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Il lago dove morì Ponzio Pilato

Affascinanti miti e leggende tra le montagne umbre

Nahe dem kleinen Dorf Castelluccio di Norcia befindet sich der legendäre Lago di Pilato, in dem vor 2000 Jahren der römische Statthalter Pontius Pilatus den Tod gefunden haben soll.

Franco Casadidio

Un piccolo paese di centocinquanta abitanti, posto a 1452 metri di quota, circondato da montagne che sfiorano i 2500 metri e con il centro abitato più vicino che dista oltre venti chilometri (che su strade di montagna, in inverno, con la neve e il gelo sembrano ancora di più!), è già di per sé un qualcosa di leggendario, specie a queste latitudini. Se poi, a queste condizioni di vita proibitive, aggiungiamo i racconti risalenti alla notte dei tempi, racconti che hanno come protagonisti maghi, sibille, fate, demoni, il quadro può dirsi completo e al paese riusciamo anche a dare un nome: Castelluccio di Norcia.

Situato al confine con il territorio marchigiano, nella parte sud-orientale dell’Umbria, Castelluccio oltre a essere sinonimo di lenticchia, il legume che lo ha reso famoso nel mondo, è conosciuto anche per le innumerevoli leggende che circondano il suo territorio e che riguardano un po’ tutta la catena dei monti Sibillini.

L’isolamento di questa porzione dell’Umbria, dovuto in parti uguali alla morfologia del territorio e al clima inclemente che vi ha sempre regnato per buona parte dell’anno, ha fatto sì che nascessero e si sviluppassero strane storie, legate ad antiche credenze pagane (le Sibille ad esempio) e a nuove tradizioni religiose (il diavolo).

Partendo da Norcia e inerpicandosi per la tortuosa strada che risale tutta la montagna che divide l’altipiano di Castelluccio da quello sottostante di Santa Scolastica (e quindi da Norcia), superato il valico posto a 1521 metri si apre agli occhi del visitatore uno spettacolo di una bellezza “meravigliosamente sconvolgente”.

Di fronte, l’enorme mole del Monte Vettore sembra posta a guardia di quell’ambiente da favola. Incute rispetto il Vettore che con i suoi 2478 metri di altezza sembra esser stato posto lì come un gendarme di guardia, per ammonire il viaggiatore a non turbare l’equilibrio perfetto di quel posto, un equilibrio creato dalla natura in milioni di anni. L’occhio fa fatica a staccarsi da questo spettacolo ma quando vi riesce, ce n’è subito un altro pronto a rapirlo di nuovo: è l’immensa distesa del Piano Grande e del Piano Piccolo, due dei quattro Piani che formano l’altipiano di Castelluccio. Se c’è la neve, sembra di essere sopra un immenso lago ghiacciato (e qualcuno sostiene che il lago c’era davvero, senza bisogno di risalire troppo indietro nel tempo); se siamo nella bella stagione, invece, migliaia di fiori delle più svariate specie, ricoprono il piano a perdita d’occhio. E quando lo sguardo si sarà abituato a tutto questo, ecco laggiù il paese, abbarbicato sull’ultimo lembo di un colle che divide l’immenso piano quasi a metà: Castelluccio è là che ci aspetta.

Girovagando per le strette viuzze che ci riportano indietro nel tempo, non è difficile immaginarsi come, in pieno inverno, con il paese sommerso dalla neve, i poveri abitanti fossero costretti a scavare gallerie nel ghiaccio per andare da una casa all’altra. Così come non si fa fatica a capire come l’ambiente, oltremodo ostile, abbia contribuito a creare tante leggende, da quelle più semplici che volevano il paese isolato per mesi durante l’inverno, con gli abitanti costretti a procurarsi scorte di viveri da far bastare per decine di giorni, a quelle più complesse e fantastiche come quella che ci accingiamo a raccontare: la leggenda del Lago di Pilato.

Il monte Vettore, che i più identificano con la montagna a forma di trapezio situata davanti al paese, in realtà è una formazione montuosa a forma di ferro di cavallo, con diverse cime che superano abbondantemente i duemila metri, con la vetta più alta, denominata Vettore d’Ascoli, situata a quota 2478 metri, appena al di là del confine Umbro-Marchigiano e che, per il gioco della prospettiva, complici le altezze, risulta invisibile da Castelluccio. Questo grande “ferro di cavallo”, conserva al suo interno, alla ragguardevole quota di 1940 metri, un piccolo gioiello della natura: il Lago di Pilato. Il suo essere racchiuso tra le alte cime del Vettore in posizione apparentemente tranquilla, inganna più di un visitatore; il “ferro di cavallo”, aperto verso nord, espone il lago ai fortissimi e gelidi venti provenienti da quella direzione, tanto che, non di rado, le sue limpide acque risultano increspate ben più di quanto ci si possa aspettare.

Questo laghetto di tipo alpino e di origine glaciale, alimentato da un piccolo ghiacciaio situato nelle vicinanze che difficilmente scompare anche nei mesi estivi, ha la particolarità di ospitare nelle sue gelide acque un piccolo crostaceo endemico (vale a dire che vive solamente in questo luogo e in nessuna altra parte del pianeta): il Chirocefalo del Marchesoni. Questo crostaceo, lungo circa un centimetro, di colore rosso, con due occhi neri a punta di spillo, oltre ad avere la particolarità di vivere solamente nel Lago di Pilato, ha anche la caratteristica di nuotare con il ventre rivolto verso l’alto, quasi come un nuotatore impegnato in una gara di dorso.

La cosa che colpisce di più l’immaginario collettivo è il nome dato al lago, un nome che evoca la pagina più penosa della cristianità: la passione e la conseguente crocifissione di Gesù Cristo.

Narra la leggenda che Ponzio Pilato, governatore romano della Palestina venne incaricato di giudicare quel Gesù di Nazareth che si proclamava re dei giudei. Il governatore, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare alcuna valida giustificazione per giustiziare Gesù, niente di cui accusarlo, nessun reato per cui perseguirlo. Ma i sommi sacerdoti, timorosi di questo uomo che si proclamava Figlio di Dio e che poteva già contare su numerosi seguaci, facevano pressione sul governatore affinché prendesse una decisione. Pilato, allora, chiese al popolo di scegliere chi liberare e chi mandare al patibolo tra Gesù e un delinquente del posto chiamato Barabba. Il popolo scelse quest’ultimo, destinando Cristo alla crocifissione. Pilato, sollevato in un primo momento dal fatto di non aver dovuto assumersi la responsabilità di quella decisione, quando si rese conto che con il suo atteggiamento aveva mandato a morte un innocente, preso dai rimorsi e condannato a morte dall’imperatore Vespasiano, chiese di essere messo su un carro trainato da due tori. Questi, lasciati liberi, lo trascinarono rapidamente sulla cima del Vettore per poi scaraventarlo giù, nelle gelide acque del lago che da questo avvenimento prese il nome.

La leggenda, cominciata a circolare in epoca trecentesca, attirò sul Lago l’attenzione di maghi, negromanti e streghe provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa. Questi giungevano al lago, dopo giorni di cammino e dopo aver scalato le ardue cime del Vettore, per consacrare i loro sciagurati libri esoterici al demonio che, secondo alcuni, infestava quelle acque. Giunti sul posto costruivano tre cerchi, si posizionavano nel terzo e, tenendo in mano il loro libro, chiamavano a gran voce il diavolo. Questi compariva e, tra tuoni e fulmini chiedeva: “Cosa vuoi da me?”.

“Che mi consacri questo libro e che, ogni volta che ti invoco, tu faccia ciò che c’è scritto” rispondeva il mago.

A questo punto il diavolo segnava il libro che gli veniva consegnato e il patto era concluso. In cambio di quello che aveva chiesto, il mago si impegnava a pagare il diavolo con quanto aveva di più prezioso: la propria anima.

Si racconta che questa tradizione divenne così popolare e conosciuta che il comune di Norcia, per impedire l’accesso di maghi e negromanti provenienti da ogni dove fu costretto a circondare il lago con un muro guardato a vista giorno e notte da alcune guardie armate.

E sempre la leggenda narra come, per evitare le tremende tempeste di pioggia e neve che in inverno colpivano tutto il territorio e delle quali il diavolo era ritenuto responsabile, lo stesso comune di Norcia sacrificasse annualmente un prigioniero, trasportandolo sulle cime del Vettore per scaraventarlo nelle gelide acque del lago, “offrendolo” al demonio per mitigarne le furie devastatrici.

Una leggenda questa del Lago come luogo preferito dai maghi, talmente radicata che, ancora nel 1892, un povero e ignaro botanico trovato a girovagare in quelle zone e creduto per questo uno stregone, venne assalito dalle donne del paese e ridotto in fin di vita!

Ai nostri giorni, passate di moda le leggende e le storie fantastiche che lo hanno reso famoso, l’economia del piccolo borgo umbro si regge quasi esclusivamente sul turismo e sul commercio delle eccellenze gastronomiche di cui la zona è ricca. La lenticchia di Castelluccio è famosa e ricercata in tutto il mondo, ineguagliabile nonostante i tanti tentativi di imitazione, così come apprezzati sono i formaggi ed i salumi che vengono prodotti in loco ed esportati in tutta Europa. Un discorso a parte merita il turismo, sviluppatosi in maniera esponenziale negli ultimi anni. L’istituzione del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, di cui Castelluccio è parte integrante e quasi una sorta di capitale, se in un primo momento era stata vista come una sciagura dagli abitanti della zona si è rivelata nel tempo un formidabile volano per lo sviluppo turistico-economico del comprensorio. Il flusso turistico che interessa oggi Castelluccio è formato da decine di migliaia di persone che raggiungono l’altipiano in ogni stagione dell’anno per praticare sci di fondo ed escursionismo con le “ciaspole” (racchette da neve) in inverno, il trekking e il nordic walking in primavera-estate, con una vera invasione nel mese di giugno quando, da ogni parte del centro Italia, i piani vengono letteralmente presi d’assalto per ammirare la straordinaria “fiorita” di migliaia di fiori di tutti i colori che rendono il paesaggio unico ed indimenticabile.

2009-3 pg 14


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