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Il vuoto dietro la grande bellezza

Il regista Paolo Sorrentino ha vinto il Golden Globe 2014 per il miglior film straniero

Marco Armeni

Roma, 14 gennaio 2014
È un’ottima notizia per il cinema italiano, e un altro giusto riconoscimento per un vero fuoriclasse della macchina da presa, capace di sorprenderci ogni volta con il suo stile inconfondibile.

Lasciamo stare le speranze di vittoria per l’Oscar, se verrà tanto meglio. Ciò che maggiormente ci hanno fatto riflettere, e ci sono rimaste impresse nella memoria, pur tra i tanti passaggi formidabili (e qualche pesantezza) della “Grande Bellezza”, sono le terrificanti immagini della sguaiata festa per i 65 anni del protagonista, Jep Gambardella, interpretato da un inarrivabile Toni Servillo.

(Anche) questa è Roma oggi: non la sbiadita immagine da cartolina del deludente “To Rome with love” di Woody Allen, dove i troppi cliché del “typisch Italienisch” finiscono per invalidare anche le buone intuizioni del regista newyorkese; ma una capitale per molti versi dimentica di se stessa e del suo ruolo, dove intellettuali di sinistra e arricchiti di destra, che si dovrebbero detestare, ballano fianco a fianco fino all’alba sulle note di Raffaella Carrà, come se fossero ancora dei ragazzi, ma in realtà inflacciditi nei corpi e ancor più nello spirito.

E tra “nani e ballerine”, cocaina, cubiste e spogliarelliste, costoro (che siano artisti, politici o imprenditori) non si rendono conto che la grande bellezza di Roma sta sfiorendo, lasciando negli spettatori quello stesso amaro disgusto che ha suscitato in chi ama questa città l’immagine, rilanciata nel mondo dalla prima pagina dell’Ansa, dell’enorme cumulo di rifiuti, lascito della notte del 31 dicembre, che il 6 gennaio ancora campeggiava in bella vista non nella più remota periferia, ma sulla collina del Celio, proprio di fronte al Colosseo, davanti agli occhi sgomenti di migliaia di turisti, incapaci di credere che tale “monnezza” potesse ancora stare lì dopo una settimana…

Il film di Sorrentino ad alcuni è piaciuto poco, forse perché a qualche critico è sembrato riconoscere nell’amara consapevolezza del protagonista dell’inutilità propria e del proprio mondo uno specchio della propria vita e dei cosiddetti “salotti romani”; e per questo, punto sul vivo, ha reagito. Ma stavolta, bisogna ammetterlo, i giurati americani hanno compreso, e non era per nulla scontato, la grandezza dell’affresco dolente raccontato nel film.

A noi allora, “denudati” dalle impietose immagini del film di fronte a tutto il mondo, spetta il compito di darci da fare perché il 2014, oltre che regalarci il trionfo nella magica serata degli Oscar, faccia sì che “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino diventi, per Roma e per l’Italia, una potente fotografia di un passato appena messo alle spalle, e non un presagio di un futuro fatto solo di decadenza e di rimpianto per un tempo glorioso che non tornerà più.

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