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L’angelo che guida la mia mano

Dopo il successo ottenuto con "Il libro segreto di Dante" Francesco Fioretti ci concede un'avvincente anteprima del suo nuovo libro

Due parole su un libro non ancora pubblicato, ma che ho avuto la fortuna di conoscere molto sommariamente dall’autore stesso. Francesco Fioretti ha parlato in anteprima all'incontro mensile di letteratura spontanea di maggio. Il titolo è : “Il quadro segreto di Caravaggio”, sulla scia del suo primo libro, presto diventato un inaspettato bestseller. La copertina è del bellissimo e sfortunato quadro "San Matteo e l'angelo", prima ritenuto scandaloso e rifiutato dai sacerdoti di San Luigi dei Francesi e poi distrutto dai bombardamenti degli americani a Berlino. Purtroppo non esiste più il quadro originale, ne restano solo fotografie in bianco e nero. Il libro invece è ancora tutto da scoprire. Ho letto solo queste due pagine, che trovo bellissime. Aspetto con ansia di poter leggere presto tutto il resto. (Giulio Bailetti)

 

Caravaggio, San Matteo e l’angelo (già Berlino, distrutto nel bombardamento del 1945, Kaiser Friedrich Museum).

(Dal nuovo libro di Francesco Fioretti Il quadro segreto di Caravaggio)

  ... E adesso, per favore, smettetela di tormentarmi una volta per tutte con le vostre perversioni! E con la vostra morbosa curiosità di sapere Caravaggio da che parte fosse… Il sesso di Caravaggio, insomma! Se amava gli uomini, o le donne, o i ragazzini, o i vecchi, o le lucertole… In fondo cosa v’importa? Mettiamoci d’accordo: voi siete miei ammiratori?

   Allora direte che amo le donne, se anche voi le amate, che sono un sodomita, se anche voi lo siete. E viceversa se mi detestate: in tal caso mi attribuirete gusti sessuali opposti ai vostri, come Gian Coglione da par suo… Va bene così? Siamo intesi?

 

   E che c’entrerà mai tutto questo con la mia pittura? Siete voi che confondete le due cose, non io. Mi avete dato del pedofilo solo perché ho dipinto ragazzini nudi che traboccano di sensualità. Ma ho ritratto anche la sensualità di certi vecchi, e non mi avete dato mai del gerontofilo: e invece, scusate, lo rivendico! Io amo i vecchi… E guardate com’è sensuale quel ramarro di una mia tela giovanile: che non fossi per caso anche un ramarrofilo latente? Una volta ho dipinto una natura morta, un cesto di frutta che trabocca anch’esso di decadente, languida sensualità, e certo amo la frutta,lo confesso apertamente: correte allora subito a dire in giro che mi buggero gli alberi di fico sul fare dell’autunno quando grondano di frutti! Smettetela una buona volta di torturarmi con le vostre manie, con la vostra ossessione per le faccende genitali…Ho amato di tutto, ve ne do atto, adoro la bellezza, senza eccezioni: la bellezza di una ragazza distante con lo sguardo di vetro, di una madre stanca e premurosa, di un fanciullo imberbe mezzo bimbo mezzo uomo, di un boia nerboruto con i piedi sporchi, di un vecchio scarno chino su un libro a meditare la morte, e i grappoli d’uva sul punto di marcire, l’edera che s’arrampica ai muri scalcinati… A volte mi fermo per strada e guardo la gente, e qualcuno più egocentrico degli altri pensa male a sentirsi osservato così. Se dovessi aver fatto l’amore con tutti quelli che mi sono piaciuti potreste dire tranquillamente che sono un pansessuale…

  Non mi capite, vero? Per voi l’amore è come la logica di Aristotele: A, o non-A. Per me era cosa diversa e forse, lo ammetto, più confusa, era un istinto ad abbracciare il mondo, a buttarmi a peso morto in un amplesso universale… Ma una cosa di me la so anch’io, ha a che fare con la mia pittura e ve la posso rivelare con assoluta certezza: non ho mai percepito alcuna differenza tra la spiritualità e quella che voi chiamate banalmente “sensualità”. Per me, sì, sono la stessa cosa: il corpo è l’alfabeto dell’anima, l’unico materiale con cui lo spirito può lavorare per esprimersi ai nostri occhi. I pittori usano il colore, gli scrittori delle parole fatte d’aria e che si possono copiare con la penna: lo spirito invece per disegnare adopera la carne, altri mezzi non ha. Non posso dipingere l’anima, se non trovando il modo in cui si manifesta nelle pose, nei gesti, nelle espressioni di un volto, nella luce di uno sguardo, nell’apertura di una mano… Tutto questo non ha necessariamente a che fare, come dite voi, con il desiderio… Quella che voi chiamate sensualità, per me era la scrittura di Dio, un corpo magro e scavato dagli anni è la voce della stanchezza dell’anima, i seni troppo gonfi di una madre sono l’eccedenza di sé che si dona agli altri, qualcosa di molto simile all’amore; il corpo muscoloso ma ancora implume di un adolescente, qualcosa che invece somiglia alla speranza, a una gioia prorompente di vivere proiettata sull’abbondanza di futuro di cui ancora un giovane dispone.

   Mi piacciono in particolare i momenti di transizione, l’attimo sospeso poco prima della metamorfosi, la frutta al colmo della maturazione e già sul punto di marcire, il ragazzo poco prima di diventare adulto, il martire nell’attimo in cui muore. Sono attratto dai mutamenti di stato, se potessi farei muovere tutte le mie figure. Adoro le trasfigurazioni, mi affascina il momento in cui una cosa è ancora se stessa, ma in procinto di diventare altro, l’istante subito prima dell’azione.

   Dicono che ho saputo dipingere come pochi altri la banalità del male, nei volenterosi carnefici della Passione, con i loro muscoli inespressivi come macchine, gli sguardi anonimi, concentrati sui dettagli tecnici, la loro orgogliosa manualità. Perché così è il boia, così è il Bargello quando dirige una tortura: credete che piantare nel terreno un asparago o una croce sia così diverso per chi lo fa? Quello che diresse i lavori su Beatrice Cenci era un professionista ineguagliabile, pieno di attenzioni per le sue vittime.

   Quando parlava del suo lavoro, alla Torretta, ti faceva venire quasi voglia di farti torturare da lui, che brav’uomo… Come aveva palpeggiato bene la giovane Cenci, sui seni nudi, sulle spalle gracili, con quanta delicatezza le aveva voltato le braccia dietro il corpo prima di tirarla su alla corda, senza strattonare, e aveva accompagnato il suo sollevamento prendendola con le cosce sulle sue spalle, per evitare che le articolazioni cedessero troppo rapidamente, o che peggio, le si spezzasse la schiena… Come fosse sua figlia, quasi… In fondo la tortura è un atto d’umanità, non deve uccidere l’imputato, serve solo a estorcergli una confessione, quanto prima tanto meglio, per evitare poi quei fastidiosi sensi di ingiustizia subita che potrebbero prendere la vittima se andasse a morire con la sensazione d’essere innocente… Ho dipinto così i carnefici di Cristo, non ho mai visto in giro delle facce con su scritto “io sono il male”. Mai trovati in natura cattivi tutti cattivi e buoni tutti buoni… Se volete facce da cattivi e da buoni, caricature angeliche o demoniache della vita, rivolgetevi a Baglione, non a me. Vi piacerebbe, vero, che il Male fosse impresso sui volti, che vivere fosse semplice come la logica aristotelica…

   A volte mi sentivo come il primo San Matteo e l’angelo che avevo dipinto per San Luigi dei Francesi, e che fu rifiutato perché sospettato d’eresia. Lo comprò subito Vincenzo Giustiniani, che sapeva già che un’opera, che m’era stata rifiutata per questioni ideologiche, valeva per questo stesso motivo più di qualsiasi altro mio dipinto. Il vecchio e il bambino, l’angelo che guida la sua mano. Matteo scrive, ma è l’angelo che scrive. Così poteva sembrare che attribuissi troppo peso all’ispirazione divina, troppo poco al libero arbitrio, una variazione scandalosamente eversiva sul tema, allora in voga, della grazia…

  L’angelo è Cecco, l’avete sicuramente riconosciuto, che a quel tempo era ancora poco più che un bambino. Il vecchio dovrebbe saperne più di lui, dovrebbe essere lui l’insegnante, e invece si lascia guidare, perché è il bambino in realtà che ne sa di più: il bambino sa l’innocenza, che il vecchio ha disimparato; sa la spontaneità, che il vecchio non conosce più; sa la gioia di esistere, e il vecchio ne ha smarrito la memoria. Mentre l’angelo guida la sua mano, il vecchio ha l’espressione attonita, non capisce neanche lui cosa stia scrivendo. E sta scrivendo invece l’Euanghelìa, la buona novella: ma il bambino la sa bene, il vecchio non la riconosce più. A volte con Cecco mi sentivo così, lui era di un candore disarmante. I suoi genitori, milanesi, me lo avevano affidato e io ero tutto quello che aveva, suo padre e sua madre, il suo fratello maggiore, il suo maestro. Che l’abbia amato non c’è alcun dubbio, di che forma d’amore ve lo lascio immaginare. Ero vivo, ma avevo sempre paura di dimenticarmelo…

   Gli ho insegnato la pittura, lui ha guidato la mia mano, ecco tutto. E non dite che a voi non è mai capitato, da padri, da madri, o da maestri, mentre insegnavate a un bambino cosa lui sarebbe diventato, di averne imparato a vostra volta cosa siete stati voi. Ho immaginato così la Rivelazione: un pargoletto che non sa scrivere e che ve l’insegna. Vi insegna, cioè, a non saper scrivere… Non è che quel mistero per cui, per il fatto stesso di dare, v’è sembrato a volte di ricevere di più. Ad accoglierla, si tratta dell’umiltà di farsi piccoli, di farci insegnare da chi non ne sa nulla. Trovate qualcosa di eretico in questo? Di scandaloso? O forse erano solo le voci che il Coglione aveva messo in giro, il fatto stesso che nel dipinto ci fosse ancora Cecco, e un “imbarazzante” contatto fisico tra il vecchio e il bambino…

   Alla fine però c’era lei, lo confesso, che ho amato più di tutto, più di Cecco e di Menicuccia, più dei loro volti e delle loro trasfigurazioni. E ci ho fatto l’amore, anche, come in un bagno mistico, l’ho baciata rotolando sui prati nel meriggiare estivo, danzando tra le sue braccia in un amplesso cosmico… Ho amato lei più di tutto: la luce, la cosa più enigmatica che ci sia in natura, il suo flusso discreto, la sua invadente riservatezza. Ho amato il modo in cui accarezza le cose, il suo fragoroso silenzio, la sua quiete violenta e vertiginosa. La luce che passa attraverso un foro e proietta l’imago capovolta degli oggetti sulla tela… La luce che si porta in giro i colori delle cose, e lo fa anche dove non inciampa in nessun occhio, in nessuna camera  oscura… La luce, messaggera del visibile, che esiste per sé, e quando non ci saranno più occhi ad accoglierla continuerà a viaggiare lo stesso nei cieli senza alcuno scopo… È il più potente mistero dell’universo. Capiremo tutto con la nostra scienza, ma la luce mai…

   La luce, per me, era la voce di Dio.

Francesco Fioretti

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