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Categoria: Cultura
Pubblicato Lunedì, 06 Dicembre 2010 10:30

Resistenza e verità

un dibattito ancora tutto da fare

Über die Geschichte Italiens in der Zeit zwischen 1921 und 1945 muss heute erneut nachgedacht werden. Jedem muss bewusst werden, welche Gefahren entstehen, wenn Demokratie missbraucht wird. Nichts ist schlimmer als der Verlust der Freiheit, ohne die es auch kein richtiges Leben geben kann.

Miranda Alberti

Esistono due modi efficaci della comunicazione per affossare, celare, dimenticare un fatto non importa che sia di storia o di cronaca: il primo è parlarne troppo, il secondo è non parlarne affatto.

Alla Resistenza italiana contro l’occupazione nazifascista, sono accadute ambedue le cose, non c’è quindi da meravigliarsi se questo periodo della nostra storia che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 è diventato oggi oggetto di incursioni senza scrupoli da parte di coloro che vorrebbero strumentalizzarlo ai propri scopi elettorali.


Un troppo che adombra la verità: per me che sono nata proprio un 25 aprile in una famiglia storicamente di sinistra, che si definiva “garibaldina” per via del bisnonno Domenico che era un giovane seguace di Garibaldi e per via del prozio Massimino che era impegnato nella brigata Garibaldi a combattere contro “i tedeschi” nelle valli di Filo e Longastrino, per me, dicevo, non c’erano che partigiani al mondo! In effetti, sembrava che tutti si dessero un gran da fare a parlare solo di Resistenza, tutti anche coloro che mai vi avevano partecipato, anche coloro che ancora avrebbero voluto alzare il braccio per un baldo saluto romano, anche coloro che per paura o per convenienza avevano collaborato con gli occupatori. In questo clima festante si andava adombrando sempre più la domanda fondamentale sulle responsabilità politiche e civili del fascismo italiano e su quel popolo e su quella classe dirigente che per vent’anni ne aveva sostenuto e accettato la dittatura. La vittoria del movimento di liberazione, che poi fu dura guerra e guerra civile, coinvolse in un anelito catartico tutti i 55 milioni di italiani, complici e oppositori, che così si ritrovarono insieme apparentemente rappacificati nella nuova repubblica.


Trait-d’union di questa riscoperta solidarietà fu un diversamente inteso nazionalismo trascinato da una sostituzione linguistica che metteva troppo spesso, al posto di un corretto “nazifascisti”, quello di “tedeschi”, sostituzione che faceva sparire miracolosamente non solo la componente “fascista” delle persecuzioni e delle stragi commesse in quei due durissimi anni, ma anche quel ventennio precedente che aveva portato a tanto orrore.

Non si trattava soltanto di rilevare le responsabilità individuali dei liberticidi, ma di avviare, con queste, una riflessione storica sul “come era stato possibile”, una riflessione autocritica dell’intera società italiana sul suo rapporto con la democrazia. L’autocritica, si sa, non è un esercizio facile e richiede coraggio e determinazione etica, e in questo, evidentemente, non siamo dei campioni, anche se possiamo dire di essere in buona compagnia. Non si tratta oggi di giudicare, col senno del poi, quegli anni drammatici, ma di capirne a fondo le cause e di leggere chiaramente, senza veli buonistici, i fatti che si sono verificati. Invece? Invece, al posto di una comune “presa di coscienza” del nostro passato, si è preferito stendere un velo pietoso che quella coscienza ha del tutto oscurato.

 

Nell’oblio è finito il ventennio con tutti i suoi corresponsabili e la Resistenza ha fornito il velo sotto cui nascondersi. Così scriveva nel 1979 R. Romeo: “La Resistenza, valorizzata nei termini di un sia pur ipotetico “secondo Risorgimento” consentiva (…) di stabilire solidi collegamenti con la più prestigiosa tradizione nazionale. In tal modo i conti con il passato fascista furono fatti in Italia assai rapidamente con il generale oblio di tutte le responsabilità e di tutte le colpe, presto e universalmente assolte come veniali.” (in C. Pavone, Una guerra civile, pag. 561)


Di questo oblio approfittano, indebitamente, oggi i nostalgici che estraggono acriticamente quel “paio di cose buone” che sarebbero state fatte dimenticando volutamente la verità storica. È necessario, dunque, conservare e coltivare la memoria della Resistenza senza reticenza alcuna, ma accanto a quella la scomoda memoria della dittatura fascista che l’ha provocata. È necessario sapere che gli italiani hanno prodotto sia l’una che l’altra, ed è necessario saperlo per evitare che sia l’una che l’altra si ripetano.

2008-2 pg 18

 


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