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Categoria: Letteratura
Pubblicato Mercoledì, 08 Dicembre 2010 15:44

Werther alla conquista dell’Italia

Curiosità sulla prima traduzione italiana della celebre opera di Goethe

„Die Leiden des jungen Werthers“ beeinflußte damals Mode, Angewohnheiten, Haltungen, Ideen und Litertatursprache. Die Erste Übersetzung in italienische Sprache wurde 1782 in Poschiavo durch die Druckerei von Giuseppe Ambrosini publiziert: Der Adlige Thomas Maria Freiherr De Bassus kaufte damals die Druckpressen in Bayern und lieferte sie nach Italien. Die Übersetzung wurde an den Maillander Gaetano Grassi in Auftrag gegeben, welcher wie De Bassus und Goethe nah zu dem „Bayerischen Illuminatenorden“ war. Bei dem Orden hatte Goethe den Codenname „Abaris“ und De Basso „Hannibal“

Giuseppe Muscardini

Il riscontro ottenuto negli ultimi mesi dal film Angeli e demoni, trasposto dall’omonimo romanzo di Dan Brown, convoca curiosità su un’interessante vicenda editoriale che coinvolse attivamente la società segreta dell’Ordine degli Illuminati di Baviera nella persona dell’influente Thomas Maria Freiherr De Bassus, podestà del luogo e propugnatore di idee invise alla Chiesa. Affiliato come Johann Wolfgang Goethe all’Illuminatenorden bavarese, nel 1782 condusse in porto editoriale la prima traduzione in lingua italiana de I dolori del giovane Werther con i tipi di Giuseppe Ambrosioni. Sostenendo finanziariamente l’impresa, il nobile rispondeva così all’impegno assunto all’interno della società segreta di cui faceva parte: portare con lo pseudonimo di Hannibal idee anticlericali oltre le Alpi e nel nord dell’Italia, emulando nell’immaginario l’epico sforzo del condottiero cartaginese del II secolo a. C. In precedenza, negli anni in cui aveva intrapreso gli studi di Giurisprudenza presso l’Università di Ingolstadt, De Bassus aveva conosciuto Johann Adam Weishaupt, fondatore dell’Ordine degli Illuminati. Se la società segreta fu istituita il 1o maggio del 1776 a Ingolstadt con l’intento di contrastare il potere della religione, colpevole di diffondere e seminare superstizioni e chimere, Monaco ne divenne presto la sede principale, assumendo nel linguaggio ermetico dei membri il nome di Atene, mentre Efeso era identificabile con Ingolstadt e la Grecia con la Baviera. Luoghi, quelli bavaresi, che De Bassus ben conosceva. Grazie alla fortuna accumulata dal capostipite Giovanni Domenico de Bassus, docente di diritto all’Ateneo di Ingolstadt nella seconda metà del Seicento, possedeva proprietà di famiglia a Mendorf, Sandersdorf, Eggersberg, Harlanden e deteneva i titoli di barone bavarese e di ciambellano della Corte elettorale di Monaco. Nella stessa Monaco aveva svolto, ancor giovane, attività di praticantato nello studio di un Consigliere di Corte.

 

Per avvicinarci alla comprensione del clima morale di quell’ultimo quarto di secolo in cui il dibattito culturale era dominato dal vivace contrapporsi di innovazione e tradizione, dovremo fare esercizio di memoria e recuperare visivamente il soggetto di un celebre quadro conservato presso la Kunsthalle di Amburgo. È l’immagine d’impronta romantica ampiamente diffusa e ormai interiorizzata da chi ama le vedute panoramiche dall’alto dei monti. È la celebre opera intitolata Viaggiatore al di sopra del mare delle nuvole realizzata da Caspar David Friedrich nel 1818, dove un uomo di spalle che fa uso di un bastone da passeggio osserva dall’alto di una montagna l’incantevole paesaggio intorno, sovrastando con la sua persona in chiaroscuro un’ovattata distesa di nuvole. Lo sguardo lanciato lontano valica la coltre bianca e si spinge sulle cime di fronte nel tentativo di percorrere distanze impensabili per i mezzi di trasporto dell’epoca. Per analogia, la figurazione romantica di Friedrich ridesta in noi un episodio della biografia di Goethe, quando nel 1775, dall’alto del Gottardo, spinse lo sguardo verso l’Italia sognando un viaggio auspicato fin dall’infanzia. Un viaggio intrapreso solo a partire dal settembre 1786, ma in quel lasso di tempo la cultura non si dimostrò insensibile alla potenza evocatrice del già affermato scrittore tedesco. Con un anticipo di quattro anni sul viaggio di Goethe in Italia, la tipografia Ambrosioni di Poschiavo, nel cantone svizzero dei Grigioni, stampò la prima edizione in lingua italiana de I dolori del giovane Werther con il titolo di Werther/ opera di sentimento/ del/ dottor Goethe/ celebre scrittor tedesco./ Tradotta/ da Gaetano Grassi/ milanese./ Coll’aggiunta di un’Apologia / in favore dell’opera medesima. Fin dalla sua apparizione il romanzo epistolare agì sulle abitudini e sui costumi della società dell’epoca, spostando il gusto della borghesia verso modelli nuovi, influenzando la scelta del vestiario e favorendo una certa indulgenza nei confronti dei suicidi per amore. Ben presto s’impose la Werther-Fieber e le imitazioni del protagonista goethiano si sprecarono: i giovani vestivano in marsina azzurra e panciotto giallo, calzando stivali in cuoio con il risvolto sotto il ginocchio. È questo l’abbigliamento assegnato da Goethe a Werther nelle pagine conclusive del romanzo. Sono questi gli indumenti che il protagonista indossa quando viene trovato a terra privo di vita, dopo il drammatico suicidio attuato con un colpo di pistola alla tempia. Il libretto di Goethe dato alle stampe in prima edizione, che tanto scalpore destò per il tema e il genere, diventò icona di modi nuovi di sentire, di concepire l’amore, la vita e anche la morte, investendo la percezione dell’effimero della società del tempo. Un profumo ricercatissimo e à la page invase il mercato con il nome di Eau de Werther, esattamente come in tempi più vicini a noi furoreggiavano le Palle di Mozart in marzapane e pistacchio, presenti copiosamente sul mercato durante le celebrazioni per i duecentocinquanta anni dalla nascita del grande Salisburghese.


Ma occorre qui sottolineare un fatto rilevante. La traduzione in lingua italiana del Werther, ricavata dalla precedente edizione francese del letterato Jacques George Deyverdun, aveva come modello l’edizione del 1774 a cui Goethe mise mano a partire proprio dal 1782 in vista dell’edizione definitiva, pubblicata nel 1787. L’edizione poschiavina costituisce pertanto la traduzione in lingua italiana del testo originale, quello che ad un anno appena dalla pubblicazione, il 30 gennaio 1775, fu tolto dai banchi delle librerie di Lipsia per espressa volontà dei docenti della Facoltà di Teologia perché ritenuto inadeguato e nocivo per l'educazione dei giovani. Anche in Italia l’edizione poschiavina fu stimata dannosa dalla Chiesa: con un massiccio acquisto di quanto restava in commercio, l’arcivescovo di Milano impedì che le copie presenti nelle librerie della sua diocesi finissero nelle mani dei fedeli. Le ragioni si intuiscono: il suicidio era contrario alla visione etica del credente, e pertanto visto come abominio e gesto innaturale che offende Dio. Nell’Apologia dello stesso Gaetano Grassi che tradusse l’opera in lingua italiana, si legge invece la palese difesa del Werther, considerato libro tutt’altro che pericoloso, avendo come intendimento quello di far conoscere ai giovani la natura dei sentimenti, anche quelli più potenti e ingovernabili, inducendo il lettore ad operare scelte consapevoli e razionali ed evitandogli quindi di compiere gesti estremi ed insani. Grassi argomentava il suo pensiero sorretto da un disegno che non era solo editoriale, ma fortemente caldeggiato da Tommaso De Bassus, propenso ad accrescere il catalogo della Tipografia Ambrosioni (che contava un centinaio di altri titoli) per diffondere ciò che per la Chiesa era proibito e impubblicabile.


L’aristocratico ottenne il risultato sperato, se si pensa che ancora negli anni Venti dell’Ottocento, e precisamente fra il 1820 e il 1827, la traduzione italiana del Werther di Gaetano Grassi fu stampata ben sette volte. Quando nel 1781 lo stesso Grassi consegnò il testo della sua traduzione per la stampa unendovi lo scritto a difesa dell’opera, dimostrò di poter lanciare il suo sguardo oltre la barriera dei preconcetti. Esattamente come Goethe dall’alto del Gottardo. Esattamente come il personaggio in chiaroscuro raffigurato di spalle da Caspar David Friedrich, che dalla cima di una montagna supera lo strato denso delle nubi. Anche lo sguardo di Goethe, nel celebre ritratto di Karl Joseph Stieler oggi conservato presso la Neue Pinakothek di Monaco, è attratto dalle vertigini dell’infinito. Vertigini che inseguì sia come esteta, sia nelle vesti di Abaris l’illuminato. Eppure, nei primissimi giorni del suo viaggio italiano si avvide di un’imprevista difficoltà tutta umana quando tentò di varcare le soglie dell’infinito posando lo sguardo su opere d’arte così belle da esserne disorientato. Il 6 settembre 1786, trovandosi di passaggio a Monaco di Baviera e visitando la Gemäldegalerie allestita all’epoca sul lato nord dello Hofgarten per volontà del principe elettore Karl Theodor, precorrendo di 31 anni Stendhal e la sua “sindrome”, annota con convinzione: In der Bildergalerie fand ich mich nicht einheimisch; ich muß meine Augen erst wieder an Gemälde gewöhnen. Es sind treffliche Sachen (Traduzione: Nella pinacoteca non mi sono trovato a mio agio; bisogna prima che riabitui i miei occhi ai quadri. Ci sono cose bellissime. Cfr. J. W. GOETHE, Viaggio in Italia, Introduzione di Italo Alighiero Chiusano, Milano, Garzanti, 1997, p. 6.). La bellezza talvolta mette a disagio. Anche quando a fruirne è un illuminato.

 

(2009-4 pg 31)

 

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