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Categoria: Musica
Pubblicato Mercoledì, 01 Dicembre 2010 12:31

Tersicore italo-tedesca

Intervista al coreografo Simone Sandroni

Im Rahmen des internationalen Festivals des zeitgenössischen Tanzes DANCE 2010 wird das neue Stück von der Gruppe Déjà Donné präsentiert. Choreograf der Gruppe ist Simone Sandroni, der in vielen internationalen Gruppen tanzte, bis er 1997 gemeinsam mit Lenka Flory die Gruppe Déjà Donné gründete. In München befasst sich Déjà Donné zusammen mit Studenten der LMU mit den Themen „Boden" und „Kontakt".

Laura Martegani

Dal 22 ottobre al sei novembre 2010 si è tenuta a Monaco la XII edizione del Festival DANCE, festival di danza contemporanea. La direttrice artistica Bettina Wagner-Bergelt ha pensato ad un programma che mettesse al centro della riflessione artistica i “Time Codes” del nostro tempo.

Il programma del Festival ruota attorno alla domanda: quali Time Codes (codici temporali) definiscono la nostra vita? Come integrano i coreografi nel loro lavoro i media digitali? Come si approcciano alla musica e allo spazio scenico? Cosa si intende concettualmente con la parola “tempo”? Può diventare il corpo umano un deposito memorativo di “Time Codes”? Può essere considerato simbolo della sensibilità culturale di un periodo storico preciso?

Il programma comprende circa quaranta spettacoli portati in scena da artisti provenienti da Francia, Spagna, Italia, Belgio, Slovenia, Slo

vacchia, Ungheria, Stati Uniti dʼAmerica, Vietnam, Canada, Siria, Turchia e Germania.Ospite italiano al Festival è il gruppo Déjà donné. Il gruppo è stato fondato nel 1997 da Lenka Flory e Simone Sandroni, membri allʼepoca della compagnia Ultima Vez di Wim Vanderkeybus. Lenka viene da Praga e non danza più, mentre Sandroni, che abbiamo intervistato prima del festival, è italiano e si regala ancora al palcoscenico. In più di dieci anni hanno creato, insieme a partner e collaboratori, interessanti spettacoli che hanno ottenuto successo di pubblico e critica in tutta Europa.

INTERVenti (IV): Come e quando ti sei avvicinato alla danza?
Simone Sandroni (SS): Nel 1986 ho lavorato come volontario al Festival internazionale di Polverigi - allʼepoca un buonissimo festival. Durante lʼesperienza al festival ho scoperto la realtà teatrale contemporanea, ma soprattutto la pluralità della dimensione scenica. Dopo lo stage al Festival ho conosciuto Wim Vanderkeybus. Grazie a questo incontro mi sono ritrovato dopo pochi mesi a danzare sul palco.

IV: Come descriveresti la tua esperienza nella compagnia Ultima Vez (compagnia di danza fondata da Vanderkeybus nel 1986 in Belgio ndr)?
SS: La compagnia Ultima Vez è stata la mia prima esperienza come performer, ma soprattutto un’importante esperienza a livello personale: la prima volta che ho preso un aereo, la prima volta che sono uscito dallʼItalia. Tutto quello che ho costruito dopo, lʼapprendimento delle lingue, è successo grazie a quella esperienza.
Successivamente, dal punto di vista artistico e concettuale mi sono allontanato molto con la mia compagnia Déjà Donné da quello che è ora Ultima Vez.

IV: Nel 1993 fondi una tua compagnia di danza che chiamerai Ernesto. Cʼè stato un bisogno particolare che ti ha spinto a fare questo passo?
SS: Non vengo da un’educazione di danza accademica; ho avuto, come molti autodidatti, centinaia di insegnanti e nessuno. Fondare la mia compagnia è stato un modo per continuare a ricercare ed apprendere. Il nome Ernesto in inglese (Earnest) vuol dire guadagnare onestà ed era allʼepoca quello di cui avevo bisogno.

IV: Nel 1997 fondi insieme a Lenka Flory la compagnia Déjà donné a Perugia. Cosa vi ha spinto a trasferirvi in Italia, e con quali parametri avete scelto la città?
SS: La compagnia Déjà Donné (La compagnia prende il nome dal primo spettacolo coreografico di Sandroni e Flory ndr) è stata fondata inizialmente a Praga. Solo qualche anno più tardi ci siamo trasferiti in Italia, non esattamente a Perugia, ma in un villaggio di tremila abitanti sul lago Trasimeno. La scelta di trasferirci in Italia è stata puramente familiare: volevamo far crescere nostra figlia in un ambiente più sano di quello che potesse offrire una città.

IV: Comʼè lavorare in Italia a livello organizzativo ed economico?
SS: Ci sono Paesi in Europa che hanno budget ancora più limitati di quelli italiani per le arti contemporanee. LʼItalia però, come in tanti altri campi, si distingue per lʼestrema disorganizzazione che, combinata al clientelismo, alla mancanza di trasparenza ed al favoritismo crea un ambiente lavorativo difficile e soprattutto uno spreco di risorse incredibile.

IV: Noti delle differenze tra il lavorare in Italia ed il lavorare all'estero?
SS: Al di là delle Alpi, in Nord Europa, Nord America o per esempio qui in Germania, il mestiere teatrale ha una dignità. Il danzatore, il coreografo, il regista, lʼartista in genere sono visti come una categoria. In Sud America, in Africa, le strutture non sono migliori di quelle Italiane, ma per lo meno esiste il bisogno di danzare, bisogno che è radicato nella cultura popolare. A volte questo aspetto, purtroppo, manca in Italia.

IV: Quanto influenza lʼinternazionalità della compagnia il tuo lavoro?
SS: Lʼinternazionalità della compagnia è fondamentale per il mio lavoro. Ho lavorato solamente una volta in questi ventitre anni con un cast non internazionale ed è stata una catastrofe.

IV: Leggendo le recensioni dei tuoi spettacoli spicca spesso lʼaspetto sociale e politico. Quanto è importante la politica nel tuo lavoro artistico?
SS: Il nostro teatro è spesso politico e sociale. Non politico nel senso di partito: la destra la sinistra e tutto lʼintrattenimento delle prime pagine non mi interessano. Cercare le simpatie di quello o dellʼaltro partito, per giusti che possano essere i concetti espressi in comizi atti a ricevere voti, è una meschinità in cui non avrei mai creduto gli artisti sarebbero caduti.
La Déjà Donné aspira sempre a creare spettacoli che appartengano allʼessere umano, non ad una categoria o classe sociale, restando però coerenti con il pensiero contemporaneo.

IV: Cʼè stato un criterio particolare nella scelta dei danzatori per il nuovo spettacolo oppure sono membri già di lunga data della compagnia?
SS: Solamente Martina La Ragione è nella compagnia da più di un anno, gli altri danzatori li conoscevo già da esperienze precedenti, ma non avevamo mai lavorato prima insieme. I criteri di scelta sono molto istintivi ed intuitivi e variano a seconda dei progetti.

IV: Durante la tua carriera artistica ti sei concentrato molto sulla coreografia per assolo di danza. Come si instaura il processo creativo di questo tipo di danza?
SS:
Nel 1998 ho coreografato un assolo per un ex ballerino della Rambert Ballett. Il lavoro era un “ritratto”. La sua vita privata, le sue aspirazioni, le sue frustrazioni costituivano la sceneggiatura dello spettacolo. Mi è piaciuto molto lavorare a quel pezzo. Lo scorso anno mi è tornata la voglia di creare spettacoli simili, dalla quale sono nate altre due coreografie ritrattistiche per due ballerini del Bayerisches Staatsballett. (“P.S. Norbert Graf: Schuetze Aszendent Skorpion” e “P.S. Isabelle Sever: My Heard Broke Just Once”).

Mio nonno era scultore, pittore e, soprattutto, ritrattista. Credo che fare ritratti fosse la cosa che gli piacesse di più, dato che gli permetteva di vivere per strada: svincolato da convenzioni e quindi dal suo punto di vista in libertà. Devo aver ereditato la passione di mio nonno per questa modalità artistica. Lavorare sui ritratti mi permette di fare la cosa che mi piace di più di questo lavoro: ascoltare storie di altre persone e raccontarle a mia volta ad altre persone, condendole con mie idee. Sono convinto che in teatro è vero tutto ciò che è credibile.

IV: Lo spettacolo Not made for flying in prima assoluta al Festival DANCE ruota attorno ai concetti di contatto e suolo. Puoi preannunciare qualcosa riguardo al lavoro?*
SS: È come tornare indietro per avanzare di nuovo: ritornare a quelli che sono i principi fisici essenziali del performer danzatore. Quando vado a vedere uno spettacolo, teatro o danza che sia, sono gli interpreti che m’interessano ed affascinano. Not Made for Flying nasce dallʼidea che lʼessere umano non sia fatto per volare. Questa incapacità viene scoperta dal performer al termine di ogni creazione, mentre per mesi ha creduto di poter riuscire a combattere questa barriera fisica.


(2010-4 pag 32)

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