto arrestare da un re la cui statura morale era pari a quella fisica e che con quell'atto cercava di salvare se stesso e la sua squalificata dinastia. Anch'io quegli uomini li ho conosciuti, ma quando ormai erano imbolsiti e attempati, e tuttavia grazie all'esistenza di quello Stato di diritto che anni prima avevano abbattuto e che dal '43 al '45 insieme ai loro alleati nazisti avevano continuato a combattere, loro, quei miserabili, potevano ancora esibire, senza pagarne le conseguenze, lo stesso disprezzo per la democrazia e per i principi di uguaglianza e di libertà. 

Ma in quegli anni, che sono gli stessi della canzone di Amodei, erano soprattutto i loro figli, a volte biologici a volte solo ideologici, a minacciare la convivenza civile. E io me li ricordo bene, e avevo imparato a riconoscerli proprio guardandoli, perché, che ci crediate o no, erano soprattutto le loro facce ottuse e odiose a renderli riconoscibili, anche se, e questo va detto, una simile ottusità si poteva leggere anche sui volti di quelli che in quegli anni si schieravano nel campo opposto al loro.

Forse il sistema decimale ha una sua fatalità o forse contiene regole delle quali non siamo a conoscenza, perché cinquant'anni dopo la loro presa del potere, quei “riconoscibili” si riaffacciarono sulla ribalta politica, e oggi, a un secolo di distanza dal triste carnevale grazie al quale andarono al governo (ma solo grazie alla complicità di uno Stato guasto e di una classe dirigente inetta e codarda), eccoli di nuovo al potere esibendo la stessa arroganza e la stessa ottusità che li caratterizza da cent'anni. A guidarli è oggi una donna che sembra essersi formata politicamente nelle assemblee di condominio e che già alla terza parola dei suoi discorsi, urla come se vendesse il pesce in un mercato rionale; la sua classe dirigente (vale a dire i suoi scherani) è formata da individui dello stesso calibro e dagli stessi comportamenti, quelli con i quali, alzando la voce, tentano di prevaricare le persone con cui si confrontano, persone che per loro non sono mai interlocutori e nemmeno avversari, ma sempre nemici da randellare di decibel, nell'attesa forse di poterli randellare veramente, magari per indiretta persona grazie a una polizia che a mia memoria è sempre stata loro complice. La loro ideologia è quella della prepotenza, la loro pratica è lo squadrismo. Sono, volendoli definire con una sola parola, dei fascisti. Questo e nient'altro.

Quando facevo il liceo, lessi o forse qualcuno mi disse, che Benedetto Croce aveva definito il fascismo “un male dello Spirito”; qualche anno fa Umberto Eco in un suo opuscolo parlò invece di “fascismo eterno”, attirandosi le critiche di qualche accademico. Io credo che né il filosofo abruzzese né il semiologo piemontese avessero torto, anzi io credo che con le loro definizioni abbiano sviscerato la sostanza del fascismo che è sì storica, ma che soprattutto è umana, biecamente umana. A mio avviso il fascismo è la forma politica di una degenerazione dello Spirito che produce e predica sopraffazione, violenza e razzismo. L'infelice triade appena nominata non è certo apparsa in Europa per la prima volta cento anni fa, ma solo a partire dal 1919 ha rivendicato la sua supremazia e si è fatta metodo e dottrina, promettendosi di cancellare quanto di meglio la civiltà europea aveva prodotto dai Greci all'Umanesimo, da Kant a Bertrand Russel.

Oggi nella nostra Italietta, che resterà tale fin quando non si emanciperà da un passato vergognoso del quale invece non sa vergognarsi, avremo individui del calibro di quel povero untorello che recentemente ha mostrato di intendere il Parlamento come una ribalta nella quale esibire il suo livore antidemocratico e la sua attitudine alla calunnia, sostenuto in questo da un suo compagno di merende littorie e dallo stesso capo del suo partito che troppo rapidamente è passata dalla tradizione squadristica a un ruolo troppo grande per lei. Finché le cose resteranno così, noi che coltiviamo il dubbio e spregiamo le certezze granitiche, dovremo ripeterci quegli altri versi di Fausto Amodei, quelli che dicono: uguale è la canzone che abbiamo da cantare, scarpe rotte eppur bisogna andare.

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