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Categoria: Cinema
Pubblicato Mercoledì, 01 Dicembre 2010 07:54

Esordire con coraggio e speranza

Intervista a Giuseppe Tandoi, autore e regista del lungometraggio “La Città Invisibile” ambientato nello scenario di una LʼAquila post-terremoto

„La Città Invisibile“ (die unsichtbare Stadt) ist das erste Werk des jungen Regisseurs Giuseppe Tandoi, der mit einem in L'Aquila gedrehten Film debütiert. Mit leichtem und feinfühligen Ton erzählt der Film von einer Gruppe junger Menschen, die durch die große Tragödie des Erdbebens von 2009 berührt und verändert wurden. Dennoch wagensie sich voller Lebenswillen und  Hoffnung an einen Neuanfang.

Giuseppe Tandoi

Nausicaa Spinosa

Giuseppe Tandoi nasce il 21 gennaio 1982 a Corato (Bari) e fin dalle scuole superiori decide di intraprendere un percorso artistico studiando all’Istituto d’Arte di Corato.
Per la prosecuzione dei suoi studi sceglie L’Aquila come città universitaria e dal 2001 al 2007 è studente dell’Accademia dell’Immagine, centro d’eccellenza per la formazione di professionisti dello spettacolo.
Nel 2008 frequenta un Master a Roma in Gestione d’Impresa Cinematografica presso M.A.G.I.C.A. (Master in Gestione di Impresa Cinematografica ed Audiovisiva). Dal 2001 fino ad oggi si è occupato della regia di numerosi video per concerti e spettacoli dal vivo, oltre alla realizzazione di spot, cortometraggi e documentari. Dopo il sei aprile 2009, per contribuire alla ripresa dell’Aquila, ha organizzato dei laboratori di cortometraggio per i ragazzi delle tendopoli; nel 2010 esce nelle sale italiane il suo primo film, “La Città Invisibile”.

Pugliese di nascita, ma aquilano di adozione e per affetto, Giuseppe Tandoi era come tutti noi a dormire nella sua casa quando alle 3:32 di quella terribile e indimenticabile notte del sei aprile 2009 la nostra amata terra aquilana decise di impazzire e di urlare al buio ingoiando e travolgendo senza logica e senza motivo 308 dei nostri concittadini, amici, parenti, insieme a centinaia di case, monumenti, pezzi di storia, pezzi di memoria, storie di vita, storie quotidiane, storie d’amore e di famiglie. Da allora tutto è cambiato e tutti noi lo viviamo, molti lo sanno, pochi l’hanno visto, qualcuno crede che sia già tutto a posto... ma questa è un'altra storia. Abbiamo vissuto i giorni del dolore, dell’incredulità, della disperazione, della felicità di essere vivi e della paura di essere soli; abbiamo pianto, abbiamo riso, abbiamo trascinato in salvo la nostra vita e abbiamo cercato di essere normali pur sentendoci come naufraghi su una terra che all'improvviso sembrava non volerci più.

A un certo punto, poi, abbiamo iniziato a ritrovare la speranza. Ed è questa fase che il regista Giuseppe Tandoi ci racconta con delicatezza, profondità e leggerezza nel suo film d'esordio “La Città Invisibile”, dal luglio scorso in programmazione nelle sale italiane. Lasciamo che sia lui a raccontarci la sua storia.


INTERVenti (IV): “La città invisibile” è ambientato nel doloroso scenario di una L’Aquila post terremoto, ma tu hai scelto di raccontare la storia in chiave leggera, anche se pienamente consapevole: perché?

Giuseppe Tandoi (GT): Perché volevo raccontare la speranza e la voglia di ricominciare nonostante il dramma e le difficoltà del cambiamento. Il dolore è stato tanto e sempre in primo piano in tv e nei documentari; non ho voluto evitarlo, esso è, infatti, presente anche nel mio film. Impossibile cancellarlo. Volevo, però, che fosse più forte il coraggio di ricominciare anche attraverso un sorriso. Il racconto leggero, inoltre, arriva più facilmente al cuore degli spettatori, soprattutto a coloro che non hanno vissuto il dramma, senza spaventare o incupire troppo, e aiuta a trasformare meglio il dolore in commozione e speranza.
Ho pensato che, per dare il mio contributo alla rinascita, fosse più importante lanciare un messaggio di speranza che mitigasse la sofferenza vissuta, piuttosto che lasciare alla città un’ulteriore testimonianza di dolore.


IV: Di cosa parla il tuo film e quale messaggio vuoi lanciare?

GT: Parla di quattro ragazzi che cercano di rivivere la normalità di prima. C’è chi cerca di realizzare il sogno di sfondare nella musica rock raggirando ancora i genitori, come fa Luca, chi vuole riprendere gli studi interrotti e dare il massimo contributo alla propria comunità, ed è il caso di Lucilla, una timida studentessa di medicina, chi evade nei propri sogni romantici come fa Valeria, una ragazza un po’ snob, e chi, come Sorin, un ragazzo rumeno trasferitosi in Italia, cerca finalmente di integrarsi con gli italiani.
La vita in tendopoli, però, senza più privacy e con tanti disagi, li costringe a mettere in discussione i propri desideri e a chiedersi cosa sia veramente importante per loro. Il terremoto ha infatti permesso a tanta gente, che non si sarebbe mai incontrata prima, di ritrovarsi a vivere insieme, a stretto contatto. Sono nate così nuove amicizie, ma sono venuti subito a galla anche i problemi, e la tragedia ha quindi accelerato i processi interiori di ognuno, mettendo tutti a nudo.
Se guardata sotto questo punto di vista, la tragedia assume le fattezze di una prova per crescere e rivelare a noi stessi quello che veramente siamo. Questo accade ai quattro ragazzi che devono decidere se prendere la loro strada o continuare a girare a vuoto per evitare di guardarsi dentro. Se si ha il coraggio di crescere, la città avrà una vera rinascita, non solo esteriore, ma anche interiore.


IV: Perché l’idea (o l’esigenza?) di parlare di questa situazione?

GT: Perché l’ho vissuta anch'io, sulla mia pelle, da aquilano, anche se solo d’adozione. Vivo tuttora la città nelle sue varie vicissitudini e nei problemi ancora da risolvere. Non potevo non farlo. Il mese dopo il terremoto ho iniziato a curare laboratori di cortometraggio in alcune tendopoli. Ho visto che raccontare una storia, usando il registro della commedia, era stimolante per i ragazzi che partecipavano al laboratorio ed anche divertente. È stata quell’esperienza a farmi capire l’importanza, anche terapeutica, del girare un film. È per questo che ho deciso di girare un lungometraggio.


IV: Il set del film è una vera tendopoli in cui hanno vissuto decine di persone rimaste effettivamente senza la propria casa a causa del terremoto: com'è stato girare le scene in un ambiente così reale? È stato facile per te e per gli attori?

GT: Siamo entrati nella tendopoli con discrezione e rispetto, per il timore di disturbare o ferire. Abbiamo cercato di essere il meno invadenti possibile. Cosa assai difficile per una troupe cinematografica, contraddistinta sempre dalla sua rumorosità e dai modi non sempre garbati. Ma alla fine siamo stati bravi e ci siamo trovati bene, anche perché l’accoglienza è stata straordinaria. Siamo stati ricevuti come amici venuti a raccontare il vissuto e a portare un po’ di gioia e di speranza. Le persone più anziane spesso si avvicinavano per ricordarci le bellezze del loro paese e delle loro case prima del terremoto e sono state contente di contribuire alla riuscita del film, mettendo a nostra disposizione la loro casa temporanea: la tendopoli.
Siamo stati trattati con grande ospitalità e ci siamo sentiti a casa. Il film rispecchia quella vibrazione di comunione che si è creata sul set. Gli attori e tutti i tecnici, estranei al terremoto, sono rimasti coinvolti dalle storie vere raccontate e hanno vissuto quest’esperienza con molta partecipazione. Per loro non è stato uno dei tanti set vissuti in passato e continuano sempre a mantenere vivido il ricordo e spesso mi chiedono di girare un altro film a L’Aquila. Non si aspettavano, in una situazione così carica di dolore, di trovare un’accoglienza così forte e sincera.


IV: Così come i personaggi del film, anche tu hai vissuto per un periodo di tempo la condizione di sfollato e sopravvissuto: com'è stato avere il duplice ruolo di osservatore – in quanto regista – e di protagonista, in quanto colpito in prima persona dalla tragedia?

GT: Durante il primo mese dopo il sisma ho avuto il rifiuto della telecamera. Non volevo vedere, non volevo documentare la situazione, non volevo vedere la mia città distrutta. Non volevo essere un osservatore. Troppo forti erano le emozioni e dovevo accettare dentro di me la situazione e darle un perché, dovevo prima risvegliare in me la forza di ricominciare.

Ho ripreso la telecamera solo durante i laboratori di cortometraggi ideati per i ragazzi nelle tendopoli, quando ho deciso di collaborare per la ripresa della vita quotidiana, mettendo al servizio le mie capacità. Ho iniziato girando storie di invenzione, anche se ispirate alla realtà. Continuavo ad essere sfollato anch'io, ma non ero un semplice osservatore. Non ho mai documentato la realtà, ma ho iniziato subito a trasformarla, a cercare in essa i semi della rinascita, a cercare i frutti positivi di un’esperienza tanto dolorosa. Non è stato semplice, perché la disperazione e la paura offuscavano la percezione, ma alla fine ci sono riuscito e così è nata l’idea del film. Io stesso avevo bisogno di speranza e di concretezza per uscire dal limbo dello smarrimento .


IV: Una scelta coraggiosa quella di affrontare un tema così delicato per una pellicola d’esordio: è così che immaginavi il tuo ingresso nel mondo del cinema?

GT: Prima del terremoto stavo cercando di organizzare il mio esordio, ma era un’altra storia, in costume e dai toni fantasy. Stavo però anche valutando l’idea di una commedia, anche perché meno impegnativa di un film in costume. Il terremoto però ha cambiato tutti i programmi e ha indirizzato inevitabilmente il mio interesse verso il nuovo vissuto; ero consapevole che il tema sarebbe stato delicato e che sicuramente avrei ricevuto critiche, soprattutto per la scelta della commedia, ma non espormi, non rischiare e tacere o raccontare altro, mi sarebbe sembrato un atteggiamento vigliacco. Sarebbe stata una fuga dalla realtà, mentre il terremoto mi ha dato il coraggio di rischiare tutto, la faccia e le risorse personali. Ho deciso infatti di autoprodurmi, di non perdere più tempo a cercare una produzione che credesse in me. Ho deciso di credere in me e nelle mie capacità fino in fondo e con molto coraggio ho fatto questo salto nel vuoto, ma sono riuscito a spiccare il volo.


IV: Ultima domanda, di rito: i tuoi prossimi progetti?

GT: Un altro film girato in parte a L’Aquila e in parte in Puglia, nella mia terra natia. Una storia ambientata ai nostri giorni, ma dai toni fantasy e a volte comici. Non posso dire di più, è ancora presto. Per il momento devo concentrarmi su “La città invisibile”, promuoverlo il più possibile e aiutarlo a crescere.


INFO: www.lacittainvisibile.org

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