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Categoria: Racconti
Pubblicato Mercoledì, 01 Dicembre 2010 13:00

Poche idee ma confuse

Quando un professore aveva veramente ragione...

Giulio Bailetti

A scuola a Roma tanti anni fa, solo il professore di filosofia ci dava del lei. Ci mettemmo un po’ ad abituarci. I primi tempi ci capitava di guardarci intorno, a cercare istintivamente la terza persona (una donna?), alla quale lui si stesse riferendo. Faccio un esempio, per essere più chiaro. “Lei saprà certamente le principali differenze d’impostazione tra il mondo di Socrate e quello di Aristotele”, diceva bonario, si fa per dire, con la sua tranquilla voce chioccia. Allora lo studente interrogato si girava a guardare a chi mai il professore stesse parlando. Solo quando era sicuro che non c’erano altri possibili interrogati nei paraggi, cominciava faticosamente ad articolare una qualche incerta risposta. Ma l’interrogazione era decisamente cominciata ormai molto male. Già non era chiara la persona realmente interrogata, per non parlare poi del mondo di Socrate e di Aristotele. Di mondo del resto, ne eravamo convinti quasi tutti, ce n’era uno solo, e cioè quello del presente, il nostro. Dell’altro ieri, di ieri, di domani e di dopodomani, ancora non c’interessava niente. Le solite domande astruse! E poi a chi?
Teste buche” avrebbe invece detto in questi casi, anni prima, la mia prima maestra delle elementari, l’indimenticabile signora Monti. Anche questa era stata una bella frase molto espressiva. Lasciava immaginare una testa inadatta a ricevere e conservare, una testa bucata dalla quale fluivano irrimediabilmente fuori tutte le inutili e non richieste informazioni. Noi spesso non capivamo. Non c’entrava la volontà. Eravamo attenti, la guardavamo, ma proprio non capivamo. Lei allora a volte si disperava. “Teste buche” risuonava nella classe e questa era un’esclamazione magica. Quando lei la pronunciava e rappresentava quindi bene la realtà del momento, allora noi qualche buco lo chiudevamo anche: non fosse altro che per esorcizzare la paura di avere veramente una testa bucata. C’era anche chi per precauzione si metteva allora le mani sulla testa. A volte un po’ di paura aiuta. Qualche cosa, infatti, è rimasta ancora oggi.
Un bel giorno comparve per la prima volta la frase del professore di filosofia, quella rimasta più famosa. L’interrogazione era al solito penosa. Non mi ricordo ora il nome del compagno interrogato, ma avrebbe potuto essere uno qualunque di noi, tranne rare eccezioni. Noi del resto capivamo già tutto, da come uno si alzava e andava alla lavagna, dai suoi movimenti e dalle sue espressioni. Certe sfumature ormai non ci sfuggivano. Assegnavamo a volte noi il futuro voto, spesso esatto, dell’interrogato, anche prima che lui avesse aperto bocca. Da anni ci esercitavamo a questo splendido gioco, a volte perfino con le scommesse.
Quella era la solita interrogazione chiaramente segnata dall’inizio. Il compagno farfugliava improbabili risposte, come da copione. Il professore lasciava fare. Voleva di sicuro usare l’interrogazione per farci arrivare almeno qualche informazione. Ma era chiaro che in quel caso e dal quel compagno non ce ne sarebbe arrivata mai nessuna. Arrivò invece allora il suo colpo di genio. “Caliento - disse all’improvviso - Giampiero Caliento, ora il nome me lo sono ricordato. Vede, lei ha poche idee, ma confuse”. In classe si fece silenzio. Eravamo già abbastanza avanti per capire subito che “lei” era proprio Giampiero e non una terza persona (un’altra donna?), che poi alla lavagna nemmeno c’era. Quella era una frase da ricordare. Rappresentava bene la realtà del momento. In fondo non ridicolizzava nessuno, piuttosto fotografava. Avrebbe potuto in seguito esserci veramente utile. Questo l’abbiamo capito subito tutti.

(2010-4 pag 61)

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