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Categoria: Letteratura
Pubblicato Mercoledì, 08 Dicembre 2010 14:12

La figlia del Mago

Rintracciate due lettere autografe dello storico dell’arte Jenö Lányi risalenti al 1928 che ci parlano del soggiorno monacense di Monika Mann

La pubblicazione di due lettere del critico d’arte Jeno Làny spedite da Monaco a Giuseppe Agnelli, sono lo spunto per contestualizzare la tormentata vita di Monika Mann, figlia di T. Mann, diventata poi la sposa di Làny. Nel libro autobiografico di Monika Mann Vergangenes und Gegenwärtiges che vengono descritte le tristi vicende della sua vita, a partire dalla  drammatica e precoce vedovanza, fino al periodo trascorso in compagnia di Antonio Spadaro, un semplice pescatore dell’isola di Capri, per poi concludersi con il definitivo ritorno nella casa della sua famiglia in Svizzera

Giuseppe Muscardini

Quello che divenne un accreditato studioso di Jacopo della Quercia, all’epoca era un ventiseienne universitario residente a Monaco di Baviera in Von-der-Tann-Straße. Dodici anni più tardi, al largo delle coste inglesi, si consumò una tragedia: i siluri dei sottomarini tedeschi (denominati U-Boot, Unterseebooten) centrarono e affondarono la nave civile britannica City of Benares. A bordo, fra i molti passeggeri diretti in Canada, lo stesso Jenö Lányi e la moglie Monika Mann, figlia di Thomas Mann. L’uomo fu inghiottito dalle acque gridando più volte il nome della moglie. Monika gli sopravvisse per cinquant’anni e, figlia di tanto padre, rievocò quei tristi fatti nel libro autobiografico Vergangenes und Gegenwärtiges.

Quando Giuseppe Agnelli, discepolo e collaboratore di Giosuè Carducci, in una giornata autunnale del 1928 ricevette da Monaco di Baviera la lettera di un ventiseienne che preparava la tesi di laurea, non c’erano ragioni per immaginare i curiosi intrecci di questa storia. Niente di fantasioso vi è in un racconto supportato dai documenti e da ricostruzioni del tutto veritiere che non lasciano spazio a dubbi di sorta sull’identità di quel giovane studente di nome Jenö Lányi. Ungherese di origine, israelita, iscritto ai corsi del Kunsthistorisches Institut dell’Università di Monaco, Jenö risiedeva all’epoca al numero 22 di Von-der-Tann-Straße. A Giuseppe Agnelli si rivolgeva per ottenere utili informazioni bibliografiche e archivistiche destinate a completare la sua tesi, incentrata sulla figura e l’opera dello scultore senese Jacopo della Quercia. Nello specifico richiedeva all’ex allievo di Giosuè Carducci, all’epoca bibliotecario, di fornirgli la trascrizione di un documento archivistico sull’attribuzione allo scultore di una Madonna in marmo, meglio nota come Madonna del pane o del Melograno: Mi occorrerebbe il testo integrale del documento rispettivo e La prego di procurarmi una copia verbale di questo documento di cui non so l’indicazione archiviale (sic!) esattamente. Sto preparando una tesi sul Quercia per l’Università di München e vorrei studiare a fondo la questione della statua che rappresenta la prima opera di Jacopo che sia documentata e datata.


Pur non dominando del tutto il nostro idioma, il giovane sapeva bene esprimere in italiano ciò che gli stava a cuore, preoccupandosi anche delle eventuali referenze: Se vi occorrerebbero (sic!) alcune raccomandazioni, La prego di rivolgersi al Sig. Comm. Péleo Bacci, Soprintendente dei Monumenti in Toscana, che mi conosce bene e che pubblicherà nel prossimo fascicolo del suo periodico «La Balzana» un articolo di me sopra un disegno della Fonte Gaia che mi è riuscito di identificare.


Insomma, uno studioso in erba ma ben determinato e con le carte in regola per imporsi e ricavare dal suo impegno, svolto con rigore e diligenza, i vantaggi del caso. E così di fatto avvenne. Rintracciate di recente due lettere di Lányi nel Carteggio di Giuseppe Agnelli conservato presso la Biblioteca Ariostea, l’una datata 14 novembre 1928 e l’altra 31 novembre 1928, e incrociate le informazioni contenute nelle missive con la produzione critica del mittente, apprendiamo che lo storico dell’arte non solo fu autore di qualificati contributi su Jacopo della Quercia, ma che al suo attivo si registrano saggi su Donatello e sulla scultura italiana del Quattrocento. Nel 1930 pubblicò poi un ampio saggio dal titolo Quercia Studien, mit 16 Abbildungen auf 7 Tafeln nella prestigiosa rivista berlinese «Jahrbuch für Kunstwissenschaft» diretta da Ernst Gall, stimato storico dell’arte ritratto in un’immagine fotografica (oggi conservata nel Deutsches Bundesarchiv con numero di inventario 183-H29050) insieme ad Adolf Hitler e ad Albert Speer sul cantiere della nascente Haus der Deutschen Kunst di Monaco di Baviera.


E fin qui nulla di straordinario, se si eccettua la perseveranza del solerte studente nel coltivare i propri interessi culturali, maturati nelle aule scolastiche di Monaco e approdati in seguito ad esiti felici. Ma questa storia si fa davvero interessante dal momento in cui Jenö, lasciato l’ambiente universitario di Monaco, si recò alla fine degli anni Venti in Italia per proseguire a Firenze le minuziose ricerche che tanto lo appassionavano. Qui nel 1934 conobbe una donna ventiquattrenne dal cognome importante: Monika Mann, nata a Monaco di Baviera il 7 giugno 1910, figlia quartogenita di Katja Mielein Pringsheim e del celebre Thomas Mann, l’autore di Buddenbrooks. Verfall einer Familie, che proprio nei mesi in cui Jenö Lányi stilava le lettere dirette a Giuseppe Agnelli, riceveva la notizia dell’assegnazione del prestigioso Premio Nobel per la Letteratura.


I due si unirono in una tenera relazione sentimentale, di lì a poco funestata dagli eventi politici italiani e dalle inique Leggi razziali emanate nel 1938, riassunte nel Regio Decreto-Legge 15 novembre 1938-XVII, n. 1779, Integrazione e coordinamento in un unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza, costringendoli a fuggire in Inghilterra dove nel 1939 formalizzarono la loro unione con il matrimonio. Jenö Lányi divenne così il genero di Thomas Mann, come genero dello scrittore divenne nello stesso anno il giornalista e critico letterario italiano Giuseppe Antonio Borgese per aver sposato in seconde nozze Elisabeth Veronika Mann, sorella minore di Monika.


Ma questa storia da interessante si permuta in tragica. Nei densi capitoli della saga familiare dei Buddenbrooks gli eventi precipitano con rapidità. Lo stesso avvenne per i coniugi Lànyi-Mann: imbarcati a Liverpool nel settembre del 1940 sulla nave inglese City of Benares, Jenö e Monika decisero di raggiungere il Canada rifiutando la follia della guerra e della discriminazione, seguendo così le orme di Thomas Mann, fuggito dalla Germania subito dopo la presa del potere di Adolf Hitler per trasferirsi nel settembre del 1933 sul lago di Zurigo e cinque anni dopo negli Stati Uniti. Ma durante il viaggio in mare la City of Benares fu silurata dei sommergibili tedeschi U-Boot, che affondarono la nave con il suo carico di passeggeri. Nella disperata situazione, dove tutto vorticosamente s’inabissava, Monika vide il marito annegare, trascinato in basso dai gorghi. Più tardi racconterà nel suo libro di memorie Vergangenes und Gegenwärtiges (pubblicato a Monaco nel 1956 dal Kindler Verlag) di aver udito nitidamente la voce del marito chiamarla per tre volte.


Thomas Mann accolse la figlia negli Stati Uniti, ma rientrata nell’alveo della famiglia d’origine solo per lenire il dolore della perdita del marito, ritornò in Italia fissando la sua residenza a Capri. La conoscenza di un pescatore del luogo di nome Antonio Spadaro, sembrò restituire a Monika Mann una vagheggiata serenità, venuta meno in seguito ai dissapori con il padre e alla precoce vedovanza. Quell’uomo modesto, ben consapevole di non possedere la levatura intellettuale della compagna, era dotato tuttavia della grande sensibilità dei semplici, di quella mansuetudine degli uomini del Sud che spesso è scambiata per indolenza. Apponendo a stampa la dedica für Toni sulla prima pagina di Vergangenes und Gegenwärtiges, Monika espresse il suo affetto sincero nei confronti di quell’umile caprese, preferendo la sua mitezza sempliciotta alla noiosa spocchia degli intellettuali, come lei stessa affermò nel corso di un’intervista.


E con Toni restò fino al 1985, quando gli eventi decretarono la morte anche del secondo compagno, con cui condivise circa trent’anni di vita tra faccende domestiche e letture serali al suono ora languido e ora tumultuoso della musica del Romanticismo tedesco. Si ritirò allora nella casa dei genitori a Kilchberg, presso Zurigo, già abitata dal fratello Golo Mann. Qui, nel locale cimitero, Monika Mann riposa accanto al padre, che da piccola lei chiamava amorevolmente Zauberer, Mago. Nella quiete familiare era consuetudine dello scrittore travestirsi durante i giochi con i figli. Perdeva in quelle occasioni l’aria austera dell’intellettuale impegnato e, indossando per scherzo turbante e vesti panneggiate, assumeva nel gioco il ruolo dell’indovino orientale. Ma scendendo sul piano squisitamente letterario e associando questa intima e privatissima immagine del camuffamento alla produzione dello scrittore, è doveroso qui sottolineare come l’idea del romanzo La montagna incantata (Der Zauberberg) fosse balenata nella mente di Thomas Mann nel 1912 durante una visita alla moglie Katia, ricoverata in sanatorio. All’epoca Monika aveva due anni.

(2009-3 pg 26)

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